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SOLUZIONE INDECENTE
EZIO MAURO

 

da Repubblica - 1 luglio 2002


UNA crisi feroce e volgare, dentro il governo di destra che guida il nostro Paese, si è aperta e chiusa ieri nel peggiore dei modi. Il ministro dell´Interno Claudio Scajola, un uomo che ha perso la testa davanti al quadro gravissimo di colpe, sordità, inadempienze e ritardi denunciato dalle cinque lettere di Marco Biagi rivelate da "Repubblica", ha prima insultato la memoria del professore assassinato dalle Brigate Rosse. Poi ha tentato di negare le sue parole. Quindi, di fronte ad una situazione di ora in ora più insostenibile, invece di chiedere scusa e andare a casa, lasciando il governo, ha concordato con Berlusconi di "offrire" le dimissioni. Il presidente del Consiglio le ha prontamente respinte e Scajola per ora resta al suo posto, indebolito e frastornato alla guida degli apparati di polizia e di sicurezza, in un momento delicatissimo. Per la destra di governo il caso è chiuso: una sorta di crisi extraparlamentare giocata nel recinto blindato di Forza Italia, come all´epoca dei monocolori democristiani, nell´errata convinzione che il partito coincida con lo Stato, e lo riassuma in sé.
E´ una decisione molto grave, fuori da ogni decenza istituzionale. Coprendo il suo ministro, ormai indifendibile e al centro di un caso politico enorme, innescato dalle lettere di Biagi, Berlusconi si è assunto una responsabilità politica e morale molto forte, perché indebolisce il governo del Paese e, ciò che più conta, il nostro Stato.
L´emergenza terroristica non può essere invocata a scusante, perché richiede al contrario uomini credibili e comportamenti limpidi, non una generica unità come quella chiesta dal presidente del Consiglio, che di fronte a una condotta inaccettabile sembra invocare piuttosto una copertura omertosa e preoccupante. Molto semplicemente, Scajola doveva andarsene. Se non lo capiva da solo, Berlusconi doveva sentire il dovere di obbligarlo alle dimissioni (vere), perché tutta la bufera Biagi lo vede ormai palesemente fuori controllo. I fatti degli ultimi giorni parlano chiaro. Le lettere di Marco Biagi affiorano a cento giorni dal delitto, e il delitto è irrisolto, così come l´omicidio D´Antona, di tre anni prima.

CASO SCAJOLA UNA SOLUZIONE INDECENTE

Davanti alla drammatica denuncia di quelle lettere, che segnalavano pericoli, prefiguravano un quadro di morte, chiedevano aiuto e si domandavano la ragione incomprensibile del comportamento dello Stato, Scajola ha pensato soltanto a difendere se stesso. Di fronte alle rivelazioni che da quelle lettere sono nate (il presidente della Camera Casini ha spiegato a "Repubblica" di avere informato il capo della Polizia dell´allarme e delle richieste di Biagi) dal Viminale non è arrivata nessuna assunzione di responsabilità. Il capo della Polizia, che ha lasciato Biagi nudo, ha responsabilità di tipo operativo gravi ed evidenti. Il ministro, che continua a ripetere di non aver mai avuto coscienza del pericolo che correva il professore e del suo grido d´aiuto inviato a tutti coloro che potevano ascoltarlo, ha responsabilità politiche fortissime e ineludibili, perché il sistema di prevenzione che lui guida si è dimostrato nel caso di Biagi sordo, cieco, ottuso e purtroppo drammaticamente inadempiente.
Sabato il ministro ha reagito alla pressione polemica e politica che dopo la pubblicazione delle lettere lo circonda. E lo ha fatto con un linguaggio, degli argomenti e un ragionamento che dimostrano semplicemente come non possa restare al suo posto di governo. «Fatevi dire da Maroni se Marco Biagi era una figura centrale - è sbottato Scajola durante una visita di Stato a Cipro -. Era un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza». Francamente, non avevamo mai sentito un ministro della Repubblica liquidare così una vittima innocente del terrorismo, colpevole soltanto di lavorare per lo Stato e di portare avanti le sue idee.
Ieri mattina Scajola ha provato a fare marcia indietro. Non potendo smentire la sua frase, riportata dagli inviati a Cipro del "Corriere della Sera" e del "Sole-24 Ore", e non avendo il coraggio di chiedere subito e pubblicamente scusa alla vedova di Marco Biagi e ai suoi figli, ha scelto di "non riconoscersi" nelle sue stesse parole. Con questo patetico e impolitico giudizio, il ministro non si è accorto di tracciare un ritratto psicologico di se stesso, in questo passaggio drammatico. E´ un uomo di Stato che parla a vanvera, che dice ciò che dovrebbe tacere, costretto a prendere le distanze dalle sue stesse parole, incapace di reggere la pressione del momento.
Poiché le parole postume di Marco Biagi lo stanno assediando, con la potenza drammatica di quell´impotenza inerme, che chiede invano allo Stato di fare il suo dovere proteggendolo, Scajola se la prende con Biagi. Era - ieri e oggi - un «rompicoglioni» per gli uomini di questo governo, impegnati a prendere il controllo e il potere nel Paese dopo averne conquistato il consenso alle elezioni, indaffarati in questioni più importanti come le rogatorie, il falso in bilancio, la resa dei conti in televisione.
In questo quadro, Biagi è un uomo solo, isolato, che non conta in termini di potere. Chiede la scorta, mentre la si sta togliendo a Ilda Boccassini. Che vuole? Come si permette? Che sa, lui, delle strategie complesse di comando e di potere della destra italiana e del suo governo? E´ una sorta di tecnico a contratto, dice con disprezzo Scajola, insomma un dipendente pagato. Ringrazi e taccia, lasciando lavorare in pace il governo-azienda: "Un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza", è la squallida epigrafe del ministro che rivela il vero pensiero della destra italiana: tutto è mercantile, anche le idee, il riformismo, il senso dello Stato, i valori e i sentimenti degli uomini, anche le loro paure.
Queste frasi non sono soltanto miserabili, come quelle del replicante Schifani, che vede nel delitto Biagi un regolamento di conti interno alla sinistra. Sono l´indice di una cultura politica spaventata e spaventosa, di un senso delle istituzioni e del governo inadeguato. Per queste ragioni - che si riassumono in una: la decenza civile - Scajola dovrebbe andarsene subito, senza furbizie e calcoli tattici. Quella di ieri è invece stata la giornata delle furbizie, delle paure, probabilmente dei ricatti interni. Fino ad un esito indecoroso, che risolve il caso come se fosse una partita da giocare al chiuso, una qualunque gaffe di un ministro stanco e in surmenage. E invece il caso è aperto, e va ben al di là della gaffe. Scajola infatti non è un tecnico, come Ruggiero. E´ la proiezione al governo di Forza Italia, quel partito che lui stesso ha organizzato e selezionato, uomo per uomo, così conquistando potere: forse troppo, se sono vere le voci che parlano di una furibonda battaglia in svolgimento da mesi dentro la destra berlusconiana, con resa dei conti finale in atto. Oggi, con Scajola colpito e sfregiato, miracolato al suo posto, i pesi interni a Forza Italia si sono ridistribuiti. Ma lo Stato paga un prezzo, mentre è facile prevedere l´inizio di una stagione di vendette.
