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Vilipendio alla bandiera. La Destra salva Bossi

Gianni Cipriani, l'Unità 20 dicembre 2001

Chissà se è davvero pentito, Umberto Bossi, per quelle sue frasi sul tricolore che attualmente si trova nelle stanze che frequenta quale ministro del governo Berlusconi. Certo è che per ottenere la complice benevolenza dei suoi colleghi del Polo, il leader leghista ha dovuto affrontare la sua Canossa e scrivere una lettera dai toni contriti, per dire che lui ha avuto "parole infelici", perché nel fondo del suo cuore mai e poi mai ha pensato di offendere la bandiera nazionale e i sentimenti che rappresenta. Frasi che non scalderanno il cuore delle masse di Pontida, più inclini all'applauso quando si parla di indipendenza padana, reimpatrio degli immigrati e, possibilmente, dei meridionali. Ma Bossi, a prezzo di una piccola penitenza, un risultato l'ha ottenuto. La sua frase: "Io il tricolore lo uso solo per pulirmi il culo" pronunciata in un comizio e che gli è costata in primo grado una condanna ad un anno e quattro mesi, è diventata, a giudizio della maggioranza polista della Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera, "esercizio delle funzioni parlamentari", protetta dall'articolo 68 della Costituzione. Quindi (se l'aula confermerà l'orientamento) nessun processo d'appello per vilipendio alla bandiera; nessuna condanna.

Un voto del centro-destra che rappresenta "il segno di un grave degrado istituzionale perpetrato in ragione esclusiva di una convenienza di tipo elettoralistico, in cui la stessa Alleanza Nazionale deve rinunciare perfino a tutelare il simbolo della nazione, il simbolo dell'unità nazionale", hanno attaccato i parlamentari dei Ds. E sì: perché se anche l'aula salverà Bossi, in futuro la giurisprudenza parlamentare dovrà prendere atto che anche il "pulirsi il culo con il tricolore", con decenza parlando, è un gesto e un'affermazione con dignità istituzionale, non troppo dissimile - per dignità - alle discussioni tra Nenni, Togliatti e De Gasperi sulla Costituzione.

La vicenda che ha avuto il suo singolare esito alla Giunta per le autorizzazioni a procedere è piuttosto lunga e risale al 25 luglio 1997, quando l'attuale ministro del governo Berlusconi aveva preso la parola a Cablate, dove nel parco comunale c'era la serata conclusiva della festa della Lega Lombarda. Quel comizio si svolgeva negli stessi giorni in cui era acceso il dibattito parlamentare sulla proposta di legge di rendere obbligatoria sugli edifici pubblici l'esposizione della bandiera italiana unitamente a quella dell'Unione Europea. Per cui a Bossi era sembrato che l'esposizione della bandiera italiana fosse quasi una provocazione. E quella sera il palco, per combinazione, era vicino ad una scuola statale, dove era stato issato il tricolore. Il che equivaleva a sventolare il drappo rosso davanti ad un toro. E Bossi, a testa bassa, partì alla carica e disse: "Quando vedo il tricolore m'incazzo. Il tricolore lo uso soltanto per pulirmi il culo". Applausi di una parte della folla padana; sussulto tra i carabinieri di Cantù, presenti in borghese tra il pubblico per garantire l'ordine, che tornati in caserma presentarono il rapporto da cui è scaturita l'indagine. Avevano sentito male i carabinieri? Tutt'altro: il "senatur", a scanso di equivoci, ripetè la sua frase più volte. Tanto per ribadire il suo pensiero in materia igienico-politica.

Partito l'iter giudiziario (in attesa della ciambella polista) per la difesa di Bossi c'è stata una sconfitta dopo l'altra. Inizialmente, infatti, gli avvocati avevano sostenuto che le affermazioni del capo della Lega rientravano nell'esercizio delle funzioni parlamentari e, in quanto tali, insindacabili. Ma il tribunale ha notato che l'attuale normativa non prevede - coma una volta - una autorizzazione preventiva per procedere. E quindi, fino a pronunciamento contrario, il silenzio del Parlamento va interpretato come assenso. E Montecitorio non aveva detto nulla. Oltre a tutto, aveva sostenuto il tribunale, una frase del genere poco aveva a che fare con l'esercizio delle funzioni parlamentari. Il tutto argomentato dottamente con la giurisprudenza della Cassazione e della Corte Costituzionale. Fallito anche il tentativo di appellarsi all'immunità di parlamentare Europeo, la difesa di Bossi ha tentato la mossa disperata: la frase sul tricolore non si riferiva alla bandiera italiana. No. Bossi parlava del "tricolore padano". Insomma, tra gli applausi dei leghisi si sarebbe auto-ingiuriato. Tentativo misero, liquidato con poche parole dal tribunale. Così il 23 giugno 2001 Bossi è stato condannato ad un anno e quattro mesi di reclusione per vilipendio alla bandiera.

L'appello è stato fissato il 30 gennaio 2002. Ma nel frattempo è cambiata maggioranza. E così il ministro di Berlusconi ha sollevato il caso presso la Giunta per le autorizzazioni a procedere, affinchè dichiarasse insindacabili le sue affermazioni, bloccando così il processo.

Certo: nonostante i chiari interessi che tengono unito il Polo sulle questioni giudiziarie, qualche malumore nella maggioranza c'è stato. Così, per tenere tutti insieme, Bossi ha inviato la sua letterina di pentimento e le sue frasi sono diventate dotte dissertazioni parlamentari, prive di rilievo penale. E i Ds si sono prima indignati e poi hanno ironizzato: "E' la prima volta che esigenze fisiologiche come quella di pulirsi in bagno con la bandiera italiana sono considerate prerogative parlamentari". Poi hanno attaccato: la decisione della Giunta è "una grave vergogna da correggere".

Ad ogni modo l'ultima parola spetterà all'aula. Certo: visti i numeri e la solidarietà giudiziaria tra le varie componenti, è assai probabile che Bossi sarà salvato. Ma questa volta, da quel che sembra, anche per qualche parlamentare del Polo (soprattutto del centro-sud) la vicenda è dura da digerire. Non tutti hanno la faccia tosta di parificare tricolore e carta igienica.