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Riforma senza cornice

A cura di Libertà e Giustizia, dicembre 2002

La discussione sulla devolution è più che mai aperta, e i rischi di questa riforma sono ormai sotto gli occhi di tutti. Scuola, sanità e sicurezza pubblica (tre temi tra l'altro agitati come nevralgici dala Casa delle Libertà durante la campagna elettorale) rischiano uno smembramento insensato, che sembra inseguire l'obiettivo tutto ideologico di rafforzare la parte ricca e forte del Paese a danno delle aree più povere.
Su questi problemi, il centrosinistra sta conducendo una dura battaglia in parlamento, dopo che nella scorsa legislatura si era in qualche modo reso colpevole di un tentativo di riforma federalista affrettata e in qualche modo elettoralistica, cioè concepita in gran parte per tagliare la strada alla Lega. Ma il conflitto cresce anche all'interno del Polo, dove i centristi sono in difficoltà per la politica di Bossi, mentre Fini, che dovrebbe in teoria difendere l'unità nazionale, sembra appagato e paralizzato dalle picole norme di compenso con cui Tremonti pacifica i vari potentati interni ad Alleanza Nazionale. A sottolineare il disagio del centrodestra, si è mosso il ministro dell'Interno Pisanu, che si è dichiarato assolutamente contrario a norme che rompano l'unitarietà del disegno di sicurezza nazionale, smembrando con appetiti localistici le Polizie.
Ma c'è qualcosa di più, che va sottolineato finchè siamo in tempo. La riforma dello Stato, tra il centro e la periferia come tra le diverse istituzioni, non si fa a spintoni propagandistici, non si realizza per placare la febbre ideologica di un alleato minore e scomodo, non si compie al di fuori di un quadro di riferimento consapevole e coerente. Qual'è dunque la cornice istituzionale e costituzionale che Berlusconi ha in mente e nella quale vuole inserire l'importante tassello della devolution? Siamo davanti a brandelli di costituzione aggiornati e modificati secondo necessità contingenti, o siamo di fronte ad un disegno complessivo di riforma, che può piacere o non piacere, ma ha una sua dignità istituzionale, si pone il problema degli equilibri, dei controlli e dei contrappesi? Si sente dire che dietro la devolution, appagato Bossi, spunterà il presidenzialismo. La prima serve all'ideologia bossiana; il secondo, alla biografia berlusconiana.
E' un po' poco, per mettere mano ad un riordino dello Stato. Il presidente del Consiglio, anche per dare uno sfondo e una legittimazione alla riforma in discussione, dovrebbe sentire il dovere e l'ambizione di spiegare in parlamento verso quale progetto istituzionale si sta muovendo. Anche per evitare il sospetto che in un Polo senza un senso definito dello Stato e senza una cultura consapevole delle istituzioni, ognuno manometta qualcosa secondo convenienze politiche o ideologiche, chiamando tutto questo riforma.