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DEMOCRATICI DI SINISTRA

DIREZIONE NAZIONALE

DIPARTIMENTO WELFARE

DIPARTIMENTO ASSOCIAZIONISMO E TERZO SETTORE

GRUPPO PARLAMENTARE

DS – L’ULIVO

 

 

Welfare

Note, Idee, Comunicazioni, Informazioni, Proposte

 

Numero 8  l  Giugno 2003

 

 S P E C I A L E    S A N I T À

 

 

A cura dei Dipartimenti Welfare e Terzo Settore della Direzione DS

 

 

I n d i c e

 

Campagna DS sulla sanità “Due giorni per il diritto alla salute”.…………………pag.  1

 

La salute prima di tutto – Livia Turco …………………………………………….pag.  2

 

Per una sanità più moderna e umana che si prenda cura del cittadino - Sintesi delle proposte DS………………………………………………………………………...pag.  6

 

Manifesto dell’Ulivo sulla sanità.………………………………………………….pag.  8

 

Dalla sanità alla salute – documento dei DS sulla prevenzione ………………….pag. 13

 

La spesa sanitaria nazionale ………………………………………………………pag. 22

 

Difendere e innovare il servizio sanitario nazionale – Silvio Natoli….…………..pag. 24

 

Professioni sanitarie protagoniste nella nuova sanità – Augusto Battaglia ……....pag. 28

 

Bilancio sull’epidemia di Sars – Grazia Labate ………………………………….pag. 30

 

Seminario dei DS sulla prevenzione – Intervento di Monica Bettoni ……………pag. 33

 

Testo Unificato pdl 2166 – Istituzione di un fondo per il sostegno delle persone

non autosufficienti. .………………………………………………………………pag. 36

 

 

 


La salute è di tutti. Difendiamo e miglioriamo il Servizio Sanitario nazionale che la destra vuole tagliare


 

 


LA DESTRA ABBANDONA I MALATI

 

Con devoluzione, ticket, tasse e tagli alle prestazioni i governi di destra stanno di fatto cancellando il servizio pubblico universale e solidale e costringono i cittadini a pagarsi di tasca loro le prestazioni di cui hanno bisogno.

 

Gli Italiani hanno speso, direttamente,  nel 2002 circa 23 milioni di euro, pari a 45.000 miliardi di lire che per l’85% sono serviti per prestazioni in teoria offerte dal Servizio Sanitario Nazionale.

 

La destra che governa il paese ha infatti un obiettivo strategico: trasformare diritti e bisogni collettivi in consumi individuali da sottomettere alle regole del mercato.

 

I risultati concreti che vuole raggiungere sono due: riportare sotto il controllo del mercato privato tutti i pezzi del sistema sanitario suscettibili di produzione di alti profitti e  contemporaneamente, e di conseguenza, spingere gli strati più abbienti della popolazione a chiedere la possibilità di uscire dal Servizio Sanitario Nazionale e quindi dalla contribuzione obbligatoria .

 

RIMARREBBE UN SERVIZIO SANITARIO

 “POVERO” PER I POVERI

 

Per contrastare questa operazione, che la destra porta avanti  dobbiamo difendere i risultati di rilievo sul versante della crescita della salute del paese prodotti  dal nostro Servizio Sanitario Nazionale ma, allo stesso tempo, ragionare sugli elementi di innovazione da apportare a questo sistema perché sia realmente equo e solidale  e sappia rispondere  al bisogno di salute collettivo e individuale che oggi il paese esprime in modo più maturo e consapevole.

 

Per i DS la salute è

un bene di tutti i cittadini che deve essere promosso e garantito dalla responsabilità pubblica, quindi dalle istituzioni e da tutta la comunità.

 

Contro l’abbandono, le lunghe attese, l’incapacità di riconoscere e trattare le urgenze  ci  impegnamo  affinché il servizio sanitario nazionale:

·         Attraverso il medico di famiglia  indirizzi accompagni e prenda in carico il paziente, nei diversi momenti del suo iter diagnostico e terapeutico affinché ognuno non debba cercare da solo soluzioni ai propri problemi;

·         generalizzi i Centri Unici di Prenotazione telefonica, integrati a livello regionale per ridurre i tempi di attesa garantendo al tempo stesso la massima trasparenza delle liste;

 

I DS ritengono inoltre non più rinviabile  un fondo  nazionale per le persone non autosufficienti, per garantire agli anziani e ai soggetti più deboli e alle loro famiglie il diritto a tutte le forme di assistenza residenziale e domiciliare utili e appropriate.


