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LE IDEE
Quando si può parlare di regime
FRANCO CORDERO

 

da Repubblica - 3 aprile 2002


ESISTE un regime (almeno incipiente) in Italia? L´equivoco sta nel retroscena semiotico. I negatori motivano così: abbiamo norme costituzionali; giostrano partiti variopinti; chi voglia parla al pubblico o, se ha i soldi, fonda giornali; non incombono Tribunale speciale né Volksgerichtshof o Andrej Januarevic Vysinskij, perfido pubblico ministero moscovita. Allarmismo falsario o allucinatorio, dunque. L´argomento tiene finché «regime» significhi Stato fascista, nazista, staliniano, ma solo qualche cartomante crede nella storia ciclica, dai puntuali bis in idem: fasci, labari, pugnali, Sturm-Abteilungen, Schutz-Staffeln, commissari del popolo, ecc.; Kronos li ha inghiottiti e non tornano più, sebbene nell´Es tutto resti come allora, perché gli istinti non hanno tempo né modelli morali.
Gli animali umani sfogano diversamente le stesse pulsioni, secondo gli ambienti: e cade l´illusione d´un continuo Excelsior; che nel futuribile prossimo non vi siano Lager, né genocidi o popoli schiavi, è ipotesi compatibile con regressioni terribilmente costose. Ad esempio, i vecchi arnesi coattivi diventano ferri da buttare quando tecniche pulite regolino umori, sentimenti, pensieri allo stato nascente, e la vita morale cade al grado zero, mentre sotto l´oppressione esterna seguita sommersa; l´Italia fascista era ipocrita, mormorante, nicodemita; quanto dissenso occulto contenesse il terzo Reich, nonostante la Gestapo, lo dicono teste cadute a migliaia post 20 luglio 1944.

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Quando è possibile parlare di regime
Alcuni connotati: dominio mediatico; liberismo ambiguo; mano governativa sulla leva giudiziaria
L´equivoco sta nel termine, nel far credere che si parli di un ritorno allo Stato fascista o staliniano

