www.segnalo.it - 
Politica dei servizi sociali - Saggi e Articoli
| HOME PAGE | 
VELENI 
SUL PAESE
ANDREA MANZELLA
 
NON basta dire che la riscrittura costituzionale appena approvata durerà solo lo 
spazio di una campagna elettorale. E che servirà solo per appagare la 
tradizionale pulsione separatista dell´elettorato "leghista", ieri esaltato 
dalla teatrale ricomparsa del suo leader a Roma: con una simbolica presa di 
possesso dell´intero progetto. Né dire che già in questo 2006, politicamente 
ormai "cominciato", sarà cancellata dal referendum. E´ tutto vero ma è pur vero 
che, benché destinata al fallimento finale, questa impresa contro la 
Costituzione ha già prodotto importanti effetti di danno.
Ha, innanzitutto, svelato la insopportabile fragilità delle garanzie procedurali 
a difesa della Costituzione. Ha dimostrato che a nulla vale la barriera della 
"rigidità" costituzionale: se poi, la forzatura dei regolamenti parlamentari 
consente alla maggioranza di degradare i tempi e di eliminare il contraddittorio 
(naturalmente il contraddittorio vero: quello che è utile quando la decisione 
non è stata già scritta).
Ha poi dato l´immagine di un Paese a geometria variabile, "al pongo". Quello in 
cui forma di Stato (il rapporto tra Stato centrale e autonomie territoriali) e 
forma di governo (il rapporto tra governo e parlamento) sono declassate ad 
oggetto di politiche del giorno per giorno. Si è annullata ogni differenza tra 
l´indirizzo politico di legislatura (quello che obbedisce alle necessità dei 
tempi e delle variabili maggioranze) e il quadro istituzionale. E´ diventato 
cioè mutevole anche quello che dovrebbe essere il perimetro consensuale entro 
cui fluisce la vita della Repubblica, il costante punto di riferimento degli 
apparati pubblici e anche la carta di identità della fisionomia italiana dentro 
l´Unione europea. Di tutte le crisi che attraversa il Paese, questa, provocata 
da un lifting costituzionale ad immagine di maggioranza, è la peggiore: per le 
incertezze permanenti che provoca, per il precariato istituzionale che 
determina.
Quel veleno iniettato nel Paese
Si 
sono messi in discussione, soprattutto, i legamenti dell´unità nazionale. Intesa 
non come la generica formula introdotta nella Carta: ma come espressione di 
concreti (e giustiziabili davanti alla Corte costituzionale) vincoli di 
solidarietà fiscale e di coesione territoriale. Basta vedere gli effetti di 
annuncio già provocati dalla norma del progetto che incoraggia il separatismo 
territoriale unilaterale. I 43 comuni che vogliono staccarsi dal Veneto e il 
Veneto che vuole uscire da se stesso.... Basta vedere il compiacimento con cui 
sono state accolte le rivendicazioni di assolutismo fiscale della Sicilia e 
della Sardegna, per capire che quel modello, già difficile a giustificare per 
speciali esigenze, è sfruttato come forma di tendenza per un separatismo 
tributario generalizzato. Può essere, insomma, che il disegno secessionista non 
sia più "dichiarato", ma certo ha trovato una sicura e sostanziosa nicchia 
nell´ambiente anti-nazionale che accompagna l´approvazione di questo progetto.
Sono perfino risuonate in Parlamento irresponsabili teorie revisionistiche non 
di questo o quell´istituto, cosa del tutto legittima, ma dello spirito, della 
cultura istituzionale, dello stesso patriottismo costituzionale che animavano i 
Costituenti del 1948. Come se gli americani rinnegassero lo spirito della 
Convention del 1787 che dette vita alla Costituzione degli Stati Uniti, come se 
i francesi rifiutassero lo spirito che animò nel 1789 l´Assemblea Nazionale 
nella Dichiarazione dei diritti dell´uomo e del cittadino...
Non basterà allora il referendum a cancellare questi veleni, questi effetti di 
danno già emergenti nel Paese. Solo un rigetto del governo che ha consentito 
tutto questo, che ha rotto il bene della pace costituzionale fra gli italiani, 
può far capire che lo stravolgimento si è arrestato, che si volta pagina. Le 
date del referendum costituzionale e delle elezioni politiche saranno tra loro 
vicine o lontane. Ma il giudizio sulle politiche dell´attuale governo non può 
essere separato dal giudizio sulla "politica delle politiche", che è appunto la 
politica costituzionale.
Ma il giorno dopo il referendum, da dove ricominciare? La risposta è: dalla 
lezione di questi ultimi anni. Essi ci hanno detto che una «democrazia 
incompiuta» è piena di pericoli. E allora, prima ancora di prendere in mano le 
nitide proposte avanzate dall´Ulivo per il migliore funzionamento istituzionale, 
il progetto alternativo dovrà basarsi sul proposito di completare la nostra 
democrazia.
Le "primarie di massa" del 16 ottobre, meglio di qualsiasi costituzionalista, 
hanno indicato l´indirizzo. Ed hanno spiegato che il vero rinnovamento ha un 
cuore antico: la riscoperta della "partecipazione" repubblicana come elemento di 
costruzione istituzionale, così come programmato dall´art. 3 della Costituzione 
del 1948.
