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Populismo mediatico
Attenti agli 
unti dal popolo
Umberto Eco
   
da 
l'Unità -
7 febbraio
2006
Sul finire del secolo scorso scrissi un articolo in cui osservai alcune cose: 
per esempio che con la caduta del muro di Berlino e il crollo dell’Unione 
Sovietica la De Agostini aveva dovuto mandare al macero tutti gli atlanti. Io 
per fortuna andai a recuperare quelli di prima del 1914 dove c’era ancora la 
Serbia, Montenegro, la Lituania, l’Estonia e andavano benissimo. Questo mi diede 
uno shock. Avevamo massacrato 55 milioni di persone durante la seconda guerra 
mondiale, un altro po’ nella prima, per niente... per tornare indietro.
Poi feci un’altra 
osservazione. Sembrava che il punto più avanzato del mondo dello spettacolo 
fosse la televisione e improvvisamente avevano inventato il cinematografo, cioè 
la videocassetta. Dopodiché avevano inventato internet che riusciva ad avere 
immagini immobili e in più non viaggiava più come telegrafia senza fili ma come 
la telefonia coi fili. Quindi era stato un passaggio da Marconi a Meucci. A quel 
punto avevo ipotizzato che prima o poi avrebbero inventato una scatola dalla 
quale, girando semplicemente una manopola, sarebbe uscita della musica. Io 
scherzavo: avevo inventato la radio? No. È l’IPod. Questo cammino all’indietro 
esiste davvero.
Questi, naturalmente, sono soltanto degli scherzi anche se possono essere 
sintomi preoccupanti. Il vero cammino all’indietro, invece, è nella tecnica 
della guerra. Il vituperato ‘900 ci ha dato 50 anni di pace con la guerra 
fredda, che è stata una grandissima invenzione, l’equilibrio del terrore. Sì, si 
ammazzava un po’ di gente in periferia, ma noi al centro non stavamo male. Poi, 
dieci anni prima che finisse il secolo, con la prima guerra del Golfo è 
cominciata la guerra calda, la guerra guerreggiata (...).
Adesso siamo tornati al saluto romano nello stadio. Lo facevo da balilla. A 10 
anni: solo che io ero obbligato a farlo. Oggi invece i giornali parlano di un 
funerale, di una persona molto per bene che ha vissuto tutta una vita senza 
approfittare del proprio nome, ma al suo funerale si sono verificati tutti riti 
di cinquant’anni fa. Abbiamo al governo quelli che c’erano prima della 
Resistenza. E con la devoluzione abbiamo un’Italia pre-Garibaldi.
Ci sono delle marce all’indietro impressionanti. Il rifiuto dell’evoluzionismo 
di Darwin è una storiella dell’800 di gruppi fondamentalisti protestanti. Oggi 
sta tornando d’attualità. L’antisemitismo è di nuovo ai protocolli dei Savi di 
Sion. È abbastanza preoccupante. Forse la storia si è stancata di andare avanti 
(...)
C’è un fatto nuovo: il populismo mediatico. Nel mio ultimo libro mi riferisco al 
nostro Paese, e uno dei motivi di sofferenza che provo quando vado all’estero 
non è essere trattato male in quanto italiano - visto che vengo accolto non come 
italiano ma in quanto autore o collega d’università - ma il vedermi fatto segno 
di tanta solidarietà. Mi danno le pacche sulle spalle... perché hanno paura che 
capiti anche a loro. L’Italia è sempre stato un laboratorio. Pensiamo alle 
avanguardie. Si è cominciato col futurismo italiano e poi è venuto tutto il 
resto. I fascisti: sono nati in Italia e poi in Germania, Spagna. Io spiego agli 
stranieri: voi sembrate tanto preoccupati per noi, ma non è vero. Voi avete 
paura che possa succedere qualcosa del genere anche a voi.
Cos’è il populismo mediatico? Il populismo è una forma di governo che si regge 
nell’appello diretto al popolo e la richiesta di legittimità. Ora, il popolo non 
esiste. Cos’è il popolo? Prova ne è che la democrazia - che, come dice anche 
Fossati, sarà un pessimo regime ma è ancora il migliore che abbiamo - invece di 
rifarsi ad una visione mitica del popolo si basa su un criterio di maggioranza. 
Poi può darsi che la maggioranza abbia torto, ma questo è un altro discorso... 
L’appello al popolo invece vuol dire un appello a qualcosa di inventato, 
scavalcando la mediazione parlamentare. Ora, le dittature eliminano i 
parlamenti: Mussolini che dice a Montecitorio «potevo fare di quest’aula sorda e 
grigia un bivacco per i miei manipoli», lo dice nel 1922 e nel giro di qualche 
anno lo fa sul serio.
Il punto è che in un periodo di regime massmediatico non è più necessario 
instaurare dittature. Il nostro presidente del Consiglio una volta ha detto: non 
accetto di essere giudicato da un magistrato, perché io sono stato legittimato 
dal popolo mentre lui è al suo posto per concorso... Dopodiché, aggiungo io, se 
mi viene l’appendicite io non mi faccio operare dal chirurgo perché non è stato 
eletto dal popolo ma è arrivato a quel posto per concorso. Non mando i bambini a 
scuola perché il maestro non è stato eletto dal popolo, non salgo sull’aereoplano 
perché il pilota non è stato eletto dal popolo. Chiudiamo l’esercito perché il 
generale per fortuna non è stato eletto dal popolo ma va lì per concorso e 
carriera. Ecco, questo dire «io mi lascio giudicare solo dal popolo», significa 
fare del populismo, cioè creare quella finzione per cui sarebbe il popolo quello 
che ti dà ragione. (...)
Vedo un sacco di intellettuali in tv, poi magari smettono di esserlo nel momento 
in cui ci vanno... ma questo è un altro problema. Credo che molti non vadano in 
tv perché tranne poche eccezioni li fanno litigare. (...) Sì, io guardo la tv - 
uno guarda quello che può - e quando sono a casa guardo il tg e poi tutti i film 
di carabinieri, squadra di polizia, distretti... tutti... È chiaro che sono 
tutti uguali, ma questa è anche la loro bellezza: ti dà un senso di pace e di 
serenità. Sono fatti e costruiti bene. Alle 23 finiscono e uno torna a lavorare.
Testo tratto dall’intervista di Fabio Fazio a Umberto Eco a «Che tempo che 
fa»