Mutano i valori, una partita senza fine, né siamo sicuri delle parole che li nominano («civiltà», «Kultur», «civilisation», discusse ai ferri corti dai fratelli Mann, Thomas e Heinrich, in una congiuntura europea agonica). Insomma, quel magma italiano 1922-25 o tedesco 1927-33 assumerebbe aspetti nuovi. Le costanti storiche sono un effetto ottico. Qualcosa cambia nella sequela dalla Destra alla Sinistra, 1876, sotto immobili forme statutarie. Idem con l´ultimo Crispi, poi tra Rudini e Pelloux, quando Sonnino predica il ritorno allo Statuto, ossia un re che governi. Giolitti, infine, aborrito dai conservatori, elabora come può una democrazia parlamentare, tagliando l´abito sull´Italia gobba. Ora, non capisco cos´abbia d´empio o malsano chiamare «regime» l´assetto che B. sta laboriosamente imponendo. O tutto rimane nei vecchi termini? Nessuno l´ammetterebbe a destra.
Eccome esiste un regime berlusconiano, talmente vistoso da riempire lo sguardo. Enumeriamo alcuni connotati: dominio mediatico e relative stregonerie; «cultura d´impresa» (sintagma da bisbigliare, tenendo d´occhio un sub-capitalismo dozzinale, parassitario, anarcoide: altro che etica calvinista; Max Weber inorridirebbe); liberismo ambiguo (liberista fin dove gli conviene, l´Unico non rinuncerà mai ai privilegi acquisiti col favore politico): mano governativa sulla leva giudiziaria; fuga dall´Europa. Le cronache svelano che aria spiri nel serraglio. Se le Brigate rosse trucidano un consulente del governo su questioni del lavoro, in vista dello sciopero generale, a tre giorni dal molto atteso rendez-vous sindacale, ne rispondono gli oppositori: «menzogna e odio», esclama dalle viscere B.; le parole diventano piombo, ulula un ex capo dello Stato; «vedevo chiaro», biascica il guardasigilli, attribuendosi un inverosimile acume prognostico. Due ministri e un sottosegretario rincarano l´invettiva: rispetto alle istituzioni democratiche sono un «enorme pericolo» i 3 milioni manifestanti nel raduno romano (700 mila, rettifica impavido l´esorcista governativo); il terrorismo nasce dalla protesta sindacale, ecc.
Nemmeno rivivessimo l´affare Damiens, Parigi 1757. Rievochiamolo in quattro battute. La nobiltà togata teneva discorsi ostili sul re dalla cui politica dissente, e quel lacchè mattoide, avendoli sentiti, se li cova fino a convincersi che occorra qualche avvertimento: allora, munitosi d´un piccolo coltello, tocca Sua Maestà: la ferita somiglia alle punture d´ape, ma chiunque lo sfiori è regicida; condannato dagli ex-padroni, finisce in quarti su place de Grève, lunedì 28 marzo, uno spettacolo così orribile che dalla finestra affittata nell´occasione Casanova distoglie gli occhi vergognandosi, mentre le dame se lo godono. Niente d´analogo. Questo delitto nasce dalla microgalassia terroristica, i cui emissari avevano colpito un consulente del vecchio governo (20 maggio 1999): l´intento presumibile non è impedire o causare immediati eventi politici, come quando dei sicari liquidano il negoziatore affinché l´accordo fallisca (capita due volte nel Medio Oriente), o, ipotesi inversa, sparano sul refrattario (Jean Jaurés pacifista, luglio 1914); forse cercano solo visibilità (i colpi riusciti reclutano adepti).
Hanno cattiva fama gli argomenti «cui prodest» o «cui nocet» ma, usati bene, sono i meno fallibili. Auguste Dupin, investigatore nel Double assassinat de la rue Morgue, partirebbe da lì. Le offensive sanguinarie condotte da mano più o meno misteriosa stimolano l´union sacrée, dove i dissensi sfumano: lievita l´ibrido consociativo; inibito dalla paura d´avere parenti infami, l´antigovernativo abbassa i livelli d´azione, con un profitto netto dei dominanti. Ciò non li qualifica colpevoli presunti, sebbene cose ignobili fossero avvenute negli anni tenebrosi, ma libera l´antagonista da ogni ragionevole sospetto: quando mai l´establishment ha sofferto l´assalto terroristico; usciva consolidato da atmosfere patriotticamente solidali, e avverrebbe ancora, se prevalessero linee timide. Secondo l´ipotesi più verosimile, i terroristi puntano sul disordine convulso: obiettivo non conseguibile subito né presto; infatti, è oratoria da due soldi dire che attacchino il governo. Vogliono alienare la Sinistra dalle sue basi: quanto meno ascendente abbia, tanto più dissenso capteranno: la sognano avvilita in commerci servili. Poi assaliranno i governi. Teoremi maniacali, tale essendo l´universo terroristico (Dostoevskij insegna), ma coerenti alle premesse. C´è meno logica nelle fandonie dai pulpiti governativi o dintorni.
Non pigliamole alla lettera, salvo qualche caso clinicamente dubbio: suona troppo idiota l´accusa d´avere armato mani sicarie, ma nel virtuale negromantico rende; fredda malafede, direi, se formule così obsolete fossero tollerabili nel clima d´antimoralismo spavaldo. Certo, danno spettacoli poco edificanti questi signori. Ha l´aria d´una finta paranoia anche il fabulario sul complotto antiberlusconiano: «comunisti» infiltrati nei tribunali, «malagiustizia» e simili gagliofferie; le ripetono ugole ubbidienti, dal dignitario all´ultimo yes-man.