 

La salute: un diritto che deve essere garantito!


La salute prima di tutto

 Livia Turco


 


La salute prima di tutto: è questa una delle espressioni che appartiene al senso comune dei cittadini e che sentiamo ribadire in tutti i luoghi in cui li incontriamo. E’ una domanda nuova quella che sta maturando tra le persone: la cura del proprio corpo, la ricerca del benessere e lo star bene. Anche se tante volte questa domanda trova una risposta artificiosa e sbagliata deviata dai sentieri del consumismo, contiene una nuova consapevolezza di sé ed al contempo rivela un’inquietudine sul presente e sul futuro. Il cittadino percepisce che questo bene prezioso - la salute - troppe volte è affidato alle sole risorse e responsabilità individuali e teme di trovarsi solo di fronte agli imprevisti o alle durezze della vita in caso di malattia. Non a caso, nei tanti sondaggi che interpellano i cittadini su ciò che sta loro a cuore, la salute è sempre ai primi posti. Forte è stata, infatti,  la reazione dei cittadini contro i ticket, le tasse, i tagli dei servizi imposti dai governi di centro-destra. La salute costituisce, dunque, nella percezione e nella cultura diffusa delle persone, un valore fondamentale ed un bene prezioso. La promozione del diritto alla salute come bene pubblico e condiviso costituisce pertanto uno dei tasselli fondamentali per affermare la dignità umana e la cittadinanza sociale. Per questo, per l’Ulivo e per la sinistra, la salute costituisce una priorità dell’agenda politica. La responsabilità che avvertiamo è quella di promuovere la salute come bene pubblico e, dunque, di difendere ed innovare il Servizio Sanitario pubblico universalistico e solidale. È quella di difendere fermamente ed applicare la riforma 833/78 e 229/2000. Lo facciamo sulla base dei risultati. Quelli conseguiti dai governi di centro-sinistra che hanno visto aumentare le risorse per la sanità pubblica invertendo la pesante tendenza alla sottostima del fabbisogno del Fondo Sanitario Nazionale; qualificare la rete dei servizi e delle prestazioni ed investire sulle risorse umane. Quelli ottenuti dai governi regionali del centro-sinistra che sono riusciti a coniugare la sostenibilità finanziaria con il miglioramento della qualità dei servizi praticando con molta determinazione un progetto e una politica sanitaria e della salute: la rete integrata dei servizi sul territorio; la riconversione della rete e della spesa ospedaliera; il coinvolgimento degli enti locali e la promozione della partecipazione sociale; la programmazione degli interventi e l’applicazione scrupolosa del principio della appropriatezza; il coinvolgimento e la valorizzazione dei medici e delle professioni sanitarie; l’integrazione tra pubblico e privato. Questa politica, attraverso i risultati che consegue, sta dimostrando di essere più efficace rispetto a quella perseguita dalle regioni del centro-destra, a partire dalla Lombardia che ha puntato sull’incremento dell’offerta, sull’accreditamento indiscriminato ai privati, sui soli punti di eccellenza abbandonando la rete dei servizi territoriali; sulla separazione tra ospedali e territorio; sul centralismo regionale. La politica del governo Berlusconi, se ha dovuto accantonare il suo progetto di ritorno alle mutue private, se nel discorso pubblico parla di sistema sanitario pubblico, universalistico, solidale, nei fatti sta praticando una politica di “abbandono” del sistema sanitario pubblico. Lo fa attraverso la riduzione delle risorse del Fondo Sanitario Nazionale. Lo fa, attraverso la disattenzione per i problemi reali del personale sanitario, a partire dalle risorse negate per la copertura delle piante organiche, per il rinnovo contrattuale, per i contratti di formazione lavoro dei 30 mila medici specializzandi che operano senza tutele e diritti nei nostri ospedali, mettendo in discussione attraverso il DDL 2613 l’autonomia professionale ed i livelli di responsabilità delle professioni infermieristiche, riabilitative, tecniche e della prevenzione. