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Giustizia armiamoci e partite
EUGENIO SCALFARI

L'opposizione vuole riaprire il dialogo
Ma l'unico modo è presentare un suo programma di riforma
Berlusconi non ha fermato il treno europeo ma neppure vi si è agganciato: semplicemente si è tutto rinviato

 


SULLA riforma della giustizia, sulla clamorosa frattura con l'Europa poi ricucita in zona Cesarini, chi ha vinto e chi ha perso? Questa volta le parti in causa erano tre: il Consiglio dei ministri europeo, il governo italiano, l'opposizione di centrosinistra. Con un testimone tutt'altro che muto: l'opinione pubblica internazionale.
Quando scoppiano queste battaglie, alla fine resta un panorama confusamente vociante: tutti si attribuiscono una vittoria piena o almeno una mezza vittoria, il campo è oscurato da un gran polverone, quello che è veramente accaduto sfugge ai più.
Perciò ripropongo la domanda: chi ha vinto e chi ha perso? Ho detto che le parti in causa erano tre, ma ce n'erano altre due rappresentate dai rispettivi governi ma non necessariamente coincidenti con essi: l'interesse dell'Europa e l'interesse dell'Italia. Quindi cinque. Cinque parti in causa che hanno occupato la scena per una decina di giorni e che oggi, dopo il vertice di Laeken, torneranno nei rispettivi alloggiamenti.
Vediamo.

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1. Sette giorni fa, al vertice europeo dei 15 ministri della Giustizia e degli Interni, i nostri Castelli e Scajola rifiutarono di mettere la loro firma sull'accordo del mandato d'arresto comune. Non era una buona idea, dissero.

Troppe le differenze tra le varie giustizie nazionali, bisognava arrivare prima alla Costituzione europea e dopo, solo dopo, alla procedura penale comune. Insomma arrivederci al 2010 se mai ce la faremo.
2. Seguirono giorni convulsi. Gli altri 14 paesi erano già d'accordo su tutto e del resto i negoziati sul mandato d'arresto si erano svolti non sottobanco ma alla luce del sole e con la partecipazione dell'Italia. Come mai solo alla fine era spuntato il veto italiano?
3. Il nostro ministro degli Esteri, Renato Ruggiero, avanzò l'ipotesi che il suo collega Castelli conducesse per conto della Lega un suo gioco personale. Castelli ribatté seccamente che di Ruggiero se ne infischiava e che lui aveva eseguito a Bruxelles le direttive del presidente del Consiglio.
Quest'ultimo — operaio laborioso — non proferì parola in proposito.
4. Mentre queste miserevoli farse andavano in scena a Montecitorio e sui giornali, i 14 europei facevano sapere che loro sarebbero andati avanti comunque, anche senza l'Italia. I principali giornali stranieri manifestavano critiche cocenti nei nostri confronti. Qualche bello spirito di casa nostra coniò lo stupendo slogan «Il continente è isolato dall'Italia» .
5. L'opposizione di centrosinistra si slanciò all'attacco con cento buoni argomenti. Di fianco ad essa, sia pure in modi differenziati, interi settori della maggioranza: Fini, i cattolici del Ccd, figure istituzionali come quella del presidente della Camera. I magistrati, già molto scossi dalla mozione passata in Parlamento appena pochi giorni prima che aveva determinato le dimissioni dell'intero vertice della loro Associazione, erano sul piede di guerra. Ciampi non nascondeva il suo profondo scontento. Un sondaggio di Mannheimer, eseguito per il «Corriere della Sera» ma ancora non pubblicato, registrava una notevole perdita di consensi di Berlusconi e dello schieramento di centrodestra.
In queste condizioni si arrivò all'incontro romano del premier belga, presidente di turno della Comunità europea, con il nostro presidente del Consiglio. Ma già Ruggiero, Scajola, Letta, avevano tessuto la sostanza d'un inevitabile compromesso. Non mi pare che la stampa italiana e internazionale ne abbia dato buon conto; perciò è il momento di scriverne con la massima chiarezza. Esso si configura con il seguente titolo che è un classico nel suo genere: «Armiamoci e partite» . Questa «pièce» non poteva trovare migliore interprete di Silvio Berlusconi del quale tutto si potrà dire fuorché non sia un formidabile venditore di tappeti. Per lui farne passare uno tessuto a Gallarate per un persiano del XVIII secolo è un gioco da bambini.

