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torna a Anni abbastanza crudeli


Il Taumaturgo d'Arcore e il tranello dellŽ"union sacrée"
Quando le cifre hanno mostrato il disastro ha aperto allŽopposizione nutrendo lŽipotesi dŽuna seconda Bicamerale, dove tornerebbero in auge i suoi spiriti felini
Divora i seduti al tavolo dove simula negoziati, moltiplica il denaro senza idiosincrasie etiche, ma i suoi mirabilia sono estranei alla cultura capitalistica seria
FRANCO CORDERO

 

da Repubblica - 9 ottobre 2002


Sabato 21 settembre B. chiede aiuto. Dunque, siamo prossimi al naufragio economico: la colpa era dei buchi lasciati dagli attuali catastrofisti, ma «ghe pensi mi», ripeteva sorridendo dallo yacht; e il mago trimontano modulava diagnosi rosa. Sono finiti i bei tempi, quando governi allegri accumulavano debiti fingendo che fossimo la quinta potenza industriale al mondo, mentre la lira languente ingrassava gli scorridori delle valute. Chi sta nellŽEuropa subisce molesti controlli. Il primo Dpef berlusconiano, luglio 2001, postula una crescita impetuosa del pil: 2002, 3,1%; 2003, 3,2. Fantasie da libro dei sogni, obietta chiunque abbia testa sul collo e occhi aperti, ma i nuovi signori ribadiscono lŽimpegno: ipsi dicunt; i miracoli sono affare quotidiano sotto il sole dŽArcore. Nel settembre 2001 lŽUe calcola meno della metà, 1,3, e gli astrologhi sŽattestano sul 2,3, vituperando i disfattisti. Dopo 9 mesi postulano ancora lŽ1,3, col solito anatema aglŽincreduli. Infine calano allo 0,6. Vacche pellŽe ossa, come nel sogno faraonico interpretato da Giuseppe.
Lievita invece il debito pubblico. GlŽindovini forzaitalioti pronosticavano (luglio 2001) un rapporto quasi virtuoso tra deficit e prodotto interno lordo, 0,5%. Idem a settembre. Senonché 9 mesi dopo, il dividendo sŽimpenna sul divisore: affoghiamo nel rosso; il quoziente dà 1,1, ed era pio imbroglio; il penultimo dato ufficiale, settembre 2002, segnalava una caduta tra 1,8 e 1,9; lŽultimo è 2,1 e speriamo dŽaver toccato il fondo.
Era prevedibile che, smaltita la sbornia, agli italiani sarebbero rimasti gli occhi con cui piangere (due mesi fa mŽero permesso la metafora), mentre sŽarricchiva lŽUnico in persone multiple: impresario televisivo monopolista, editore, finanziere, assicuratore, re del football, ecc., nonché statista supremo, gestore fiduciario della res publica, unto dal popolo, quindi insindacabile; legibus solutus, al punto da riscriversele e rimuovere probabili delitti impedendo che i tribunali li giudichino; il tutto senza lŽombra dŽun conflitto dŽinteressi. Come succeda, non lo capisce nemmeno un intellectus angelicus, a casa sua nei misteri della Trinità, ma col ddl governativo votato da Montecitorio, ora pendente a Palazzo Madama, il ministro della Funzione pubblica (glŽinformati lo vedono prossimo alla Farnesina) svela ai fedeli dŽavere quadrato il cerchio. A proposito dŽesteri, i numero infausti dellŽeconomia non tolgono lŽestro ai panegiristi. Sentiamone uno (S. Folli, Corriere della Sera, 22 settembre); il governo arranca; Lui però combina meraviglie sullo scacchiere mondiale; eh sì, "la Realpolitik berlusconiana ha cambiato qualcosa nel modo in cui lŽItalia è percepita a Washington, Mosca, Londra"; il nocchiero italiano viene "due passi dietro Blair, nella scala dei preferiti, ma davanti a molti", come in quelle tristi sfilate dei re davanti a Napoleone imperatore. Sciolti i nodi planetari, manda un proconsole ubbidiente alla Farnesina, affinché non vi nascano contropoteri, e da Palazzo Chigi "stende lŽala vagamente minacciosa sui ministri". Rivediamo Napoleone condottiero, demiurgo, codificatore, genialmente despota. Mentre officiava tra i continenti, affascinando i partner (lŽomelia anglobrianzola da Camp David?), qualcosa strideva nelle ruote interne, ma poi torna: sia lode al Signore; appena afferri i timoni, siamo salvi. I ministri gli fanno da segretari. "Guida la Finanziaria e affianca Lunardi sulle grandi opere", recita un titolo epico-mussoliniano sulla stessa pagina (i soldi dove diavolo li piglia?). LŽagenda reca: economia, lavori pubblici, sanità; dopo il legittimo sospetto, inutile dirlo, senza contare conflitto dŽinteressi, immunità parlamentare e varie botte al sistema penale. Ha tutto il tempo che vuole, 4 anni "senza apparenti rischi". Solo i dominatori entrano così: "Diamoci una mano"; con tre parole svelena lŽatmosfera, disarma gli oppositori, rassicura il Quirinale. Orizzonte nuovo "sul piano dei simboli". Soffia "uno spirito diverso". Siamogli grati del sacrificio che consuma tornando nellŽaria caliginosa degli affari interni: volava alto; e lascia il cuore alla Farnesina.

