www.segnalo.it - Saggi ed articoli

HOME PAGE

FORMAZIONE    

BIBLIOTECA / CINETECA   

POLITICHE / LEGGI    

TRACCE / SENTIERI

Replica a Calderoli
FEDERALISMO I CONTI INESISTENTI
di GIOVANNI SARTORI
 

  dal Corriere - 9 settembre 2004


La risposta del ministro Calderoli ( Corriere , 5 settembre) al mio editoriale del 3 settembre è istruttiva. Il mio era un quesito specifico e molto concreto: quanto costerà, in soldi sonanti e ballanti, la devolution bossiana? E citavo cifre e calcoli. La risposta del ministro delle Riforme è istruttiva perché non cita nessun numero, non richiama nessun calcolo. Il che conferma il sospetto che già avevo, e cioè che il futuro costo della riforma che caldeggia è ignoto, ignotissimo, anche a lui. E allora poveri italiani. Per dire che siamo destinati, a quanto pare, a una povertà crescente. Calderoli non dà numeri perché, sostiene, «i conti (quelli veri) del federalismo sono già stati fatti». Talvolta sì; e in taluni casi, per esempio il Brasile, risultano disastrosamente paralizzanti. Ma a noi interessano i conti italiani; conti che noi non abbiamo e che non possono essere sostituiti da vaghe generalizzazioni (spesso false o comunque opinabili), che raccontano che «gli elementi di federalismo che sono stati introdotti negli ultimi venti anni nei Paesi dell’Ocse hanno portato a una diminuzione della spesa pubblica».
I nostri conti ce li dobbiamo fare noi - con buona pace del ministro e del ministero che li dovrebbe fare - perché noi siamo il primo e unico caso, ad oggi, di radicale riconversione di un sistema centralizzato in un sistema federale.
Sul punto Calderoli mi pizzica osservando che «quanto uno Stato sia federale o centralizzato è una caratteristica che ammette una continuità di misurazioni. Non è una dicotomia rigida». Sì e no. La questione dipende dal principio del terzo escluso della logica di Aristotele. Per esempio Calderoli è uomo o donna? La domanda è giustamente dicotomica, e la risposta è che è uomo (e non in che misura sia uomo). Calderoli ha la febbre? Qui è bene ricorrere a un termometro e misurarla in gradi. Di queste cose mi intendo anch’io, e certo non mi lascio spaventare dalla obiezione «continuista». A dispetto della quale la contrapposizione tra federalismo e centralismo tiene benissimo. Sia chiaro: in teoria io non sono contrario al federalismo. Ma la teoria è una cosa e la pratica (l’attuazione pratica di una teoria) è tutt’altra cosa. E le mie obiezioni vertono sull’attuazione, su come il nostro federalismo è stato progettato. Calderoli lo sostiene citando «tre fatti fondamentali». «Il primo è che il decentramento federale permette di produrre dei "beni pubblici" come la sanità, l’istruzione, i servizi sociali che meglio corrispondono alle vere esigenze dei cittadini. Il secondo è che u n sistema federale è più favorevole allo sviluppo dell’economia di mercato... Il terzo è che una amministrazione federale è più trasparente e diminuisce notevolmente il grado di corruzione». Rispondo nell’ordine. Sul primo punto osservo che il miglior servizio (di beni pubblici) ci viene da burocrazie competenti e da uffici adeguatamente finanziati. Invece tutta la tradizione del nostro decentramento è caratterizzata da un reclutamento clientelare di partito (o peggio) di un personale poco qualificato. Ed è altamente probabile che i soldi (sicuramente insufficienti) che andranno a finanziare i servizi decentrati verranno assorbiti da stipendi più che dalla erogazione di servizi migliorati di s anità e di istruzione regionale. Il secondo punto - che il federalismo favorisce l’economia di mercato - è davvero campato in aria: tra le due cose non c’è nessun nesso. E sul terzo punto - maggiore trasparenza e minore corruzione - posso solo esprimere forti perplessità. Una amministrazione regionale può benissimo battere, in opacità, una amministrazione centrale. E non vedo perché sia più facile controllare una corruzione dispersa tra venti regioni piuttosto che concentrata a Roma. Previsioni contabili a parte (visto che non ci sono), il ministro Calderoli crede davvero che i suoi argomenti siano fondati sulla «ricerca scientifica e l’evidenza empirica». Mi permetto di dubitarne. A me proprio non risulta.
Giovanni Sartori