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IL CASO
L'ultima trincea di Previti evasore confesso
GIUSEPPE D'AVANZO

 

da Repubblica - 1 ottobre 2002


MEGLIO dirsi evasore fiscale e chiudere così la partita, che affrontare le circostanze che ti indicano corruttore di giudici e manipolatore di sentenze. Cesare Previti ha indicato la strada e gli altri imputati, che siedono con lui allo scranno del processo di Milano, muovono nella stessa direzione. In attesa di Renato Squillante, avanza al proscenio Filippo Verde (è stato presidente di sezione del tribunale civile di Roma, decide un risarcimento a favore della famiglia Rovelli nell´affare Imi/Sir). Corrotto? No, spiega, è sempre stato ricco fin dall´infanzia. Cresce in quattordici stanze a Napoli tra pezzi di antiquariato e quadri di valore (Guido Reni, Mancini, Fattori).
Vende questi beni a mercanti che, purtroppo, non si lasciano rintracciare ma un fatto, dice, non deve essere messo in discussione: quel conto svizzero «Master 811», di cui è beneficiario, è stato - non si può negare - aperto da Attilio Pacifico con 500 milioni di vecchie lire, ma non è l´esito di un malaffare leguleio. È soltanto una manovra per non pagare più le tasse dopo aver raggranellato 700 milioni con un arbitrato. Di questo si trattava, dunque: non di corruzione in atti giudiziari, ma di evasione fiscale. Decine e decine di conti bancari.

L'ultima trincea dell'evasore Previti

Migliaia di bonifici in partenza e in arrivo da paradisi fiscali, come se fosse il gioco dei quattro cantoni. Parcelle professionali pagate estero su estero. Compensazioni. «Esterovestizioni». «Spalloni» con centinaia di milioni di lire in contanti in viaggio dalla frontiera alla Capitale. Una ragnatela di cointeressenze che stringe, in un solo nodo, amici che si fidano degli altri come di se stessi, e poco importa se alcuni fanno gli avvocati e altri i magistrati nello stesso Palazzo perché, tra di loro, non si parla mai di lavoro, al più si organizzano coriacee tenzoni pedatorie.
È questa la «linea del Piave» che Cesare Previti scava a Milano per salvare la faccia. Non è un atto virtuoso, è una scelta obbligata. «Pizzicato» il suo conto «Mercier», nella sola occasione in cui prende la parola, Previti svela che i soldi che lo alimentano dai conti Fininvest sono di passaggio nelle sue mani. Egli ha avuto il mandato di trasferirli alle Bahamas a professionisti «non italiani» di cui non intende fare il nome. Purtroppo (per l´avvocato), si scopre che il conto alle Bahamas nasconde non un professionista «non italiano», ma Previti stesso. È costretto così a riprendere la parola. Ho parlato di mandato, dice, perché sono stato mal consigliato dai miei avvocati, in realtà si trattava di compensi in nero della Fininvest. Decine di miliardi per un´imponente attività professionale.
L´affare lo si potrebbe chiudere così (Angelo Panebianco, dalla colonne del Corriere della Sera, sembra volerlo chiudere così): Cesare Previti ammette di essere un evasore fiscale. Non corre alcun pericolo penale. Non è imputato per quello anche perché per quel reato, come da accordi con la Svizzera, non può essere imputato. Non è l´esito penale che interessa qui, ma l´aspetto civile e politico. Per la dimensione pubblica delle sue responsabilità, la confessione di Previti non può che diventare, appunto, un caso politico. Il governo che Previti sostiene (e da cui è sostenuto) si prepara al varo di un concordato fiscale e allora paghi Previti almeno il prezzo minimo: si dimetta, si autoescluda dalla vita pubblica e, se resiste, venga dimesso dai suoi.
L´escursione tra i fatti è un jeu de cartes molto più pericoloso per i protagonisti. Vediamo. «Mercier» di Cesare Previti viene alimentato da un conto chiamato «Ferrido». Da qui, per fare un caso, si muovono i 434.404 dollari che, dopo una sosta di un paio d´ore nelle mani di Previti, approdano al conto «Rowena» del giudice Renato Squillante. A chi appartiene «Ferrido»? Domanda chiave.
Per quasi sette anni, Previti non ha trovato la risposta. Oggi ammette: è della Fininvest. Da qui, da Ferrido, pagavano «in nero» i miei conti, non c´era fattura, non c´erano voci iscritte a bilancio, non c´era prelievo fiscale. Previti confessa quel che non può più tacere e che tutti conoscono da più di cinque anni: l´atto di apertura del conto «Ferrido» è firmato da Giuseppino Scabini, dirigente della tesoreria del gruppo Fininvest.
Interrogato nel marzo ' 97, Scabini dichiara: «Effettivamente i conti Ferrido e Polifemo a Chiasso sono stati da me aperti su richiesta di Gironi, che era il mio capo». Capo della tesoreria di Fininvest, presieduta da Silvio Berlusconi.
Se il gergo non si fa sgrammaticato, allevando qualche confusione e tartuferia, l´affare va declinato in altro modo, dunque. Se si vuole contenere nel recinto dell´evasione fiscale la responsabilità di Previti, non si può distogliere lo sguardo dai falsi bilanci della Fininvest di Silvio Berlusconi che l´hanno prodotta. Se si vuole ricordare al primo (Previti) la sua «dimensione pubblica», non si possono dimenticare le gravose responsabilità di governo del secondo (Berlusconi). Se si vuole ammonire il primo (Previti) per il concordato fiscale prossimo venturo, non si possono gettare in un canto le leggi di un passato recentissimo come il falso bilancio e lo scudo fiscale voluto dalla maggioranza guidata dal secondo (Berlusconi). Se Previti deve togliere il disturbo uscendo dalla comune, che dovrebbe fare l´altro che veste i panni del presidente del Consiglio? Tutti a casa, allora? Naturalmente tutti resteranno al loro posto e dunque conviene attendere l´accertamento dei fatti che il processo di Milano promette. Si tratta davvero soltanto di evasione fiscale? Quell´intreccio di relazioni finanziarie tra avvocati (Previti, Pacifico e Acampora) e magistrati (Squillante, Verde, Metta) era soltanto un modo complice per proteggersi dal fisco, come vanno ora ammettendo gli imputati, o in quell´intreccio si muoveva il prezzo miliardario con cui si barattavano le sentenze, come sostiene la ricostruzione dei pubblici ministeri?
È un interrogativo che dovrebbe appassionare più del destino politico di Cesare Previti, trasfigurato inaspettatamente in capro espiatorio. La sensibilità alla dimensione civile e politica dell´affare (finalmente liberato dall´accusa d´essere soltanto una «persecuzione politica») impone oggi una sola ed essenziale mossa: si chieda che il processo non venga soffocato, il 10 di ottobre, dall´approvazione della legge Cirami.