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Che cosa stava principalmente a cuore dei 14 Stati europei già d'accordo sul mandato d'arresto comune, una volta capito che l'Italia si sarebbe chiamata fuori come in effetti si era chiamata? Che il governo italiano non bloccasse tutto opponendo un veto formale.
Che cosa stava principalmente a cuore a Berlusconi? Non inimicarsi una parte della sua stessa maggioranza, accontentare i 14, non creare una rottura «coram populo» con il Capo dello Stato.
Così è nato il marchingegno intitolato «Armiamoci e partite»: l'accordo per il mandato europeo porterà la firma in tutti i 15 paesi della Comunità senza condizioni di sorta, così com'è. Con una sola riserva, piccola piccola: quando dovrà essere messo in esecuzione nel 2004 l'Italia ci sarà soltanto se nel frattempo il Parlamento avrà armonizzato la nostra Costituzione e le nostre leggi con le norme operative del mandato comune europeo. Se non avremo fatto in tempo l'Italia resterà fuori in un binario morto mentre il treno europeo partirà.
Quali sono le modifiche per arrivare a questa armonizzazione? Il nostro «premier» le indica puntigliosamente: divisione delle carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti, attribuzione al Parlamento del potere di indicare le priorità nell'esercizio dell'azione penale. Chi in Parlamento si dovesse opporre a queste modifiche si renderà responsabile del mancato aggancio del vagone italiano al treno europeo.
Il Consiglio europeo ha chiesto queste modifiche? Neanche per sogno. Le ha forse chieste il presidente belga di turno? Assolutamente no. Non c'è alcuna connessione tra esse e l'accordo europeo sul mandato d'arresto. Per di più la carriera dei magistrati e l'esercizio dell'azione penale hanno trattamenti differenziati in Europa; la Spagna, tanto per dirne una, ha più o meno lo stesso regime attualmente vigente in Italia.
Ma quel che importa è che il cerchio è stato quadrato, il tappeto tessuto a Gallarate è stato venduto come un persiano autentico: si parte in 15, non c'è veto, se ne riparla nel 2004, l'Italia fa mettere a verbale ora per allora che se avrà messo la mordacchia alle sue toghe si aggancerà al treno europeo, altrimenti resterà sul binario morto.
Tutti felici e contenti.
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In realtà l'opinione pubblica internazionale ha capito benissimo di che cosa si tratta. Le Monde è uscito con due editoriali al veleno, Liberation ha affermato che il governo italiano ha fatto il gioco delle tre carte, perfino Le Figaro, l'organo della destra francese, ha manifestato critiche severissime e così pure giornali inglesi, tedeschi spagnoli.
La stampa italiana — salvo eccezioni — ha sorvolato rallegrandosi dello scampato isolamento. Le personalità istituzionali hanno festeggiato anche se non si sa bene che cosa. Un solo aspetto della questione risulta chiaro: noi non abbiamo fermato il treno europeo, ma non ci siamo agganciati; decideremo tra due anni se ci converrà, cioè se converrà a Berlusconi, a Previti e compagnia. E intanto avanti con la riforma della giustizia studiata dal Pera popperiano e attuata dal Castelli padano. Chi non ci sta è antieuropeo e peste lo colga.
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Sembra che l'opposizione di centrosinistra voglia riaprire il dialogo sulla giustizia liberandosi dell'accusa di giustizialismo.
Pagherei un bel po' di soldi se qualcuno mi spiegasse che cosa vuol dire giustizialismo. Carcere e manette agli innocenti o presunti tali? Non risulta che Rutelli e Fassino né i loro predecessori abbiano mai invocato la forca agli angoli delle strade. Semmai furono accusati, quelli della sinistra, esattamente del contrario: troppo lassisti, troppo permissivi.