Che cosa può significare ai giorni nostri la "effettiva partecipazione 
all´organizzazione politica del Paese" secondo le testuali parole di quella 
norma di quasi 60 anni fa? Un po´ ce l´hanno spiegato quei 4 milioni di 
cittadini delle primarie che, nel Paese del "tengo famiglia", hanno rinunciato 
alla privacy della scelta politica e si sono fatti "schedare": dando nome, 
indirizzo, e-mail, numero di telefono, soldi, firme di adesione programmatica 
per farsi coinvolgere nella organizzazione della politica.
Quei cittadini non volevano, non vogliono formare un nuovo partito: chiedono un 
nuovo modo di costruire i partiti. Non vogliono fabbricare nuove case ma 
ristrutturare quelle esistenti, in maniera che sia creata per loro una porta di 
ingresso e una stanza permanente di consultazione.
Le primarie sono state come tutte le grandi invenzioni, una scoperta casuale. 
Sperimentate per legittimare un leader, hanno rivelato l´esistenza di una via 
per democratizzare la democrazia. Ora è così possibile una pienezza di lettura 
di quell´art. 49 della nostra Carta che per costituzionalizzare i partiti, 
comincia dai cittadini. "Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi 
liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la 
politica nazionale". Oggi quel "metodo democratico" indica anche la necessità di 
coinvolgere un´area vasta di aderenti. I cittadini che hanno scelto una 
professione diversa dalla politica, ma che alla politica vogliono contribuire 
non solo con le mobilitazioni di piazza, non solo nel giorno delle elezioni, ma 
anche nei momenti in cui la politica ha bisogno di rassicurarsi delle sue radici 
popolari e della sua capacità di rappresentarle. Così "metodo democratico" vuol 
dire procedimenti istituzionali di consultazione e di ingresso della nuova 
categoria di "aderenti al programma di governo", dei veri sostenitori della sua 
stabilità.
Attenzione: non si tratta di reintrodurre, dopo secoli di libera rappresentanza 
parlamentare, il mandato imperativo da parte della base elettorale. Si tratta di 
comprendere i nuovi modi di essere della cittadinanza attiva. Quando 
l´associazione per far politica può assumere forma diversa dell´ "associazione 
dei militanti» e può" semplicemente significare la "messa in rete" con il 
partito e la coalizione al cui programma si è aderito. Un volontariato di 
opinione che sperimenta l´interattività della politica e della rappresentanza. 
Una realtà popolare e "italiana" così diversa dai ghetti leghisti delle 
"nazionalità" regionali alle quali strizza l´occhio la riformulazione ambigua, 
nel progetto, della funzione parlamentare.
Aprire i partiti, ma aprire anche il parlamento. Referendum, iniziativa 
popolare, petizione. Sono tutti istituti inclusi in una visione separata e fin 
qui trascurata di «democrazia diretta». Che devono invece essere riportati nel 
funzionamento complessivo di una democrazia senza aggettivi. Per fare un tutto 
unitario con la democrazia parlamentare.
Il referendum per l´abrogazione delle leggi – un controllo popolare 
indispensabile per la stessa responsabilizzazione delle Camere – si trova in 
coma per il troppo facile gioco di far mancare il numero minimo di votanti. 
Occorre riformare per risvegliarlo. Ma ancora più decisiva dovrebbe essere la 
estensione del referendum "confermativo": dall´art. 138 (per le leggi di 
revisione costituzionale, quale che sia la maggioranza parlamentare che le abbia 
approvate) alle leggi elettorali, alle leggi organiche di revisione dei codici, 
alla disciplina delle comunicazioni di massa, all´ordinamento dei giudici e 
delle autorità indipendenti. Tutte leggi formalmente "ordinarie" ma dense di 
sostanza "costituzionale".
L´iniziativa legislativa popolare (art. 71) chiede ormai una posizione 
privilegiata nei lavori parlamentari, con precisi vincoli temporali alla 
decisione, positiva o negativa che sia. La petizione alle Camere: "per chiedere 
provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità" (art. 50) sarebbe 
rafforzata dalla creazione di un Mediatore parlamentare sul modello europeo per 
canalizzarla e seguirla nelle accidentate procedure parlamentari.
C´è ora, poi, il progetto elettorale che sta per compiere il misfatto politico 
di distruggere la rappresentanza territoriale. Si rompe, così, persino per il 
Senato cosiddetto "federale", il rapporto tra parlamentari e collegi, lacerando 
il tessuto, di rapporti, di amicizie e di culture locali, intrecciato nelle 
constituencies (la parola inglese che evoca il valore fondativo del distretto 
elettorale). E allora, democratizzare la Costituzione significherà anche 
stabilizzare in essa il ritorno alla divisione elettorale in collegi, quale che 
sia il metodo di elezione richiesto.
Dall´altro lato, anche un istituto centrale del parlamentarismo come la 
commissione di inchiesta parlamentare richiede ormai una riforma partecipativa: 
l´ingresso, per le materie in cui non sia esclusiva la competenza dello Stato, 
di rappresentanti di regioni e di comunità locali.
Dopo il referendum, insomma, bisogna di mostrare a coloro che si propongono 
l´impossibile impresa di sradicare anche l´anima della Costituzione, che questa 
vive ed è capace di ispirare sviluppi, insieme radicali e coerenti, per la 
modernità della democrazia italiana.