Non chiameremo «regime» quel lo i cui adepti salmodiano tale roba, anno Domini 2002? A parte gli aspetti esteticamente disputabili, balli intorno all´albero della libertà (Italia 1796) e moderni girotondi manifestano idee politiche: illusione d´un mondo senza oppressori: protesta contro visibili soperchierie. Le maschere salmodianti, invece, mimano commedie losche. Senza contare l´imperversante stile canaille: a ore fisse, turpiloquio truculento; né mancano sgherri libellisti quali erano nel ventennio nero Telesio Interlandi, Asvero Gravelli, Giovanni Preziosi.
I pulpiti soi-disants indipendenti lavorano in varie chiavi: didattica aneddotica, affabile, pseudo-equanime, intimidatoria, profetica; somministrano consigli, smorfie, scherno, anatemi. Musica vecchia, teneva banco nelle chiese, e vi passerebbe almeno l´ombra d´un taglio critico se l´oratore fosse interessato a capire cos´avviene, ma non gl´importa, né rispetta le procedure del sapere: ha mire pratiche; perciò declama, depreca, loda, ghigna, vitupera.
Fin dove può, non vede i fatti scomodi, ad esempio scandali berlusconiani. Quando glieli sbattono sul muso, riascoltiamo vecchi trucchi: evade dal tema, simula vittorie, sferra colpi bassi alla persona, mistifica le parole, ecc. (Schopenahauer enumerava 38 imbrogli); e non essendo Protagora o Gorgia, ogni tanto balbetta. Qualche sermone merita un posto nel museo del ridicolo dialettico. Ad esempio, sul conflitto d´interessi, filosoficamente visto: era sempre esistito, dappertutto, e nessuno se ne doleva, salvo scoprirlo quando è apparso B.; insigne malafede! Vogliamo selezioni politiche ristrette ai nullatenenti? E i valori della società operosa? Naturale che i ricchi abbiano qualche chance in più: B. potrebbe influire sulla partita standone fuori; se è così leale da condurla coram populo, gliene siano grati. Suona come una parodia ma lui si crede logico.
Altro sintomo il mimetismo sotto falsa insegna. I cantori del nascente New World posano a liberali, anzi «liberal», sbandierando l´insegna ogni due o tre passi, senza domandarsi quanto valga nell´universo berlusconiano. L´autentico liberale non squassa i titoli: che lo sia, risulta da come pensa, parla, agisce, mentre costoro difendono monopolio, assolutismo d´impresa, culto immoralistico del successo, controllo ipnotico dei circuiti mentali, nichilismo d´affari e, en passant, tecniche manigolde; peggio che negli anni Trenta filosofanti idealisti avessero scoperto in Achille Starace l´archetipo dell´«atto puro». Non succedeva perché hanno limiti anche le antifrasi. Troppo impegnato nel business, B. non ha letto niente e se avesse un autore sarebbe Hobbes, meno l´acume intellettuale, non Locke o Tocqueville. L´imprenditore della sua specie è «lupus», senza i costumi sociali lupeschi. L´analisi potrebbe continuare, senonché eravamo partiti da una questione verbale: se gli eventi italiani configurino un poco lodevole regime; sì, stando ai fatti.
Dunque, non è formula da salotto, spendibile tra due drink, come assevera l´infallibile leader perdente, senza domandarsi come mai gli arrivino tante lodi ex adverso. A proposito d´opinioni indipendenti, siccome Plutarco non aveva lasciato una storia parallela de Gaulle-Berlusconi, qualcuno la compone: nell´autunno 1958 l´opinione democratica italiana, sbagliando, s´indignava contro l´uomo al quale 8 francesi su 10 avevano conferito pieni poteri; ora i transalpini sbagliano sul taumaturgo italiano. Siamo paesi quasi gemelli.
Quanto tempo passerà prima che ciascuno impari dagli errori altrui? (S. Romano, «Corriere della Sera», 23 marzo). Senza una piega, come se il sepolto a Colombey-Deux-Eglises, studioso ante eventa dell´arma corazzata, condottiero d´una Francia ribelle alla sconfitta, eremita, statista solitario, così diritto da tagliare i nodi d´Algeria attirandosi odi furiosi, fosse paragonabile al mercante barzellettiere d´Arcore. Il quale recita dagli schermi nel giorno del funerale bolognese, sotto maschera eroica: vilipendono l´uomo delle riforme (lui, B., crocifisso dagli oppositori) e sparano anche; congiunzione maligna «e» imparenta gli oppositori ai terroristi. Che pastiche: El Cid trasposto da Corneille a Molière; Tartufo traffica, piagnucola, azzanna.