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VELENI SUL PAESE
ANDREA MANZELLA
 

  da Repubblica - 17 novembre 2005


NON basta dire che la riscrittura costituzionale appena approvata durerà solo lo spazio di una campagna elettorale. E che servirà solo per appagare la tradizionale pulsione separatista dell´elettorato "leghista", ieri esaltato dalla teatrale ricomparsa del suo leader a Roma: con una simbolica presa di possesso dell´intero progetto. Né dire che già in questo 2006, politicamente ormai "cominciato", sarà cancellata dal referendum. E´ tutto vero ma è pur vero che, benché destinata al fallimento finale, questa impresa contro la Costituzione ha già prodotto importanti effetti di danno.
Ha, innanzitutto, svelato la insopportabile fragilità delle garanzie procedurali a difesa della Costituzione. Ha dimostrato che a nulla vale la barriera della "rigidità" costituzionale: se poi, la forzatura dei regolamenti parlamentari consente alla maggioranza di degradare i tempi e di eliminare il contraddittorio (naturalmente il contraddittorio vero: quello che è utile quando la decisione non è stata già scritta).
Ha poi dato l´immagine di un Paese a geometria variabile, "al pongo". Quello in cui forma di Stato (il rapporto tra Stato centrale e autonomie territoriali) e forma di governo (il rapporto tra governo e parlamento) sono declassate ad oggetto di politiche del giorno per giorno. Si è annullata ogni differenza tra l´indirizzo politico di legislatura (quello che obbedisce alle necessità dei tempi e delle variabili maggioranze) e il quadro istituzionale. E´ diventato cioè mutevole anche quello che dovrebbe essere il perimetro consensuale entro cui fluisce la vita della Repubblica, il costante punto di riferimento degli apparati pubblici e anche la carta di identità della fisionomia italiana dentro l´Unione europea. Di tutte le crisi che attraversa il Paese, questa, provocata da un lifting costituzionale ad immagine di maggioranza, è la peggiore: per le incertezze permanenti che provoca, per il precariato istituzionale che determina.

