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      Se Silvio Berlusconi
      fosse un uomo politico normale, bisognerebbe convenire con Francesco
      Cossiga: «La vicenda delle nomine Rai è una grande farsa». Ma il
      Cavaliere non è un politico normale. E´ il presidente del Consiglio
      eletto dal popolo italiano. Possiede una maggioranza del 55,9% dei seggi
      del Senato e del 58,4% dei seggi della Camera. Ma possiede anche Mediaset,
      un impero televisivo e pubblicitario che vale tre reti nazionali e oltre
      10 miliardi di Euro. Per questo la vicenda delle nomine Rai,
      inesorabilmente intrecciata al conflitto di interessi, è qualcosa di
      molto più serio, e di molto più grave, di una semplice farsa da Prima
      Repubblica. 
      La parabola berlusconiana si gioca nel groviglio tra la gestione del
      business privato e l´amministrazione della cosa pubblica. La «questione
      televisiva» è inscindibile dal destino personale e politico del
      Cavaliere. E´ per lui il paradigma di tutto. 
       
       
      
      
       
      Il premier e l'uso privato delle istituzioni
      
       
      E allora non
      sorprende se proprio intorno a questo paradigma si consumino due
      lacerazioni profonde. La prima compromette in modo forse irreparabile i
      rapporti tra maggioranza e opposizione, decretando il dissolvimento di
      quello spirito bipartisan che il Capo dello Stato invoca inutilmente da
      mesi. La seconda altera in misura non ancora calcolabile gli equilibri
      interni alla stessa maggioranza, minandone gli assetti per il resto della
      legislatura. 
      Lo strappo tra la Casa delle Libertà e l´Ulivo avviene proprio sulla
      legge che dovrebbe regolamentare il conflitto di interessi. Nella
      discussione sul testo Frattini, l´opposizione abbandona i lavori per
      protesta. Compie un gesto di rottura clamoroso. Non lo compie in aula, la
      sede dove il Parlamento decide sul merito. Ma in Commissione affari
      costituzionali, il luogo dove si ragiona sul metodo, si discutono le
      regole del gioco e le garanzie democratiche. Non è un Aventino, tipo
      quello che il centrodestra inscenò nel ´96 contro la Finanziaria per
      Maastricht varata dal governo Prodi. Ma la scelta dell´opposizione apre
      per la prima volta dal 13 maggio una fase di conflitto aperto tra i Poli,
      e chiude per chissà quanto tempo ogni spiraglio al dialogo sulle riforme. 
      E soprattutto, la scelta dell´opposizione lascia la maggioranza sola, e
      nuda di fronte alla sua ipocrita incoscienza. Su un impianto normativo già
      di per sé debole, il centrodestra ha inserito un emendamento che per
      maliziosa concisione, ma con innegabile efficacia, è stato ribattezzato
      «norma salva-premier»: la semplice proprietà di un´azienda non
      prefigura un conflitto di interessi e quindi non rientra nella categoria
      delle «incompatibilità» rispetto alle cariche di governo. Basta tenersi
      il pacchetto azionario, e nominare un buon amministratore delegato, e il
      problema è risolto. Se la legge passasse così, Berlusconi potrebbe
      continuare a fare serenamente il padrone di Mediaset e il presidente del
      Consiglio. Ma il massimo dirigente della sua azienda, Fedele Confalonieri,
      non potrebbe fare altrettanto. 
      In questo paradosso c´è tutta l´enormità e l´irrisolvibilità del
      conflitto di interessi. Le nomine Rai ne rappresentano l´altra faccia,
      non meno oscura. Dopo una settimana di annunci finti, passi falsi, scontri
      palesi e baratti sotterranei, il centrodestra si rivela incapace di
      sbrogliare con una modica quantità di decenza la matassa del rinnovo dei
      vertici della tv pubblica. I presidenti di Senato e Camera, cui spetta per
      legge il compito di indicare il nuovo consiglio di amministrazione, sono
      braccati, divisi, paralizzati. E´ lo stesso Berlusconi, con le sue
      parole, a far ridare fuoco alle polveri. «Ho detto a Fini di dire a
      Casini, se lo vede, di non perdere tempo sulle nomine Rai. E´ ora di
      chiudere questa telenovela». Farsa, telenovela. Frasi del genere,
      pronunciate con qualche sarcasmo nei confronti della terza carica dello