Allora che cosa vuol dire giustizialista? Che si vuole giustizia? Ma quella la vogliamo tutti. Forse Schifani non vuole giustizia? Giuliano Ferrara non la vuole? Pera non la vuole? Mi rifiuto di crederlo. Insisto: che cosa vuol dire giustizialista? Il rifiuto di dare a Previti un salvacondotto del tipo per esempio di quelli che si usavano ai tempi di Richelieu: «È per il bene dello Stato che il latore della presente ha fatto quello che ha fatto»? L'opposizione vuole aprire il dialogo. Rincorrendo le bizzarrie del ministro Castelli e cercando di moderarle? Questo non mi pare affatto un buon metodo.
L'opposizione presenti piuttosto un suo programma di riforma della giustizia che riguardi tutte le questioni vere: tempi del processo, risorse necessarie, organici, sedi, strumenti. Affronti anche, se lo crede opportuno, la questione delle carriere che non deve essere un tabù; i metodi dell'elezione del Csm, per esempio abolendo la presenza dei rappresentanti dei partiti in quell'organo, visto che tutti siamo per la separazione dei poteri, a cominciare dal sullodato Popper, non è vero? Il dialogo tra persone serie si fa così: questo è il tuo progetto e questo è il mio. Adesso discutiamo. Francamente non vedo altro modo.
C'è un solo articolo della Costituzione che va modificato per armonizzarlo con il mandato d'arresto europeo ed è l'articolo 26 che tratta dell'estradizione dei cittadini italiani, in tutto tre righe. In tre mesi sarebbe cosa fatta. Perché aspettare il 2004? Ieri ho letto il manifesto redatto da 130 giuristi che insegnano diritto nelle Università di Torino, Bari, Bologna, Brescia, Cagliari, Camerino, Catania, Ferrara, Firenze, Foggia, Genova, Insubria, Lecce, Napoli, Macerata, MilanoStatale, MilanoBicocca, MilanoBocconi, MilanoCattolica, Modena e Reggio Emilia, Padova, Palermo, Parma, Piemonte Orientale, Piemonte Occidentale, Pisa, RomaSapienza, Roma Tre, Siena, TorinoPolitecnico, Trento, Trieste, Urbino, Verona.
Scusate se l'elenco è lungo ma mi pareva giusto che i lettori ricordassero queste università e i loro giuristi in cattedra. Riporterò l'attacco del documento. Dice così: «I sottoscritti professori universitari di diritto, consapevoli della loro responsabilità di fronte agli studenti e di fronte al dovere di rispettare i principi basilari delle discipline giuridiche, ritengono di non poter tacere su un evento mai verificatosi nella storia parlamentare dell'Italia unita, che mette a repentaglio le stesse fondamenta dello Stato costituzionale.
Il Senato della Repubblica, con la mozione approvata a maggioranza il 5.12.2001 ha sottoposto a violente critiche alcuni provvedimenti giudiziari relativi a processi penali in corso qualificandoli come errati nel merito, eversivi del corretto esercizio delle funzioni giurisdizionali e lesivi delle prerogative del legislatore; il tutto nel quadro di gravissime accuse rivolte a singoli magistrati che avrebbero tentato e tenterebbero tuttora di interferire nella vita politica del paese.
Questo intervento costituisce un grave attentato di intimidazione perché contiene un giudizio di merito su provvedimenti giurisdizionali ancora sottoposti agli ordinari mezzi di impugnazione e come tale attenta alla libertà di valutazione dei giudici negli attuali e successivi gradi del giudizio: al punto da creare il presupposto di un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato in ordine alle funzioni interpretative che necessariamente ineriscono all'esercizio della giurisdizione».
Questi 130 docenti sono giustizialisti? Vanno puniti? Espulsi dalle loro università?
Piacerebbe conoscere in merito il parere di Castelli, Pera, Schifani, Ferrara e figuranti di vario conio. Anche la signora Moratti dovrebbe dire la sua: si può andare avanti con docenti di questa risma? Un intervento a me sembra indispensabile.
P.S. È ben chiaro che in tutta questa così penosa faccenda tutti hanno vinto salvo gli interessi e l'immagine del nostro paese.