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INTERVENTO IN DICHIARAZIONE DI VOTO DEL SEN. PROF. DOMENICO FISICHELLA

SUL DDL COSTITUZIONALE (ATTO SENATO 2544)

"Modificazione di articoli della Costituzione" in data 25 marzo 2004

Signor Presidente,

una coalizione di centro - destra pensosa dell'interesse nazionale avrebbe dovuto cancellare , fin dall'inizio di questa XIV legislatura, la riforma del titolo V, parte II della Costituzione, approvata dal centro - sinistra nella precedente legislatura, come premessa per avviare successivamente una pacata riflessione operativa sulle parti della nostra Carta fondamentale meritevoli di correzione. 

Così non è stato, e anzi si sono impostati, ed oggi vengono ad una prima approvazione, intervento modificativi della Costituzione, che giudico straordinariamente pericolosi per l'avvenire della nazione. 

Il tempo non consente di entrare nel merito, come ho cercato di fare in altri momenti. Mi limito perciò ad alcune considerazioni politiche di carattere generale. 

In primo luogo intendo sottolineare che è destinata ad aumentare in maniera esponenziale, come del resto in parte sta già avvenendo, la conflittualità interistituzionale, che sarà endemica per molti anni , perché nessuno può ragionevolmente immaginare che si possa realizzare una transizione dell'assetto unitario dello Stato all'assetto federale, senza tensioni, incertezze, spinte e controspinte volte ad acquisire o mantenere posizioni e spazi di competenza. 

L' Italia, dunque, sarà più debole per molti anni al proprio interno, e correlativamente sullo scenario internazionale, ove peraltro si profilano con ogni evidenza sfide di portata epocale. 

Mi limito a tre aspetti. Un' Italia divisa e conflittuale al proprio interno, incerta sotto tutti i profili istituzionali, è condannata a una posizione di terza fila nel concerto europeo, proprio mentre l'Unione Europea affronta appuntamenti di grande rilievo,  e quindi più che mai sarebbe necessario un ruolo dell' Italia capace di operare come sistema, coerente al proprio interno e perciò in grado di iniziativa incisiva e credibile. 

In secondo luogo vi è la sfida connessa agli squilibri demografici del pianeta, e ai conseguenti flussi migratori. Ciò comporta l'esigenza del rafforzamento dell'identità culturale  e civile della nazione, mentre questa riforma accentua e legittima spinte alla dissoluzione del tessuto storico, mette gli italiani gli uni contro gli altri, disarticola la capacità delle istituzioni di rappresentare il punto di riferimento unitario della coscienza collettiva. 

In terzo luogo vi è la sfida del terrorismo internazionale, che esige una straordinaria capacità di risposta sul piano della sicurezza nazionale e dell'ordine pubblico, professionalità maturate nel tempo, coordinamento inflessibile a livello centrale. In queste condizioni, la riforma di cui discutiamo parcellizza le forze dell'ordine e della sicurezza, rende incerte e precarie le competenze delle polizie, inventa polizie locali e polizie regionali dai profili indeterminati e velleitari, in un quadro nel quale parlamento, governo, presidenza della repubblica, corte costituzionale, tutto viene destabilizzato con indiscriminata virulenza erosiva, come se il terrorismo, gli squilibri demografici e i flussi migratori, la trasformazione dell'Unione Europea fossero lì in attesa che noi risolviamo le nostre risse provinciali, risse solo vogliose di vendicarsi di una storia unitaria decisamente più grande e più nobile dei profili intellettuali  e civili di una classe politica di "uomini nuovi" inopinatamente comparsi dal nulla. 

Come ho ribadito anche qualche giorno fa, non ho nulla contro le autonomie locali, anzi. 

Ma questa riforma rappresenta "la sconfitta maggiore che potesse toccare agli ideali di autonomia locale e di riduzione dei compiti del governo centrale.  

E' una disgrazia per gli ideali di autonomia affidare alle regioni, alle comunità e alle province compiti che non siano nettamente definiti e non siano loro propri. 

Agli ideali di autonomia locale nessuna peggiore sciagura può accadere dell'approvazione di un sistema necessariamente fecondo di discordie, di impoverimento, ed alla fine di lotta aperta tra le diverse parti componenti la nazione italiana". 

Queste parole non sono mie. Sono di Luigi Einaudi. Mi confortano e le dedico ai tanti liberali di recente reclutamento, nel momento in cui annuncio il mio voto contrario al provvedimento in esame.

Grazie Signor Presidente.