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Bassanini: ha ragione Galli della Loggia è un disastro pieno di contraddizioni
di FRANCO BASSANINI *
 

  dal Corriere - 25 marzo 2005


Costruire una democrazia più forte ed efficiente, per vincere le sfide del nuovo millennio. Correggere, integrare, attuare la riforma federale approvata nel 2001. Utilizzando i modelli e le esperienze delle grandi democrazie liberali dell’Occidente. Su questa base si poteva chiudere la lunga transizione istituzionale. Lo fa la riforma approvata due giorni fa dal Senato? O fa l’esatto contrario? Merita la dura critica e l’allarme lanciato ieri da Galli della Loggia? Vediamo. Tutte le grandi democrazie decentrano i poteri e rafforzano le autonomie locali. Ma invece di costruire un federalismo funzionante, la nostra riforma costruisce un federalismo «a fisarmonica»: poteri «esclusivi» alle Regioni in materie come la scuola, la sanità, la polizia locale, l’industria (energia esclusa), il commercio, l’agricoltura, malamente bilanciati dal potere di bocciare tutte le leggi regionali che, a giudizio del governo, contrastino con l’interesse nazionale. Sono istituti entrambi ignoti nell’esperienza degli Stati federali (Usa compresi). A seconda delle maggioranze del momento, oscilleremo tra una confederazione di Regioni indipendenti e uno Stato ultracentralista. In più si rinvia il federalismo fiscale e dunque l’autonomia e la responsabilità nella provvista e nella gestione delle risorse. Cresceranno i costi per la finanza pubblica, il contenzioso fra Stato e Regioni, lo scaricabarile tra gli enti locali e il governo. È a rischio l’unità d’Italia, la coesione sociale, l’uguaglianza dei cittadini di fronte ai diritti alla salute, all’istruzione, alla sicurezza.
Il potere legislativo rischia la paralisi. Chi dovrà decidere in ultima istanza, tra Camera e Senato, quando una legge riguarda materie diverse tra loro connesse (la legge finanziaria per esempio)? O quando si è sul confine tra una materia e un’altra? Il contenzioso andrà alle stelle. Il Senato, poi, è federale solo di nome. Non ha nulla del Senato americano, né del Bundesrat tedesco, né del Senato francese. Sembra una casa di riposo per assessori regionali a fine carriera.
Sul rafforzamento del governo e del premier, molti convenivano. Nelle democrazie liberali chi vince le elezioni deve avere gli strumenti per governare, per attuare il programma votato dagli elettori. Ma la Costituzione deve stabilire anche i limiti del potere dei vincitori, garantire i diritti e le libertà di tutti (anche degli sconfitti) e la saldezza delle regole democratiche, apprestare saldi argini, forti istituzioni di garanzia contro il dispotismo della maggioranza. Premierato britannico, cancellierato tedesco, presidenzialismo americano: si poteva scegliere fra i tre modelli. Si sono invece dati al premier i poteri di Bush e quelli di Blair, senza i limiti e i contrappesi che rendono saldamente democratici quei sistemi. Si sono indebolite tutte le istituzioni di garanzia. Leggi cruciali (come quelle sui limiti dei diritti di libertà, sull’informazione, sull’indipendenza della magistratura) saranno decise dalla sola Camera maggioritaria, sotto la minaccia di scioglimento da parte del premier. Forte fino al dispotismo nei confronti del Parlamento (e dell’opposizione), il premier sarà esposto al ricatto di partiti alleati, piccoli ma determinati: quelli che non abbiano timore di un ritorno alle urne, perché radicati in un elettorato di nicchia.
Ha dunque ragione Galli della Loggia: è un disastro. Un disastro inevitabile? Forse no. Il rimedio è nelle mani degli italiani, col referendum: e molto dipenderà dal sistema dell’informazione, che dovrà correttamente informarli. E poi? Sgombrato il terreno da questo mostro, resterà da risolvere il problema: come costruire una democrazia più forte ed efficiente, e un federalismo ben temperato e funzionante; per attuare i principi e i valori, i diritti e le libertà della Costituzione repubblicana, in un mondo che è molto cambiato, non per demolirli. Avanzo una proposta: il giorno dopo il referendum, mettiamo fine alle riforme fatte a colpi di maggioranza; un Paese non può vivere cambiando Costituzione ogni cinque anni. Come in Germania o negli Stati Uniti, stabiliamo che le modifiche costituzionali si approvano a maggioranza dei due terzi. Tutti si siedano poi intorno al tavolo, e ragionino su ciò che possiamo copiare dalle esperienze delle grandi liberaldemocrazie. Se nessuno potrà calare sul tavolo la spada di Brenno e se avremo l’umiltà di imparare dalle democrazie che funzionano, forse arriveremo a chiudere positivamente la pagina delle riforme istituzionali necessarie.
* senatore dei Ds