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E il delitto evaporò sotto il sole di Arcore
FRANCO CORDERO

 

da Repubblica - 17 dicembre 2002


Pende alla Camera un disegno di legge in 45 articoli intitolabile «LŽavvocato dei miracoli» ossia come squagliare i delitti, purché uno lo meriti: e lo merita chi frequenta le compagnie giuste; nel mondo nascente, illuminato dal sole dŽArcore, non hanno corso assiomi egualitari dŽodiosa memoria giacobina; vigono norme ad personam, flessibili; ognuno trova la sua. Vale la pena spigolarvi cominciando dai futuri artt. 36 sg. c.p.p. Era ora che glŽimputati potessero scegliersi i giudici o almeno, schivare gli scomodi. I due predetti articoli allargano talmente i motivi della ricusazione, che tutti o quasi i componenti dŽun tribunale o corte diventano ricusabili. Basta lŽ«inimicizia» col difensore, non meglio definita, mentre lŽattuale norma la richiede «grave», tra giudice e una delle parti private: viene a taglio qualunque modesta tensione; e vi sono mille modi dŽinnescarla. Altro motivo lŽantipatia politica: chi legga libri sospetti, ad esempio, o frequenti teste storte non giudicherà gli uomini del re; e non parliamo dei dissidenti palesi; uno dei 25 ddl qui rimpastati (Anedda, n. 1225) prevede anche lŽavere emesso provvedimenti difformi dai «princìpi del giusto processo». LŽidea profonda è che sia «iudex suspectus» chiunque non regga la coda alla difesa. LŽinteressato se li toglie dai piedi con un soffio.
Nei processi berlusconiani danno spettacolo atleti del tempo perso e, avendo un piede nel Parlamento, sŽinventano macchine dilatorie. LŽart. 108-bis dichiara prorogabili i termini dŽalmeno 30 giorni, anche più dŽuna volta. LŽinsoddisfatto ricorre in cassazione. LŽart. 190, c. 1, qual è ancora, esclude le prove «manifestamente superflue o irrilevanti»: espediente selettivo necessario al sistema che non voglia implodere, ma i guastatori blu lŽaboliscono; quando N indichi testimoni a miriadi (ad esempio, glŽiscritti sulle liste elettorali del tal Comune), su qualunque tema vagamente connesso ai fatti de quibus, il giudice li ammetterà senza fiatare. LŽimputato ricco gli satura quante udienze vuole. LŽaltrettanto micidiale art. 416, c. 2, commina una nullità assoluta ogniqualvolta il fascicolo non contenga lŽintero prodotto delle indagini, briciole incluse, interessino o no al fine istruttorio. È una sapientissima mina. Sceltosi il momento, lŽartificiere dirà che nel fascicolo manca qualcosa. In appello, ad esempio, un servizievole testimone racconta dŽavere scritto allŽindagante: la lettera non cŽè; quel pubblico ministero cade dalle nuvole, né potrebbe deporre (glielo vieta lŽart. 197, lett. d), o magari non abita più questo pianeta. Sono letali le nullità assolute, rilevabili finché duri il processo: invalido lŽatto col quale lŽattore pubblico chiedeva il rinvio a giudizio, cadono i consecutivi; salta il processo; gli strateghi del nulla volano ad nuptias. A richiesta della parte, il giudice verifica che il fascicolo (...) contenga effettivamente tutti gli atti dŽindagine compiuti» (o meglio, i relativi verbali: art. 421, c. 3-bis): resta un mistero come possa, se non lŽaiuta lo Spirito santo; e pare sottinteso che lŽonere della relativa prova incomba allŽaccusa; nel dubbio, quindi, lŽintero seguito va al diavolo o almeno lo soster-ranno i paladini del «giusto processo».

