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Enzo Mauro, Quando l'interesse privato mette l'Italia fuori gioco, in  La Repubblica 4 ottobre 2001

 

UNA legge dello Stato italiano costruita apposta per rendere più difficili le rogatorie, e per mandare in fumo gli elementi di prova raccolti nei processi grazie alla collaborazione internazionale tra i magistrati: l'ha approvata il Parlamento (ieri c'è stato il voto definitivo del Senato), proprio nelle stesse giornate in cui tutto l'Occidente sta studiando le misure utili per potenziare la caccia al terrorismo internazionale anche attraverso l'individuazione di conti, percorsi bancari, operazioni di riciclaggio.
Clamorosamente, l'Italia politica di Silvio Berlusconi si è messa fuori gioco, con una scelta politica che è insieme di protervia e di disperazione. Una scelta che cancella di fatto alcuni processi penali in cui è coinvolta la cerchia più intima di uomini del Cavaliere, imprime un marchio d'interesse privato all' intera legislatura e soprattutto danneggia gravemente l'immagine internazionale dell'Italia.

Tutto questo è avvenuto a meno di un mese dall'attacco a New York e Washington, con il mondo che si interroga sugli strumenti più adatti ad individuare la rete - anche finanziaria - del grande crimine terroristico. Bush ha immediatamente denunciato 27 organizzazioni legate al fondamentalismo islamico, l'Europarlamento ha deciso proprio ieri di riservare una corsia preferenziale per approvare subito il congelamento dei fondi delle società presenti su quella "lista nera", Romano Prodi ha chiesto una procedura di assoluta emergenza su questo tema, diciannove Paesi hanno già bloccato i fondi di Bin Laden, la Germania da sola ha "fermato" 214 conti bancari.
In un quadro come questo, la destra italiana ha impegnato il Parlamento a corpo morto su una legge che certamente non c'entra nulla con il terrorismo, ma che incarna un sentimento e una preoccupazione opposti allo spirito civile che muove oggi le democrazie occidentali: lo scopo è quello di abolire le procedure semplificate che sveltiscono le rogatorie internazionali, sulla base di un accordo tra Italia e Svizzera, rendendo così inutilizzabili molti elementi di prova raccolti dai magistrati, e connessi a testimonianze rese in giudizio, che diventeranno anch'esse carta straccia. Perché il Parlamento ha deciso che le norme approvate ieri hanno effetto retroattivo, e dunque diventano nulli documenti e mezzi di prova raccolti con procedure che da oggi sono considerate viziate, anche in forma lieve. Tutto questo, come hanno spiegato il Csm, l'Associazione nazionale dei magistrati e alcuni procuratori della Repubblica, svuoterà molti processi, dal riciclaggio al traffico di armi, al traffico di droga, oltre agli ultimi atti di Mani Pulite che coinvolgono nei procedimenti aperti a Milano uomini di primo piano del mondo berlusconiano, come Cesare Previti. In alcuni casi, è prevedibile che gli stessi pubblici ministeri chiederanno la chiusura dei dibattimenti per l'inutilizzabilità degli elementi di prova che avevano raccolto, che talvolta erano già stati esaminati in aula e che comunque da oggi non hanno più alcun valore.
C'è dunque un elemento, gravissimo, di giustizia sostanziale, che pesa sulla responsabilità della maggioranza. Ci sono questioni che chiamano in causa l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, nel momento in cui per alcuni deputati eccellenti si studiano norme ad hoc, si applicano ritmi parlamentari di assoluta emergenza scanditi sui tempi delle scadenze processuali, si forzano i regolamenti e le procedure di un'istituzione come il Senato pur di arrivare prima della giustizia. Mai, nemmeno nei più travagliati anni italiani, la politica si era così plasticamente contrapposta alla giustizia, arrivando a trasformare in legge apposita le eccezioni di inutilizzabilità che gli avvocati degli imputati eccellenti (Previti, Berlusconi, Pacifico, Squillante) avevano già sollevato nelle aule dei tribunali, e che erano state vagliate e respinte dalle Corti. Siamo arrivati al punto che quelle eccezioni, rigettate, diventano ora norma dello Stato. D'altra parte cosa potevamo aspettarci, visto che gli imputati di quei processi sono in buona parte diventati politici di spicco della maggioranza, mentre i loro avvocati si sono trasformati in legislatori, e l'uomo che unifica il tutto - Silvio Berlusconi - è il loro capopartito e il presidente del Consiglio?
