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« SALVIAMO LA COSTITUZIONE »
Le nuove riforme? Ci porteranno alla paralisi
FRANCO BASSANINI LEOPOLDO ELIA
 

  dal Corriere - 22 novembre 2005


Sul Corriere del 17 e del 18 novembre, Sergio Romano e Paolo Franchi hanno scritto, in tema di riforme istituzionali e orientamenti del centrosinistra, due editoriali che meritano attenzione e risposte. Sentiamo il dovere di darne qualcuna, nella nostra duplice veste di persone a vario titolo coinvolte, in questi anni, nella definizione delle scelte di politica istituzionale dei due maggiori partiti del centrosinistra, ma anche di esponenti del Coordinamento nazionale «Salviamo la Costituzione» citato da Franchi.
L'ambasciatore Romano rivolge alla devolution molte critiche che condividiamo. Sembra apprezzare invece le innovazioni in tema di forma di governo perché «il premier, d'ora in poi, assomiglierà al cancelliere tedesco e al primo ministro spagnolo». Purtroppo non è così: la soluzione adottata ha poco a che fare con quei modelli, che sono stati invece in questi anni invano riproposti (insieme al modello Westminster in uso in Gran Bretagna) dai disegni di legge e dagli emendamenti dell'opposizione di centrosinistra (e anche dell'Udc); e che erano alla base del progetto di riforma presentato dalla Commissione De Mita- Jotti nel 1993. La forma di governo proposta dalla riforma Bossi-Berlusconi è un inedito assoluto, salvo qualche modesta parentela con un esperimento israeliano durato una sola stagione: essa attribuisce al premier, grosso modo, i poteri di Bush più quelli di Blair, senza nessuno dei bilanciamenti e dei contrappesi che negli Usa e in Gran Bretagna costringono il capo dell'esecutivo a fare i conti con il Parlamento, e dunque impediscono un'eccessiva concentrazione di poteri in capo a un uomo solo. Né si può sottovalutare il rischio di paralisi della decisione legislativa derivante da una distribuzione di competenze fra Camera e Senato incerta, farraginosa e assolutamente ingestibile nel caso di leggi disciplinanti materie diverse tra loro interrelate (come la legge finanziaria). O il rischio di conflittualità derivante dagli incerti confini tra materie di competenza legislativa «esclusiva» dello Stato e materie di competenza «esclusiva» delle Regioni (dove finisce la tutela della salute, statale, e comincia «l'assistenza e l'organizzazione sanitaria», esclusivamente regionale?): in confronto, la conflittualità derivante dalle materie concorrenti (un modello in uso, in una forma o nell'altra, in quasi tutti gli Stati federali) finirà per essere ben poca cosa. Anche per ciò, pensiamo di poter dare a Franchi una rassicurante risposta positiva. Opporsi a questa sciagurata riforma non ha significato negli scorsi anni, e non significa ora, rinunciare a proporre e sostenere le innovazioni istituzionali necessarie. Lo stesso Coordinamento nazionale per il referendum ha un titolo emblematico: «Salviamo la Costituzione: aggiornarla, non demolirla». Esprime la convinzione che i princìpi e i valori della Costituzione repubblicana sono ancora vivi e vitali, e vanno difesi: ma che innovazioni istituzionali anche importanti sono necessarie, purché coerenti con quei princìpi e quei valori. La prima innovazione è del resto evocata dallo stesso Franchi. Se vogliamo ristabilire il principio della supremazia e della rigidità della Costituzione, se vogliamo dire basta alle riforme costituzionali fatte a colpi di maggioranza, occorrerà rivedere il procedimento per l'approvazione delle riforme costituzionali: il vigente articolo 138 bastava in un contesto nel quale tutte le forze politiche avevano insieme costruito e approvato la carta costituzionale, e si ritenevano vincolate a non apportarvi modifiche se non largamente condivise; per di più il sistema elettorale proporzionale, senza premi di maggioranza, rendeva difficile raggiungere la maggioranza assoluta su una riforma controversa. Nessuna delle due condizioni è oggi presente. Perciò occorre, come proponemmo già nel 1995, elevare il quorum per l'approvazione delle leggi di revisione costituzionale (portandolo a due terzi, come in Germania e in Usa, o a tre quinti), e riaprire su questa base un confronto sulle riforme realmente necessarie e perciò largamente condivise.
A questo confronto, Franchi ha ragione, il centrosinistra deve presentarsi con le sue idee e le sue proposte. Ne ha messe sul tavolo molte in questi anni: il cancellierato tedesco o il modello Westminster, per rafforzare l'esecutivo, ma insieme potenziare il ruolo di controllo del Parlamento e adeguare il sistema delle garanzie costituzionali alle logiche del bipolarismo; il sistema elettorale maggioritario uninominale a doppio turno (alla francese) o, in subordine, sistemi proporzionali ben congegnati e bipolarizzanti come quelli tedesco o spagnolo; un regionalismo forte o un federalismo cooperativo che garantiscano l'unità del Paese, l'uguaglianza dei diritti, l'autonomia regionale e locale, la responsabilità delle istituzioni territoriali anche sotto il profilo finanziario. Ai tavoli dell'Unione, le proposte del passato si arricchiscono, in questi giorni, di idee nuove. Insomma: la Costituzione deve dare a tutti la certezza che i diritti e le libertà dei cittadini e le regole democratiche sono intangibili, non sono in balìa dei vincitori di una elezione politica: dunque deve essere rigida. Ma l'attuazione in concreto dei diritti, la soluzione dei problemi dei cittadini dipendono dalla funzionalità di istituzioni capaci di prendere le decisioni giuste e di attuarle efficacemente, col consenso dei cittadini: le istituzioni vivono nel tempo e devono adattarsi alle esigenze nuove di un mondo che cambia.