Allo stesso ceppo manicomiale appartiene lŽart. 391, c. 5-bis e ter, contemplante lŽimmediato ricorso in Cassazione su materie interlocutorie (questioni preliminari, nullità della domanda, valore processuale degli atti, ammissione o esclusione delle prove), e i ricorsi pioveranno perché ogni volta sopravviene una stasi automatica dŽalmeno 6 mesi. Se allŽimputato viene comodo, il processo non finisce mai: basta chiedere lŽammissione della prova x, tardiva o vietata; unŽordinanza gliela rifiuta; lui ricorre e incassa i 6 mesi, scaduti i quali, ripete il gioco sulla prova y; lŽalternativa è accogliere qualunque richiesta, anche demente, ma dove glŽimputati siano due, interessati a perdere tempo, ricorre lŽaltro e la ruota gira in folle. Combinato allŽart. 190, c. 1, il meccanismo sviluppa magnifiche sinergie: N indica 10 mila testimoni; se glieli ammette, il cireneo incanutisce nellŽascoltarli; quando poi, compiuti 72 anni, deponga la toga, il dibattimento sarà rifatto. Eventuali rifiuti scatenano ricorsi e relativi stalli. Mostri simili nascono tarati, inutile dirlo, perché i legislatori non sono onnipotenti, ma lŽarnese chirurgico dŽablazione delle norme invalide lavora finché un padrone dello Stato non metta le mani sulla relativa Corte. Colmo dellŽironia macabra, questi due ordigni figurano nel capo VI, inteso a «semplificare e accelerare i tempi».
Nel lessico berlusconiano «favor rei» significa assolvere dei colpevoli. LŽidea risplende nel futuro art. 192, c. 3, mano soccorrevole tesa alla mafia, nei cui processi lŽimputato rischierebbe poco se le co-se dette dai correi contassero zero. Adesso contano fin dove le confermino «altri elementi», ed era superfluo dirlo: non esistono parole infallibili; la sentenza spiega perché le creda; identico vaglio subisce ogni testimone. La nuova norma richiede che i cosiddetti riscontri siano documenti o testimonianze. Supponiamo che su mille correi (ad esempio thug, gli strangolatori devoti alla dea Kâli: figure salgariane ma è dato storico; la giustizia inglese li scovava a migliaia in India), 999 confessino e le rispettive confessioni convergano, mentre lŽultimo nega: condannati i 999, assolto il millesimo, se non lo inchiodano testimoni o documenti; inutili le conclusioni induttive che lŽart. 192, c. 2, chiama indizi. Magari sul correo "negativus" ne pesano dŽenormi (che da soli non bastino a motivare la condanna), e bisogna assolverlo se non arrivano il film dellŽaccaduto, scritture o reperti analoghi oppure testimoni (del fatto attribuitogli, sosterranno i sofisti forensi, perché la prova induttiva risulta implicitamente esclusa). I 61 collegi su 61 vinti nellŽisola implicavano un debito. I vincitori lo stanno pagando: questŽarticolo dŽoro apre lŽiter; poi in ossequio al «giusto processo», verrà la revisione delle condanne irrevocabili; nel laboratorio parlamentare pendono disegni ad hoc.

Lo strabiliante art. 335-bis codifica unŽidea talmente cavalleresca dello stile accusatorio, da garantire larghe impunità. Sentiamola: il publico ministero riceve una notizia su N; iscrivendola nel registro, prima quindi dŽessersi mosso, deve avvertirlo; «en garde»; non commetta passi falsi; diffidi del telefono; attento a non farsi captare suoni e immagini; e sapendosi nellŽocchio inquirente, sia cauto se delinque ancora. LŽignaro arrischia una domanda: bisogna avvertire tutti?; anche mafiosi, narcotrafficanti, terroristi, estorsori, mercanti di carne umana? Sì, a meno che lŽindagante chieda un permesso e il giudice glielŽaccordi: 6 mesi, prorogabili una sola volta, col limite massimo dŽaltri 6; spirati i quali scatta lŽavviso, la cui omissione annienta ogni atto posteriore. È motivo dŽorgoglio sapersi cittadini dŽun fortunato paese i cui parlamentari scolpiscono nel marmo tali capolavori. Manca una bellissima invenzione del ddl n. 1225 ma non disperiamo: volano tanti falchi; qualcuno la ripescherà. Esponiamola affinché i lettori misurino lŽanima dei Baiardi forzaitalioti. LŽart. 407 impone dei termini alle indagini: gli atti tardivi nascono morti; ai garantisti sembra poco e li sotterrano tutti, anche i tempestivi, lanciando un eloquentissimo segnale, che le imprese criminali siano meno temibili deglŽinvestigatori accaniti. Infine, e chiudo il florilegio, lŽart. 507 non ammette più prove acquisite ex officio nel dibattimento: deve chiederle una parte; ed entrano solo se conducono al proscioglimento; le altre tamquam non essent. Gli spavaldi riformatori postulano processi penali dallŽoggetto disponi-bile, quasi fossero sul tappeto un credito, diritti reali, affari condominiali: ipotesi assurda, notavo 11 anni fa nella «Procedura», e così ragionano le Sezioni unite, nonché Corte cost. 26 marzo 1993 n. 111, ma sono argomenti dŽuna dialettica ormai obsoleta, squagliati dal sole dŽArcore.