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E sulla magistratura incombe il "divide et impera" del Cavaliere
Se dovessero andare in porto i progetti sulla scuola e sulla commissione speciale per le toghe lŽesecutivo recupererebbe trionfalmente i vecchi poteri
EŽ facile capire che quel che bolle in pentola sono le carriere separate: in teoria nulla di grave, ma ad affermarlo nel contesto di questa Italia viene da ridere
FRANCO CORDERO

 

da Repubblica - 17 aprile 2002


Erano annunciate riforme dellŽordinamento giudiziario. Ecco lŽembrione, il disegno dŽuna delega: materia fluida, già mutata in mano ai proponenti; e poiché lŽattuale governo patisce le dispute parlamentari, sebbene abbia sponde ferree nelle Camere, la procedura appare conforme al nuovo stile. Sono disegni da votare nellŽaula (art. 73 Cost., c.4): i deleganti formulano «princìpi e criteri direttivi» (art.76), ossia premesse generali, con i parametri secondo cui specificarle, ma restando ampi margini, i testi finali sfuggono al controllo; unico rimedio lŽaccertamento dŽincostituzionalità qualora il decreto esorbiti dalla delega. EŽ lŽiter normale nelle codificazioni. Stavolta niente lo imponeva: le future norme non richiedono prose-fiume, né constano precedenti; i testi capitali sono leggi, non decreti (24 maggio 1951 n. 392; 24 marzo 1958 n. 195; 4 gennaio 1963 n. 1; 25 luglio 1966 n. 570; 20 dicembre 1973 n. 831; 22 dicembre 1975 n. 695; 2 aprile 1979).
LŽargomento scotta nel programma berlusconiano, e non perché lŽItalia lamenti una giustizia lenta, costosa, fallibile. EŽ problema politico, come controllarla. Sotto false insegne liberali, gli attuali signori sopportano male i poteri separati: tipiche queste direttive, né spira aria favorevole ai ripensamenti; anzi, i pessimisti temono colpi di mano dal partito blu, dove comandano bellicosi avvocati. Se lŽironia ha ancora corso, sia concessa una parentesi. Decreti dŽurgenza e delegati configurano lŽunico potere normativo forte esercitabile dallŽesecutivo, mentre i re ne avevano dŽautonomi: disciplina militare (art. 5 Statuto), uffici e stato deglŽimpiegati (artt. 5 sg.), materie ecclesiastiche (art. 18), ordini cavallereschi e titoli nobiliari (artt. 78 sg.); era un flebile relitto delle monarchie iure divino. Quanto le rimpiangono impenitenti reazionari, una famiglia inestinguibile, da Clemente Solaro della Margarita, microcefalo anticavouriano, ai rampanti cultori del Graal tecnocratico, assiso nei consigli dŽamministrazione (sono i moderni Templari); e siccome B., decisionista par excellence, ha lŽancien régime nel sangue, quando sia asceso al Colle, capo dŽuna repubblica rifondata o da rifondare secondo i suoi gusti, forse riattiva le prerogative regali, inclusa magari la «justice retenue» dei re cristianissimi. San Luigi teneva udienza sotto un olmo. Lui daterà i rescritti da Arcore.
In sede retrospettiva va detto. Non è da imitare lŽaustera Destra storica: alle prese con una materia ribelle costretta nel telaio subalpino, usava glŽinstrumenta regni in spirito giacobino (guai se lo sapessero gli attuali «liberal» ); erano tempi straordinari. Quanto poco le somigli lŽomonima 2002, lo dicono riscoperte agiografiche: duchi, granduchi, Borboni, papa-re, briganti, Madonne che piangono, crociate contadine; negli anni Trenta storiografi fascisti fabulavano un Risorgimento autoctono, misogallo, immune da influssi europei, mentre ora tiene banco lŽantirisorgimento tout court. Mi domando cosŽaspetti qualche fiero reminiscente a cantare le bande sanfediste calabresi del cardinale Fabrizio Ruffo, 1799, contro gli occupanti atei e lŽodiosa intellighentsia napoletana, salutarmente massacrata dai lazzaroni. I fondatori dello Stato combattevano insorti, camorre, revanscismo centrifugo, clero refrattario, anarchia (rectius, fame). Affari eccepibili risalgono allŽepoca virtuosa: famoso quello delle Ferrovie meridionali, 1862-4, o la «Regìa cointeressata dei tabacchi», 1868-9; post 1876, spodestata la vecchia élite, lŽaffarismo dilaga. La giustizia politica era una delle accuse mosse dalla Sinistra, i cui uomini, borghesemente duttili, seguono lŽesempio: governi deboli, schieramenti ambigui, crisi ricorrenti, vortice trasformistico; soggetti al ministero nelle sorti elettorali, i parlamentari lo ricattano col voto sulla fiducia; procuratori del Re fungono da agenti elettorali, requirenti e giudici coltivano i favori del deputato. Insomma, le memorie ottocentesche hanno poco dŽedificante. Superfluo dire poi quanto pesi lŽipoteca governativa nel ventennio nero.
