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"È il supplente di una politica che qui non esiste"
Cacciari: è stato cardinale e "leader" della sinistra

da Repubblica - 15 febbraio 2002

«Carlo Maria Martini? Un vescovo delle dimensioni di Ambrogio. Per cultura, per straordinaria apertura, per visione internazionale, per sete di ricerca. Per la sua visione di una fede indagante, interrogante. Di una fede mai negligente». Massimo Cacciari, dal prossimo autunno preside della nuova facoltà di Filosofia dell´Università San Raffaele, ricorda quanto la figura di Martini sia stata fondamentale per la città. E sprona i suoi abitanti: «Milano, non sentirti orfana. Svegliati! Torna a crescere, a essere matura. Tornare ad essere grande città europea, a ridare fiato ad una politica di alto livello. Rilancia le tue attività culturali». «È ora che i politici vengano fuori, se ci sono…»
Cacciari, lei ha partecipato, fin dalla fondazione, nell´86, alla «Cattedra dei non credenti», voluta da Martini. Cosa ha significato questa esperienza per Milano?
«Quella di Martini è stata un´idea assolutamente straordinaria. E cioè che il credente deve mettersi in ascolto del non credente. Che la fede non può essere in alcun modo pigra, negligente. Non può essere una assicurazione per la vita. Martini ha voluto fare un esperimento nel vero senso della parola. Ha voluto confondere le acque e vedere cosa ne saltava fuori. Un esperimento che ha avuto uno straordinario successo di partecipazione. E un immenso fascino. Quanto incisivo tutto ciò sia stato per la Chiesa milanese non lo posso dire. Ma certamente l´iniziativa è stata di grandissimo impatto nel mondo della cultura laica».
Martini le aveva affidato subito il compito più difficile, parlare di "fede e ragione". Come se l´è cavata?
«Ho raccontato la fede esattamente nei termini in cui la definisce Kierkegaard, "un´angosciosa certezza". Io sono certo della mia chiamata, ma questa certezza non interrompe, non impedisce, anzi sollecita, la ricerca ed è in costante pericolo».
E´ più facile essere credenti o non credenti?
«Ah, non lo so proprio. Le certezze del credente possono essere frutto di chissà quali battaglie interiori. Non scommetterei un´unghia sul fatto che il credente stia meglio del non credente. Penso al credente che si interroga e ogni giorno deve rinnovare la propria fede».
Molti, anche a sinistra, hanno guardato in questi anni a Martini come alla più importante figura morale della città. Una sconfitta per la Milano laica?
«Milano, come il Veneto, è stata massacrata in questi anni. Sono state sconvolte le sue radici politiche, ma anche quelle culturali, dal crollo della prima Repubblica. Per motivi di cui tangentopoli è stata soltanto la punta dell´iceberg. E´ stata messa a nudo una corrosione strutturale di questo edificio. E´ in questa situazione che Martini è emerso come l´unica figura di riferimento morale. Ma questo credo sia stata una pena per lui».
Una pena?
«Non c´è dubbio alcuno. Perché Martini, come tutti i veri cristiani, è un laico in politica. Il fatto di non avere avuto un interlocutore politico adeguato, autorevole, lo ha costretto molte volte, inevitabilmente e involontariamente, a dover fare il supplente».
Dover dire quelle parole che i politici non sono più capaci di dire?
«Esattamente. Per esempio parole che riguardano l´ambito della solidarietà. Non nel senso dell´amore cristiano, ma nel senso di pratiche amministrative decenti».
Negli anni del leghismo più becero.
«Appunto. Di un neopaganesimo assolutamente plebeo. Anche se Formentini declinava questo leghismo in termini di grande buon senso. Non è che fosse Gentilini, il sindaco di Treviso. Comunque al di là del sindaco la sofferenza di un vescovo è evidente laddove c´è una città che non esprime un´autorevole politica, soprattutto in una grande città europea come Milano. E´ un vuoto che fa paura, anche a un vescovo».
La sinistra milanese, allo sbando, ha finito per vedere nel vescovo quasi un suo leader.
«E la cosa deve essere stata per Martini fonte di grande imbarazzo. Di grande disagio. I continui appelli di una sinistra orfana a Martini sono del tutto fuori luogo».
Come deve reagire Milano alla prossima partenza del suo cardinale?
«Che cresca, finalmente. Che maturi! Che esca dallo choc. Che torni a diventare una grande città europea. Che ridia fiato a una politica di alto livello. Che rilanci le sua attività culturali, internazionali. Credo che, al limite, la partenza di Martini sia, a questo punto, perfino positiva. Uno sbattere tutti di fronte alle proprie responsabilità».
La maggioranza dei milanesi non sembra essere sempre in sintonia col suo arcivescovo.
«Dopo l´ultimo discorso del cardinale in occasione di Sant´Ambrogio uno dei più ineffabili rappresentanti del Polo, Giuliano Ferrara, ha fatto una trasmissione, con Gad Lerner, tutta all´attacco, lancia in resta, del discorso di Martini. Un discorso accusato di essere anticapitalista, antiliberista, utopistico. Questa è la maggioranza milanese con cui ha a che fare Martini. Ma che gli altri si diano una sveglia, si muovano. Smettano di piagnucolare "Martini, Martini", se non vogliono che vincano i Ferrara».