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IL RICERCATORE
Bonomi: attenzione, si è bloccata la mobilità sociale
«Per chi abita nelle periferie è diminuita la speranza di vedere i propri figli lavorare in centro»

 

dal Corriere - 20 febbraio 2002

 

«Il guaio è che si è rotto l'ascensore». Una metafora semplice per spiegare «dinamiche sociali sempre più faticose», dove la forbice tra benessere e povertà è sempre più ampia, dove chi è in affanno rischia di finire fuori strada. Il Paese si divide sulla flessibilità, l'articolo 18, i licenziamenti facili, su un futuro che sembra senza sicurezze. E Milano, capitale del lavoro e della new economy, ma anche del riformismo, delle garanzie, della solidarietà, come reagisce la saggia, operosa Milano? Risponde Aldo Bonomi, 51 anni, ricercatore sociale, saggista, direttore del Consorzio Aaster per lo sviluppo del territorio.
Bonomi un tempo aveva tracciato lo scenario di una metropoli spaccata in due come Marozia, una delle città invisibili di Italo Calvino. Di qui la Milano del topo, dei senza-tetto e senza-opportunità, degli anziani in difficoltà, la città del disagio, degli immigrati e della solitudine. Di là la Milano della rondine, che vola nel mondo, produce ricchezza e propone efficienza.
Conferma, professore?
«Fino agli Anni 70 Milano è stata una città verticale. Chi abitava nelle grandi periferie urbane sapeva che non sarebbe mai arrivato in centro. Tuttavia coltivava la speranza che, un giorno, ci potessero lavorare i suoi figli. L'ascensore funzionava, nonostante i conflitti di classe».
Oggi non è più così?
«Oggi Milano è una città orizzontale. A prima vista si potrebbe pensare: siamo tutti sullo stesso piano, allora stiamo tutti meglio. Invece no: perché si innesca il meccanismo perverso dell' in or out , dentro o fuori. La distanza tra i margini e il centro è cresciuta, mentre è diminuita la speranza di colmarla. I rapporti sono rigidi, gli scambi difficili. In più la città orizzontale ci sconvolge. I ghetti sono ovunque. Gli ultimi hanno "invaso" i luoghi più "in". Ma così si alzano steccati altissimi. Così esplodono le polemiche. Così nasce il rancore sociale. Penso agli addetti alla pulizie che scioperano e bloccano la Stazione centrale».
Milano capitale dei senza-garanzie e delle nuove povertà?
«Dal punto di vista numerico è cambiato poco. È invece completamente mutato il quadro rappresentativo. Milano è un pendolo che oscilla tra il massimo di innovazione e il massimo di mediocrità. Da un lato è la metropoli delle net economy, capace di esportare modelli di organizzazione del terziario in tutta Italia, capitale della finanza e della comunicazione. Ma dall'altro è anche il luogo delle mediocrità. Pensiamo alle cattedrali del denaro, intorno a Piazza Affari. Quando gli uomini del business, fatti i "danée", spengono le luci, entrano gli addetti alle pulizie. È, questa, la città invisibile. La città del disagio».
In mezzo?
«In mezzo ci sono coloro che hanno conservato le tutele della società verticale attraverso le associazioni di categoria, i lavoratori più o meno garantiti, che lottano per l'articolo 18 e non vogliono flessibilità».
Come dar voce al disagio?
«C'è un'altra metafora che mi sta a cuore. La metropoli dai tre volti. Da un lato c'è la città dell'Aem, Azienda elettrica milanese. La città di chi sta al vertice. Di chi ha il massimo della visibilità e tiene i riflettori puntati in viso ogni giorno. In mezzo ci sono coloro che vengono illuminati dalle loro rappresentanze, forti di una visibilità indiretta e sempre più fioca. Infine esistono gli angoli bui, là dove i lampioni vengono accesi una tantum e con molta fatica. Penso al ruolo fondamentale svolto, in questo senso, dalla Caritas di don Colmegna. C'è il problema di via Barzaghi? Via, chiamiamo don Colmegna. Ma penso anche alle posizioni del cardinal Martini sugli effetti nocivi della flessibilità».
Un quadro non ottimistico. Come se ne esce?
«Bisogna reinventare un tessuto sociale intermedio. Mi spiego. Nella società verticale c'erano punti fermi, pesi e contrappesi. Il solidarismo ambrosiano. Chi lavorava per i Falck, a esempio, aveva la possibilità di abitare nel villaggio Falck e acquisiva tranquillità. Oggi il problema delle case agli immigrati è esplosivo. Penso agli anziani soli, un altro problema enorme: si costruiscono case di riposo, ma chi se le può permettere?».
Che cosa fare allora?
«La soluzione è: rilanciare i meccanismi di rappresentanza. La baruffa tra chi sostiene l'iperflessibilità e chi invoca la conservazione delle regole, invece, rischia solo di trasformare la penombra in buio pesto».
Paolo Baldi