E tuttavia, qualcosa non torna, anche per chi ieri ha vinto al Senato (con l'umiliazione del presidente, costretto da se stesso a forzare le procedure) e oggi forse brinda alla scampata giustizia. E ciò che non torna è l'anomalia politica, civile, repubblicana - ben più che giudiziaria - di quanto è appena avvenuto. Sapevamo che questa destra italiana era autoreferenziale, chiusa in sé e nel suo progetto di difesaoffesa, rivoluzione e disperazione. Conoscevamo fino in fondo il peso dell'impronta berlusconiana, che tutto marchia nel suo campo, lasciando un segno terribile di sé, riducendo tutte le questioni - civili, politiche, economiche - ad una: la sopravvivenza al comando del leader e del suo gruppo. Immaginavamo il peso di condizionamento interno - una golden share misteriosa e tuttavia possente al punto da essere quasi visibile - che uomini come Previti e Dell'Utri esercitano sull'attuale presidente del Consiglio. Ma era comunque difficile credere che tutto questo portasse la destra italiana al punto di ignorare o disprezzare il contesto internazionale, il clima civico dell'Occidente dopo una sfida mortale che è anche sfida alla giustizia, alle sue regole, alla legalità profonda.
E invece, mentre tutte le democrazie sono impegnate a stringere una rete di relazioni utili a individuare e sconfiggere l'illegalità per togliere l'acqua in cui nuota il terrorismo, l'Italia drammatica di Berlusconi si muove da sola e furtivamente sotto la linea d'ombra della guerra, convinta di poter sfruttare la tragedia internazionale per regolare i suoi conti più inconfessabili. Un'Italia dalla giustizia autarchica e su misura per il suo leader, i suoi uomini e i suoi guai, un Paese con i paraocchi e un'idea fissa in testa, il salvacondotto: a qualunque costo. Nella peggiore delle rappresentazioni del berlusconismo, prima del voto, pensavamo ad un uomo e un partito che giunti alla conquista del potere lo avrebbero utilizzato nel segno di una destra populista, non adatta ad una grande democrazia occidentale. La realtà è invece più modesta e nello stesso tempo peggiore, comunque più ristretta, meschina: il potere serve a costruire il salvacondotto, lo Stato serve per varare leggi ad hoc. La grande rivoluzione berlusconiana dei primi cento giorni è fatta di queste conquiste private: la legge sul falso in bilancio, il progetto (addomesticato) sul conflitto di interessi, le norme sul rientro dei capitali all'estero e infine l'assalto alle rogatorie, per spazzare direttamente via dai processi gli elementi di prova.
Non colpisce tanto la spudoratezza, l'impunità di questo atteggiamento. Colpisce, piuttosto, la mancanza di senso dell'opportunità. Ed è qui che i conti non tornano, per la destra che crede di aver vinto. Basta guardare bene cos'è accaduto, dare un nome alle cose, mettere in fila i gesti, le convenienze, i comportamenti. Formulare i nomi e i cognomi. Badare alle date, incrociare gli atti giudiziari con gli atti del Parlamento. Si avverte un senso di disperazione, una corsa per sfuggire alla tragedia, un'ansia da animali braccati che spiega tutto, ma trasmette al Paese un segnale di precarietà culturalpolitica, di instabilità psicologica, di potere robusto ma incerto, bacato nella sua base più profonda, nella radice. E' il sentimento dell'avventura, che promana da tutta la vicenda berlusconiana, prima imprenditoriale poi politica, una vicenda vittoriosa e insieme avventurosa, mai serena nella declinazione pubblica del potere, continuamente incalzata da un passato irrisolvibile, eternamente angosciata da uno spirito di battaglia obbligata, come di chi attacca perché sente di doversi perennemente difendere.
Il guaio, per Berlusconi e per il nostro Paese, è che questo spirito d'avventura è esattamente l'immagine che la leadership italiana sta proiettando di sé all'estero. La tragica ma inevitabile coincidenza tra l'incidente internazionale del Cavaliere con il mondo islamico e la legge sulle rogatorie ha già attirato l'attenzione della grande stampa internazionale, della comunità finanziaria, dell'Unione Europea, delle cancellerie, e anche dell'amministrazione americana che sta rinviando di giorno in giorno il viaggio alla Casa Bianca dell'alleato italiano. In una parola, l'establishment internazionale sta incominciando a fare i conti con l'anomalia berlusconiana, un'anomalia europea, non solo italiana. Non bastano le maggioranze blindate in Parlamento, pronte a muoversi come un sol uomo pur di liberare Previti, per convincere l'establishment. L'esame è incominciato. Purtroppo, per gli errori del Cavaliere paga l'Italia.