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Borrelli: «Provo un senso di ingiustizia»
Corriere della sera 9 gennaio 2002  
Lo sfogo del pg di Milano: c’è un’ignoranza abissale, anche uno studente sa che questo processo è valido

MILANO - «Solo una cosa mi sento in dovere di dire: in questi giorni ho letto dichiarazioni e ascoltato prese di posizione che dimostrano un’ignoranza abissale delle più elementari regole del processo. Anche uno studente del primo anno di giurisprudenza sa che un semplice provvedimento amministrativo di trasferimento non può mai compromettere la validità degli atti e delle decisioni di un giudice. Non dovrebbe esserci nemmeno bisogno di sprecare tempo e parole per ripetere principi così ovvii che, per quanto mi sforzi di ricordare, nessuno prima d’ora li aveva mai messi in discussione». Il procuratore generale Francesco Saverio Borrelli, che dopo aver diretto il pool Mani Pulite oggi è il massimo rappresentante della pubblica accusa a Milano, ha una certa abitudine agli attacchi: in dieci anni di indagini e di polemiche tra giustizia e politica, lui e i suoi sostituti si sono visti accusare di «attentare alla Costituzione», di «favorire i comunisti», perfino di agire come una «banda armata». Censure messe in conto da chi, come hanno più volte ripetuto i pm milanesi, ritiene di avere «il dovere di perseguire i reati, da chiunque vengano commessi». Ma nel vedere «un giudice», come ora Guido Brambilla, finire al centro di uno scontro senza precedenti con il ministro in carica della giustizia, Borrelli non nasconde di provare un senso di «fastidio» e di «ingiustizia». Solo per questo accetta di parlare, purché non si accenni al contenuto della sua relazione di apertura dell’anno giudiziario, in programma sabato prossimo, forse davanti al ministro Castelli (che, invitato, fino a ieri non aveva confermato la sua eventuale presenza a Milano).
Dottor Borrelli, perché è così sicuro che il giudice Brambilla possa continuare a restare in tribunale?
«Sul punto, c’è una giurisprudenza assolutamente costante da alcuni secoli».
Autorevoli rappresentanti del governo non la pensano così: secondo il ministro Castelli, quel giudice deve «immediatamente» trasferirsi al tribunale di sorveglianza. E secondo i parlamentari che difendono Previti e Berlusconi, il processo per la presunta corruzione di alcuni ex magistrati romani, di conseguenza, dovrebbe ripartire da zero davanti a un collegio diverso. Perché Brambilla, invece, non dovrebbe andarsene?
«E me lo chiede? L’unico vero interrogativo è perché mai dovrebbe farlo. Conosce il principio del "funzionario di fatto"?»
Ce lo spieghi lei, se possibile con la massima semplicità.
Borrelli alza gli occhi al cielo: «Da tempo immemore tutta l’attività pubblica è regolata dal principio per cui un atto è valido anche se firmato da un funzionario diverso da quello formalmente previsto nelle gerarchie interne: conta solo che non si tratti di un estraneo, di una persona senza alcun potere. Nel codice di procedura penale, questa regola generale è espressa in modo chiarissimo: i problemi interni di trasferimento, cambio di funzioni, assegnazione di un giudice ad altro incarico, non producono alcuna nullità del processo. Mai».
Si riferisce alla «capacità generica» di fare il giudice, della norma di legge (articolo 33, secondo comma) esposta da un giurista anche sul Corriere di lunedì scorso?
«Il professor Grevi? Non ho letto il suo intervento, ma il punto è esattamente questo. Il processo sarebbe davvero nullo se venisse chiamato a far parte del collegio giudicante, che so, un giornalista, un uomo della strada. Ma se a decidere quel caso viene assegnato un giudice invece che un altro, il processo resta validissimo, così come tutti gli atti giudiziari compiuti. Più che una norma giuridica, a me sembra una regola di buon senso. Pensi cosa succederebbe se un qualsiasi problema di organizzazione degli uffici giudiziari potesse azzerare un dibattimento. In ogni organizzazione del lavoro sorgono quotidianamente decine di contenziosi interni tra chi aspira a questo o a quell’incarico. E per i processi c’è una norma esplicita che impone di ritenere validi gli atti compiuti da giudice destinato ad altro ufficio».
Al processo Sme-Ariosto, è proprio questa l’obiezione sollevata dai difensori.
«Lo ripeto: a me sembra un’assurdità. Facciamo il caso limite di un intervento del Tar: un magistrato, che riveste una certa carica, si vede annullare dal Tribunale amministrativo regionale addirittura l’atto di nomina che gli ha permesso di prendere possesso di quella funzione. Sto parlando di un evento assolutamente normale: succede ogni giorno che una nomina venga contestata da un concorrente che si è sentito escluso o superato ingiustamente. Ebbene: nemmeno in questo caso, nemmeno se la nomina è stata dichiarata illegittima da un tribunale, possono perdere di efficacia gli atti compiuti dal giudice rimosso dall’incarico. E’ un principio molto semplice: le questioni amministrative, di organizzazione interna degli uffici, si mantengono su un piano del tutto separato rispetto al problema della validità degli atti giudiziari, che va risolto in base a regole diverse. E allora, nel caso di Brambilla, dov’è il problema?»

Paolo Biondini