      Stato, segnalano un genere un po´ più drammatico. Benchè lo neghi, con
      queste parole Berlusconi conferma l´esercizio di una pressione costante e
      crescente, soprattutto su Casini. Perché decida in fretta, e come piace a
      lui. 
      Il presidente della Camera ha stoppato la nomina alla presidenza Rai di
      Carlo Rossella, gradito al Cavaliere, e suo dipendente alla guida di «Panorama».
      Ha preso tempo, cercando di segnalare l´esigenza di scelte meno
      profilate, sul piano dell´appartenenza aziendale, prima ancora che
      politica. Ha avuto in Ciampi una sponda, sia pure nei modi e nelle forme
      discrete che il Quirinale ha scelto, per partite delicate come questa. Ma
      Berlusconi non gliel´ha perdonata. E ora - mentre afferma mentendo «mi
      tengo fuori da ogni responsabilità sulle nomine» - tratta il presidente
      della Camera come uno dei suoi maggiordomi di Arcore. E gli lancia un
      avvertimento neanche troppo subliminale: «Non deve decidere nel vuoto».
      Perché anche lui è stato eletto da una maggioranza. I nuovi vertici Rai
      devono riflettere quella maggioranza. Assicurarne la visibilità. E
      soprattutto preservare gli interessi di chi la guida. 
      Non è la lottizzazione che fa scandalo. Anche la sinistra ha lottizzato.
      Anche l´Ulivo ha nominato il precedente Cda di Viale Mazzini «a sua
      immagine e somiglianza». Quello che preoccupa è piuttosto l´«uso
      privato» delle istituzioni, che tradisce il limite del Cavaliere.
      Qualunque sua mossa è funzionale ai bisogni del «partito Mediaset»,
      molto più che a quelli del Paese. In nome dei primi, è disposto a
      comprimere i secondi. E anche a sacrificare l´autonomia e l´immagine
      delle alte cariche dello Stato. Un consiglio Rai di profilo basso e
      gregario marchia a vita i presidenti di Senato e Camera. Ma questo, per il
      Cavaliere, non conta. Quello che conta è che la tv pubblica gli sia «gradita».
      E che i manager della sua tv privata gli siano «grati», per non dover
      subire la sfida di una concorrenza troppo spinta sui programmi e sul
      marketing. 
      Ma c´è anche un altro strappo, che va segnalato oggi. La tensione tra
      Berlusconi e Fini, e poi il grande freddo tra Berlusconi e Casini, aprono
      uno scenario ignoto e inesplorato sui rapporti interni alla maggioranza.
      Dopo il voto del 13 maggio, e anche questa è una prima volta, si sfarina
      il cemento che unisce la Casa delle Libertà. Il premier vede riapparire i
      fantasmi di un asse tra An e i centristi. Questi ultimi non si fidano più,
      e si coalizzano per bilanciare la spinta inerziale e ingiustificata che il
      Cavaliere continua a mostrare nei confronti della Lega di Bossi. Anche
      qui, fa fede una premonizione di Cossiga: la vicenda Rai può davvero
      trasformare «la natura dell´alleanza», e far diventare la Casa delle
      Libertà un´altra «Cosa», ancora informe e misteriosa, rispetto a
      quella conosciuta fino ad oggi. 
      Non è difficile prevedere, per i prossimi giorni, una contesa politica
      sempre più aspra. Il centrosinistra la fronteggia in condizioni penose,
      sconfortanti. Il colpo battuto ieri sul conflitto di interessi è stato
      forte, ma arriva da un corpo politicamente morto. La lunga campagna
      elettorale spesa unicamente all´insegna di quella che Mannheimer chiama
      la «mobilitazione drammatizzante» contro Berlusconi, lo sfacelo
      successivo alla sconfitta, le urla degli artisti e i girotondi di piazza.
      Tutto ha contribuito a sfibrare la coalizione. Ieri è bastato che si
      sfilasse una radice, quel Pdci di Oliviero Diliberto che vale l´1,8% dei
      consensi, e l´Ulivo è crollato. Non c´è più. Forse può recuperare. O
      forse no. Dovrebbe ricominciare a fare politica, ridandosi un profilo e un´identità.
      Gli strepiti della piazza, rozzi e semplificatori, saranno pure una
      scorciatoia pericolosa. La deriva protestataria e gauchista sarà pure un´involuzione
      verso l´antipolitica. Ma tutto può diventare politica, quando quest´ultima
      ha rinunciato, o è scomparsa.
      
       
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