Quel veleno iniettato nel Paese

Si sono messi in discussione, soprattutto, i legamenti dell´unità nazionale. Intesa non come la generica formula introdotta nella Carta: ma come espressione di concreti (e giustiziabili davanti alla Corte costituzionale) vincoli di solidarietà fiscale e di coesione territoriale. Basta vedere gli effetti di annuncio già provocati dalla norma del progetto che incoraggia il separatismo territoriale unilaterale. I 43 comuni che vogliono staccarsi dal Veneto e il Veneto che vuole uscire da se stesso.... Basta vedere il compiacimento con cui sono state accolte le rivendicazioni di assolutismo fiscale della Sicilia e della Sardegna, per capire che quel modello, già difficile a giustificare per speciali esigenze, è sfruttato come forma di tendenza per un separatismo tributario generalizzato. Può essere, insomma, che il disegno secessionista non sia più "dichiarato", ma certo ha trovato una sicura e sostanziosa nicchia nell´ambiente anti-nazionale che accompagna l´approvazione di questo progetto.
Sono perfino risuonate in Parlamento irresponsabili teorie revisionistiche non di questo o quell´istituto, cosa del tutto legittima, ma dello spirito, della cultura istituzionale, dello stesso patriottismo costituzionale che animavano i Costituenti del 1948. Come se gli americani rinnegassero lo spirito della Convention del 1787 che dette vita alla Costituzione degli Stati Uniti, come se i francesi rifiutassero lo spirito che animò nel 1789 l´Assemblea Nazionale nella Dichiarazione dei diritti dell´uomo e del cittadino...
Non basterà allora il referendum a cancellare questi veleni, questi effetti di danno già emergenti nel Paese. Solo un rigetto del governo che ha consentito tutto questo, che ha rotto il bene della pace costituzionale fra gli italiani, può far capire che lo stravolgimento si è arrestato, che si volta pagina. Le date del referendum costituzionale e delle elezioni politiche saranno tra loro vicine o lontane. Ma il giudizio sulle politiche dell´attuale governo non può essere separato dal giudizio sulla "politica delle politiche", che è appunto la politica costituzionale.
Ma il giorno dopo il referendum, da dove ricominciare? La risposta è: dalla lezione di questi ultimi anni. Essi ci hanno detto che una «democrazia incompiuta» è piena di pericoli. E allora, prima ancora di prendere in mano le nitide proposte avanzate dall´Ulivo per il migliore funzionamento istituzionale, il progetto alternativo dovrà basarsi sul proposito di completare la nostra democrazia.
Le "primarie di massa" del 16 ottobre, meglio di qualsiasi costituzionalista, hanno indicato l´indirizzo. Ed hanno spiegato che il vero rinnovamento ha un cuore antico: la riscoperta della "partecipazione" repubblicana come elemento di costruzione istituzionale, così come programmato dall´art. 3 della Costituzione del 1948.
Che cosa può significare ai giorni nostri la "effettiva partecipazione all´organizzazione politica del Paese" secondo le testuali parole di quella norma di quasi 60 anni fa? Un po´ ce l´hanno spiegato quei 4 milioni di cittadini delle primarie che, nel Paese del "tengo famiglia", hanno rinunciato alla privacy della scelta politica e si sono fatti "schedare": dando nome, indirizzo, e-mail, numero di telefono, soldi, firme di adesione programmatica per farsi coinvolgere nella organizzazione della politica.
Quei cittadini non volevano, non vogliono formare un nuovo partito: chiedono un nuovo modo di costruire i partiti. Non vogliono fabbricare nuove case ma ristrutturare quelle esistenti, in maniera che sia creata per loro una porta di ingresso e una stanza permanente di consultazione.
Le primarie sono state come tutte le grandi invenzioni, una scoperta casuale. Sperimentate per legittimare un leader, hanno rivelato l´esistenza di una via per democratizzare la democrazia. Ora è così possibile una pienezza di lettura di quell´art. 49 della nostra Carta che per costituzionalizzare i partiti, comincia dai cittadini. "Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale". Oggi quel "metodo democratico" indica anche la necessità di coinvolgere un´area vasta di aderenti. I cittadini che hanno scelto una professione diversa dalla politica, ma che alla politica vogliono contribuire non solo con le mobilitazioni di piazza, non solo nel giorno delle elezioni, ma anche nei momenti in cui la politica ha bisogno di rassicurarsi delle sue radici popolari e della sua capacità di rappresentarle. Così "metodo democratico" vuol dire procedimenti istituzionali di consultazione e di ingresso della nuova categoria di "aderenti al programma di governo", dei veri sostenitori della sua stabilità.
Attenzione: non si tratta di reintrodurre, dopo secoli di libera rappresentanza parlamentare, il mandato imperativo da parte della base elettorale. Si tratta di comprendere i nuovi modi di essere della cittadinanza attiva. Quando l´associazione per far politica può assumere forma diversa dell´ "associazione dei militanti» e può" semplicemente significare la "messa in rete" con il partito e la coalizione al cui programma si è aderito. Un volontariato di opinione che sperimenta l´interattività della politica e della rappresentanza. Una realtà popolare e "italiana" così diversa dai ghetti leghisti delle "nazionalità" regionali alle quali strizza l´occhio la riformulazione ambigua, nel progetto, della funzione parlamentare.
Aprire i partiti, ma aprire anche il parlamento. Referendum, iniziativa popolare, petizione. Sono tutti istituti inclusi in una visione separata e fin qui trascurata di «democrazia diretta». Che devono invece essere riportati nel funzionamento complessivo di una democrazia senza aggettivi. Per fare un tutto unitario con la democrazia parlamentare.
Il referendum per l´abrogazione delle leggi – un controllo popolare indispensabile per la stessa responsabilizzazione delle Camere – si trova in coma per il troppo facile gioco di far mancare il numero minimo di votanti. Occorre riformare per risvegliarlo. Ma ancora più decisiva dovrebbe essere la estensione del referendum "confermativo": dall´art. 138 (per le leggi di revisione costituzionale, quale che sia la maggioranza parlamentare che le abbia approvate) alle leggi elettorali, alle leggi organiche di revisione dei codici, alla disciplina delle comunicazioni di massa, all´ordinamento dei giudici e delle autorità indipendenti. Tutte leggi formalmente "ordinarie" ma dense di sostanza "costituzionale".
L´iniziativa legislativa popolare (art. 71) chiede ormai una posizione privilegiata nei lavori parlamentari, con precisi vincoli temporali alla decisione, positiva o negativa che sia. La petizione alle Camere: "per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità" (art. 50) sarebbe rafforzata dalla creazione di un Mediatore parlamentare sul modello europeo per canalizzarla e seguirla nelle accidentate procedure parlamentari.
C´è ora, poi, il progetto elettorale che sta per compiere il misfatto politico di distruggere la rappresentanza territoriale. Si rompe, così, persino per il Senato cosiddetto "federale", il rapporto tra parlamentari e collegi, lacerando il tessuto, di rapporti, di amicizie e di culture locali, intrecciato nelle constituencies (la parola inglese che evoca il valore fondativo del distretto elettorale). E allora, democratizzare la Costituzione significherà anche stabilizzare in essa il ritorno alla divisione elettorale in collegi, quale che sia il metodo di elezione richiesto.
Dall´altro lato, anche un istituto centrale del parlamentarismo come la commissione di inchiesta parlamentare richiede ormai una riforma partecipativa: l´ingresso, per le materie in cui non sia esclusiva la competenza dello Stato, di rappresentanti di regioni e di comunità locali.
Dopo il referendum, insomma, bisogna di mostrare a coloro che si propongono l´impossibile impresa di sradicare anche l´anima della Costituzione, che questa vive ed è capace di ispirare sviluppi, insieme radicali e coerenti, per la modernità della democrazia italiana.