Con tali precedenti ogni salto indietro sarebbe nefasto, anche perché, absit iniuria, lŽodierna Destra sta moralmente agli antipodi della post-cavouriana. LŽunica sua ideologia è un praticismo antimoralistico: corsa al business ovvero primato dei furbi; che sia la loro stagione, consta da allegre casistiche. Lo stilnovo implica un lassismo giudiziario selettivo: mano dura sul disordine basso; via libera ai colletti bianchi.
Nella poesia provenzale spirava «amour de lohn». Covano sentimenti anche tecnocrati. Abbiamo un governo reminiscente dei bei tempi, quando dominava le curie attraverso i meccanismi della carriera: promozioni e trasferimenti dipendevano dal guardasigilli; il quale negli affari corporativi lasciava mano libera ai vertici togati (le Cassazioni, poi ridotte a una), purché fosse garantita piena fedeltà. Patto implicito e abito conformistico: destavano scandalo, puntualmente represso, le scelte devianti, ad esempio, che fossero assolti i portatori dŽuno stigma politico; e gli episodi scandalosi sŽinfittivano nei climateri, sotto governi deboli, velleitari, talvolta inclini al colpo basso autoritario, quali erano i ministeri Rudinì e Pelloux, 1896-1900. Ma consideriamo le novità, cominciando dalla «Scuola della magistratura», addetta al tirocinio e aggiornamento professionale. Idea lodevole: non sono mai troppi i peripli intellettuali; e ci vuole qualche controstimolo al torpore della carriera automatica. Va benissimo, quindi, una «struttura didattica» permanente. Meno bene che vŽincomba il ministro: in concerto col Csm nomina 3 su 5 componenti del comitato direttivo; dallŽaggressivo interventismo spiegato negli ultimi mesi è arguibile lŽascendente che vi conquisterà. Voleva tenersela nel ministero, tale essendo la sede naturale (confida ai giornali, 18 marzo): gesto impolitico; e lŽha diluito con un passo obliquo. LŽimportante era sottrarla al Csm, sua bestia nera. Ora la vediamo sullŽaltra sponda tiberina, un poco a monte, ancorata alla Cassazione, il cui presidente nomina gli altri due nel comitato: ma rimane il cordone ombelicale governativo; siccome i corsi dŽaggiornamento incidono sulla carriera, id est funzioni e stipendio, incarichi e direttivi inclusi, la mano estranea ridiventa pesante, come quando nessuno sognava lŽautogoverno. Pitture quattrocentesche inscrivono il mondo nel globo oculare divino. LŽocchio ministeriale vede tutto: ogni magistrato subisce dei vagli; i relativi giudizi, acquisiti al fascicolo personale, pesano sulla sua sorte nei 6 anni seguenti. I corsi dŽaggiornamento fungono da griglia selettiva e se un esecutivo come lŽattuale vi allunga le mani, gli esiti sono prevedibili. LŽautentica intelligenza non è mai servile. Infatti, corrono tempi ostili ai cervelli.
Cadranno le «teste storte»: chi lŽavesse troppo pensante sarebbe marchiato ancora peggio; «stortura» significa nuotare fuori dalla corrente. NellŽipotesi migliore fioriranno prose circonvolute. Lo stile italiano delle sentenze aveva un difetto cronico, nel cui passato remoto barbugliano loquele moltiplicate dallŽalluvione editoriale dei «consilia» o pareri venali: dove ogni opinione dottrinale (le chiamano «autorità») funga da possibile norma, tale broda sprigiona effetti inquinanti; Muratori li vitupera, 1742, auspicando fonti meno impure. Tra Otto e Novecento i meccanismi ministeriali della carriera consolidano il fenomeno: lŽesecutivo vuole giurisprudenze docili e non bastano più i nudi dispositivi; dovendoli motivare, il sistema sviluppa gerghi dove tutto sia asseribile, una cosa e lŽopposta. Quanti varchi aprano al malaffare, lo dicono processi milanesi. Insomma, lŽintromissione politica porta fumo. Va bene la scuola, tanto meglio quanto più vi contino materie ed esercizi mentali aborriti dai praticoni parolai: la migliore pratica, tra le pulite, è usare buone teorie col minimo dispendio verbale; ma il ministro stia fuori.
