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I professionisti dell'odio e la forza dell'ironia
di Luigi Cancrini

in l'Unità 25 marzo 2002

Nell'opinione che me ne sono fatto nel corso di questi anni ritengo che Carlo Taormina sia un vero professionista dell'odio. A quale trauma infantile, a quale dolorosa esperienza di adolescente il suo comportamento pubblico si ispiri, non ci è dato sapere, e probabilmente non sa neppure lui. Uomini di questo tipo sprecano tutta la loro vita, spesso, nella ricerca affannosa di persone da attaccare e di persone da cui farsi ammirare e non si chiedono mai il perché delle loro azioni semplicemente perché sono sempre convinte di essere nel giusto. Non accetteranno mai l'idea di una psicoterapia, dunque, e non godranno mai, per questo motivo, del sollievo provato da chi, misurandosi con i suoi limiti, entra in contatto con la complessità del suo mondo interno. Riconoscendo la relatività delle sue convinzioni e delle sue posizioni e imparando che l'uomo intelligente può guardare a sé stesso ed alle proprie idee con un minimo di tenerezza e di ironia.

Il ricordo più suggestivo che ho di Carlo Taormina, da questo punto di vista, è quello di un suo intervento al "Processo del Lunedì" di Biscardi, cui era stato invitato in quanto tifoso di una certa squadra (che preferisco qui non nominare) e avvocato del suo presidente in una certa vicenda penale. Ebbene, la sua capacità di sprizzare odio nei confronti di chi si permetteva di avere opinioni diverse dalle sue, il livore delle sue urla e delle sue interruzioni, la violenza dello scatto con cui decise di andarsene offeso a metà trasmissione contrastavano in modo così evidente con gli atteggiamenti apparentemente rissosi ma sostanzialmente recitati dagli altri ospiti della trasmissione da renderlo perfino patetico. Carlo Taormina si prendeva ridicolmente (assurdamente) sul serio, infatti, anche quando parlava da tifoso di una squadra di calcio. Dimostrando una incredibile mancanza di senso dell'humour ed una assoluta incapacità di capire la situazione, il contesto in cui si trovava. Proponendo l'idea di un uomo che riesce ad odiare nello stesso modo, e con la stessa drammatica intensità, tutti i suoi avversari, politici, professionali e sportivi, semplicemente perché, essendo privo delle risorse normalmente collegate all'autocritica e all'ironia, non è in grado di modulare i suoi sentimenti negativi, di regolarne l'intensità. Funzionando di fatto su una logica di tutto o niente. Come accade, in fondo, alle specie meno evolute se è vero come è vero che la capacità di ridere è una capacità che richiede livelli alti di maturazione del sistema nervoso centrale.
Non varrebbe neppure la pena di parlarne tanto, in fondo, se il carattere immediatamente (e immotivatamente) pubblico delle affermazioni di Taormina, la rapidità un po' sospetta e un po' maligna con cui la stampa le riprende e le amplifica non costringessero tutti ad una riflessione seria sul ruolo che l'odio sta svolgendo in questa fase della nostra vicenda politica e sul modo in cui persone di questo tipo sono, al tempo stesso, sintomo e spia di una tensione più grande di loro. Burattini nelle mani di chi più di loro tiene le fila di quello che accade, cioè, e oggetto, al tempo stesso, di reazioni che potrebbero essere altrettanto sbagliate da parte di persone che si sentono ingiustamente offese da affermazioni del tipo di quelle che tu riporti sulla tua lettera.

Antonio Padellaro ha riassunto efficacemente, su questo stesso giornale, i fatti che è impossibile non collegare alla morte di Biagi. Lo scoop di Panorama, settimanale assai vicino al governo, in cui si dava un identikit della prossima vittima particolarmente preciso sulla base di informazioni ottenute (come?) dai servizi segreti. La revoca della scorta in estate e la disattenzione di chi (Frattini e Scajola) non l'ha proposta di nuovo per un uomo di cui si sapeva e che sapeva di essere nel mirino dei terroristi. Il documento lasciato, secondo "Il Corriere della Sera", ad un notaio: documento in cui si parlerebbe della mancanza assoluta di attenzione, da parte di chi avrebbe dovuto averne, sulla sua sorte. La risposta burocratica di Scajola che attribuisce la responsabilità ad un Prefetto senza porsi il problema del come mai notizie proposte dai (suoi) servizi segreti a Panorama non siano arrivate invece proprio al Prefetto che doveva (avrebbe dovuto) utilizzarle. Fatti su cui si è discusso e si discuterà ancora. Fatti che vanno collegati ad una riflessione più generale sull'influenza che questo delitto potrebbe avere sul conflitto politico oggi in corso e che avrebbero meritato qualche commento da un uomo, come Taormina, che è stato fino a ieri Sottosegretario al ministero degli Interni.
Molti anni fa, quand'ero assessore comunista alla Regione Lazio ebbi «l'onore» di essere indicato come nemico del popolo da uno dei tanti messaggi deliranti delle Brigate Rosse. La Digos me ne aveva preavvertito, offrendomi una scorta e raccontandomi di alcuni suoi infiltrati che avevano partecipato a riunioni in cui si era deciso che toccava anche a me ed io mi sono chiesto spesso negli anni successivi perché i partecipanti a quelle riunioni non erano stati arrestati prima di scrivere il loro messaggio e dopo averlo scritto. Un'altra delle persone avvertite nello stesso modo e con lo stesso messaggio era stata colpita mentre i servizi segreti e la polizia sapevano e aspettavano: per ragioni che, a distanza di anni, mi viene da attribuire più alla stupidità e al protagonismo dei funzionari che alla malafede dei politici, ma su cui, comunque, un avvocato puntiglioso e intelligente dovrebbe provare a dimostrare almeno curiosità. Ragionando magari sull'idea proposta da Sciascia a proposito di Moro e della sua morte: una morte che si sarebbe potuta evitare, forse, se i servizi segreti non avessero stabilito un rapporto, equilibrato quanto ambiguo, con i suoi attentatori.

Capiremo mai perché, previsto con tanta precisione, il delitto di Bologna non è stato evitato? Si tratta, in fondo, di una storia che somiglia a molte altre ed il cui esito, in termini di ricostruzione dei fatti, sarà sicuramente lo stesso. Il che aiuta a capire, però, perché invece di emettere pareri Taormina emette ululati
Perché gli ululati innescano spirali di odio e logiche di scontro frontale che rendono difficile la riflessione su quello che sta davvero accadendo ma piacciono molto ad un uomo che ha bisogno di esprimere odio. Senza trarne neppure dei vantaggi perché il tentativo di collegare l'omicidio di Biagi all'articolo 18 è stato evidente fin dai telegiornali di mercoledì sera e perché il protagonismo di Carlo Taormina è utile, in fondo, soprattutto a chi si espone meno di lui ma è, o sembra essere, almeno altrettanto determinato nel tentativo di trarre il massimo vantaggio possibile da quello che è accaduto.
Difficile capire, ovviamente, se il tutto rappresenti, dal punto di vista di Taormina, il risultato di un calcolo politico raffinato o l'esito di un trascinamento passionale. Dovessi esprimere un giudizio, direi che uomo da calcolo politico raffinato Taormina probabilmente non è. L'impressione che dà, infatti, è quella di un uomo mediocre: di un uomo debole, cioè, di fronte ai riflettori; di un uomo della cui debolezza altri, più furbi di lui, utilizzano le manifestazioni più evidenti.