Resta il fatto che chi pensava di usare le lettere di Biagi per colpire Sergio Cofferati, non aveva capito niente. E´ vero che l´isolamento tragico del professore si conosceva, la famiglia lo aveva confermato. Ma quelle parole, bisogna leggerle, bisogna ascoltarle. Come ha fatto notare su "Repubblica" Giuseppe D´Avanzo, c´è una drammatica e inspiegabile simmetria rovesciata tra le denunce di Biagi e gli atti di governo che progressivamente lo denudano, esponendolo.
Il 9 giugno viene tolta la scorta a Roma. Il 2 luglio Biagi chiede al sottosegretario Sacconi e al direttore di Confindustria Parisi di intervenire sul governo per ripristinarla. Il 15 luglio si rivolge a Casini. Pochi giorni dopo Casini interviene sul Capo della Polizia De Gennaro. Il primo settembre il professore scrive al prefetto di Bologna denunciando telefonate minatorie, in un crescendo drammatico. Risultato: pochi giorni dopo, il 19 settembre, la scorta viene revocata anche a Milano. Il 21 settembre viene tolta a Bologna. Passano due giorni e il 23 settembre Biagi scrive a Maroni una denuncia-testamento: «Oggi ho ricevuto un´altra telefonata minatoria, se mi succede qualcosa desidero si sappia che avevo informato inutilmente le autorità». Il 3 ottobre salta l´ultima tutela, la scorta di Modena, proprio mentre viene presentato il «Libro Bianco» che porta Biagi nel cuore della polemica politica nazionale. La disperazione del professore è lucida. Abituato muoversi con gli strumenti della logica, scrive ragionando al prefetto di Bologna: «Provo una profonda delusione per quella che secondo me è un sottovalutazione dello stato di pericolo in cui mi trovo» .
Qualcuno deve rispondere oggi della drammatica connessione tra questa tragedia crescente, denunciata in anticipo, quasi urlata, e il disimpegno progressivo dello Stato dai suoi obblighi. Tanto più che lo Stato sapeva, da fine luglio, perché Casini aveva informato il Capo della Polizia. E´ questa logica stringente dei fatti che ha messo Scajola con le spalle al muro, fino a spingerlo fuori strada.
Quel pezzo di destra che ha provato a criminalizzare Cofferati, ora deve gestire la sconfitta di Scajola e con lui del governo. Mentre governo e Procura devono rispondere alle domande di Cofferati: chi si è impossessato delle lettere di Biagi, come e quando, per gestirle oggi con tempi e obiettivi politici? Chi ha tolto il riferimento a Cofferati (ripristinato da "Repubblica", che ha ricostruito la lettera originale) nel messaggio a Parisi, togliendo anche il riferimento alla fonte «assolutamente attendibile» che racconta a Biagi di oscure minacce di Cofferati, in epoca in cui tra i due non c´era stata e non c´era alcuna polemica diretta? Perché quella lettera con l´indicazione delle «minacce» e della «fonte» non è agli atti della Procura? E quella «fonte» dovrà essere portata alla luce al più presto: che cosa raccontava a Marco Biagi? E perché?
La Procura deve fare chiarezza. E il governo, incapace di essere all´altezza della crisi che ha innescato, deve almeno chiedere scusa per le parole di Scajola alla famiglia Biagi, ferita e offesa senza una ragione, volgarmente. In più, il governo deve domandarsi come potrà, con questi uomini e con questo stile politico, gestire la stagione che abbiamo davanti. Ieri Berlusconi e Scajola hanno capito che il caso Biagi pretendeva le dimissioni del ministro dell´Interno: ma hanno provato a sfidare le regole, sottraendosi a quell´obbligo politico e morale. Da oggi, quella prova disperata di forza pesa come una prova di debolezza permanente.
Quanto a "Repubblica", continuerà a fare la sua parte, alla ricerca della verità di una vicenda oscura, come abbiamo fatto quando abbiamo ricevuto le lettere: una volta accertata dai destinatari la loro autenticità, il giornale aveva non il diritto, ma il dovere di pubblicarle, nell´interesse pubblico. La trasparenza, nell´Italia di oggi, è un servizio alla democrazia, e può averne paura solo chi ha qualcosa da nascondere.
EZIO MAURO