Tout se tient nelle mosse del governo. Eccone una prediletta, absburgicamente definibile «divide et impera» (tentata, ad esempio, sui sindacati). B. vuol convertire la Cassazione in blocco corporativo, suo enfant găté: le accorda 20 giorni al mese dŽindennità, ferie escluse, come se fossero tutti in trasferta (i residenti la considerino mancia); una commissione speciale valuta gli aspiranti consiglieri formulando pareri praticamente decisivi; lŽesautorato Csm nomina i 5 selettori ma deve sceglierli nella rosa indicata dal ministro. Tra scuola e commissione speciale lŽesecutivo recupera trionfalmente i vecchi poteri. La stessa strategia traspare dalla delega bianca, costituzionalmente invalida, a definire le figure dŽillecito disciplinare. Stravagante, poi, e presumibilmente funesta, lŽidea dŽincludere rappresentanti delle Regioni nei consigli giudiziari presso le corti dŽappello: 2 componenti su 9; vigilano sugli uffici nel distretto, segnalando eventuali anomalie, e formulano proposte sul relativo assetto. Bel modo dŽinoculare una sepsi politica nel circuito.
Siamo solo allŽesordio. Giustizia maniable, chiedono gli strateghi, e il programma implica un pubblico ministero-funzionario guidato dal gabinetto. EŽ ancora presto: meglio non dirlo; lŽidea però erompe dallŽeufemismo «funzioni separate» (quasi fossero mai state commiste). La solita scuola concede o nega lŽassenso a chi da requirente voglia diventare giudice o lŽinverso. Cosa bolla nel pensatoio, lo capiscono anche i meno acuti, carriere separate. In teoria, niente dŽinfernale: sono ipotesi rispettabili; su dati presupposti può darsi persino che configurino lŽottimo regime. Sto presupponendo un parlamento virtuoso dove abusi e omissioni degli organi dŽaccusa reclutati dal ministro ricadano sullo stesso (interpellanze, sfiducia, dimissioni, crisi governativa), trovando effettivo rimedio. Non è il caso italiano, e viene da ridere se qualcuno afferma che lo sia. Dalle nostre parti accuse discrezionali e accusatore avulso dallŽordine togato significano mano politica, lesta, dura, indulgente, secondo atmosfere, circostanze, persone: così qualcuno aveva tentato dŽassicurarsi negli Ottanta, fiutando disavventure; finché la consorteria fosse stata al potere, nessun pubblico ministero governativo avrebbe scoperchiato i malaffari. Non è ancora tempo. NellŽattesa vale un interdetto linguistico ma Sua Eccellenza padana, al quale le parole ogni tanto sfuggono, lŽha violato scoprendo le carte: erano sul tappeto le misure cautelari europee; prima bisogna adeguare glŽistituti italiani agli europei, salmodiava sorridente, notando come da noi lŽazione penale sia ancora obbligatoria, et coetera. Verrà il turno del pubblico ministero, perché B.
procede con inesorabile «dirittura» (nel senso spaziale). Non è ancora attuale un ritorno secco a quando dipendeva dal ministro, come cane da guardia dei giudici. Il primo passo verosimilmente sarà una disciplina periodica delle priorità penali, dettata dal parlamento. Se ne parlava, poi i corifei hanno taciuto. A parte lŽobbligo dŽosservarle e relative pene disciplinari, sarebbe nel limpido stile delle norme sulle rogatorie comminare lŽimprocedibilità dei casi intempestivi (ad esempio, corruzione giudiziaria, posposta al furto negli appartamenti), e con effetti curiosi: finché non sia sbrigato lŽultimo caso prioritario, nessuno muova dito: flussi regolati da fuori saturano gli uffici requirenti, investigazioni difensive allungano i tempi; se lŽaffare lo richiede, intervengono patroni convolati dal soccorso rosso al blu. LŽipotetico lunario delle priorità prefigura pubblici ministeri dal collare ministeriale. Vele al vento, navighiamo indietro, verso la Kabinettsjustiz.