Le cose mutano secondo chi ne parla. QuestŽàugure appartiene alla famiglia Callino, Tirteo, Pindaro. Meno liricamente, dovendo tentare un tableau, lo disegnerei così. Taumaturgo? No, i suoi miracoli sono molto spiegabili sul terreno empirico. Certo non è statista e nemmeno uomo politico, se la politica seria nasce dalla riflessione su idee, fatti, serie causali: non li degna; e lì sta la sua potenza finché calchi le scene elettorali, forte dellŽordigno televisivo col quale sŽera allevato masse pronte a bere. Il berlusconismo straripa dalle vecchie mappe, allignando dappertutto in varia misura: operai, artigiani, commercianti, piccoli padroni, Grub Street (era la via londinese dei libellisti), pensionati, lŽuniverso deglŽimpieghi, partite Iva, sommerso, borghesia dŽaffari, industriali, massaie, microredditieri, professionisti, clientele orfane o vedove, disoccupati, ecc,; è una festosa epidemia, dove lŽorigine sociale conta meno dei segni antropo-culturali. Semplifichiamo lŽanalisi distinguendo due classi. Il forzaitaliota militante sŽarruola in una compagnia corsara, come nelle Antille tre secoli fa: verosimilmente i quadri contengono pochi hommes dŽesprit o sofisticati gentiluomini; conta lŽefficienza ubbidente. Qualcosa dŽanalogo avveniva sotto Achille Starace, Anni Trenta: nomine dallŽalto, gerarchia, vertice monocratico; i criteri selettivi scattano inesorabili, scovando ogni ombra dŽautentico pensiero; pensare è sintomo dŽuna lue. Visi, mimiche, giaculatorie, contumelie, proclami, referti, chiose, ricalcano stereotipi Mediaset, quotidianamente rielaborati: nessuno improvvisa o spende del suo; le battute scattano uniformi (a esempio, volendo sminuire qualcuno, gli danno del vecchio).
Nella seconda classe mettiamo i comuni elettori. Segnalerei, pescando a caso, ultras del moderatismo, clerical-vandeani, liberisti (disattenti, visto che contribuiscono al peggiore monopolio), tecnocrati veri o convinti dŽesserlo, troupes fobiche, cultori delle cose facili e allegre, qualche anti-filosofo (lŽarchetipo è Millàn Astray, generale franchista ridotto a moncone umano da vecchie gloriose ferite, inventore dello slogan «Viva la Muerte»: lo sbraita nellŽUniversità, Salamanca 15 settembre 1936; Miguel de Unamuno, rettore, protesta disgustato; e lui ribatte «Abajo la Inteligencia!»). Ma votavano blu anche persone molto diverse dai predetti modelli: alcuni non sŽilludono sullŽuomo; lŽhanno scelto faute de mieux, malvolentieri, in odio alla parte opposta; e credono dŽusarlo come ariete o dissolvente.

Nessuno gli contesta lŽabilità: a esempio, divora i seduti al tavolo dove simula negoziati, o moltiplica il denaro senza idiosincrasie etiche, ma i suoi mirabilia sono dŽuna specie estranea alla cultura capitalistica seria; lŽimpresario edile deve le fortune televisive a un privilegio; glielo concedono (non gratis, suppongo) consorterie politiche da prendere con le molle nellŽItalia del malaffare; senza i quali favori, non sarebbe lŽattuale satanasso. Batteva le fiere sullŽonda ipnotica televisiva: persi i protettori, sŽinventa condottiero perché teme assalti allŽimpero privato; vuol salvarlo o, meglio ancora, proiettare gli affari su scala siderale. Il resto sono slogan permutabili, dal comico allarme anticomunista al libero mercato che aborre come la peste, essendo parassita dei monopoli. Convertita la bottega in partito, arruola ignoti, naufraghi, cercatori dŽoccasioni. Ha limiti molto visibili. Uno, gravissimo, è non percepire gli aspetti morali: forse qualche cortigiano gli racconta che siano bigottismi démodés, e sbaglia: contano ancora nella partita, eccome. Pagherà le inverecondie. I modi del suo successo, poi, implicano un contrappasso. SŽera imposto abbassando i livelli mentali. Il pubblico ha teste da seconda media, ultimi banchi, ripete categorico: e non è rilievo statistico ma comando ai manovratori; se un cervello supera la misura, lo riducano. Imparino da Procuste. Le lobectomie gli riescono a meraviglia. Infatti, detta le mode: gusti, fobie, stilemi suoi contagiano aree più o meno lontane; fioriscono dappertutto volgarità istrionesca, narcisismo, dialettica barzellettiera, fuga dal discorso pensato.
Ma lŽarnese colpisce anche chi lo impugna. Infatti, nemmeno lui distingue i mondi virtuali dallŽunico reale. Il deficit critico spiega perché navighi male: il mestiere dello statista è molto più arduo delle stregonerie televisive che lŽarricchivano grazie ai signori del Caf; raccoglieva voti dai quattro punti cardinali con promesse incompatibili, semi dŽaltrettante delusioni; e rinviava il rendiconto postulando congiunture talmente grasse da soddisfare tutti, nemmeno vivessimo "Beautiful". Nella storia italiana recente era avvenuto due volte che un capo del governo subisse terribili castighi, essendosi avventurato senza discernimento: Crispi 1896 (1° marzo, giornata dŽAdua), Mussolini 1940-3; ma lŽautistica spavalderia berlusconiana non ha eguali. La squadra ministeriale gli viene dietro nel disinvolto chemin de fer su pelle italiana: il primo governo del Centrosinistra aveva portato lŽItalia nel club europeo; governati da costoro, rischiamo dŽuscirne. Visti i mala tempora, B. sfodera lŽennesima furberia invitando gli oppositori allŽunion sacrée: se rispondono picche, li bolla disfattisti-eversori antitaliani, la cui malvagità glŽimpedisce i miracoli; e se mordono lŽamo, che trionfo. Gli ottimisti ventilano già una seconda Bicamerale: Berlusco felix, come Silla, ogni impresa del quale andava bene; e stavolta, oltre a risolvere le sue rogne attraverso riforme ad personam la cui assoluta priorità resta fuori discussione (lŽhanno detto i corifei), gioca grosso; è ora dŽintavolare una metamorfosi della Repubblica. LŽaveva annunciata due mesi fa, con lŽabituale modestia, pronto a servire purché gli conferiscano adeguati poteri: altrimenti vada chi vuole sul Quirinale; lui resta a Palazzo Chigi.
Poveri noi se lŽappello fosse raccolto da qualche jack in the box (i fantocci a molla che scattano dalla scatola). Stringe lo stomaco lŽincubo dŽuna seconda Bicamerale. Siccome esistono metafore più istruttive della migliore analisi politica, chiedendo venia cito ancora La Fontaine, dalla satira dŽun tal Florentin: ha tre gole quel lupo; guai a chi lo frequenta, gli finisce nelle fauci; persino il re stenterebbe a saziarlo. Non è animale da ménages dialoganti: la mano tesa agli oppositori era una mossa fugace; e subito ritrova gli spiriti ferini. Li segnala lŽinvettiva da trivio allŽex presidente Scalfaro, colpevole dŽavere rilevato quanto poco elegante fosse voltargli la schiena, confabulando con un senatore, mentre lui parlava nel dibattito sulla politica estera. Palazzo Madama non aveva mai visto manierismi simili. Altro che la Versailles raccontata da Saint-Simon, qui imperversa lo stile dŽArcore.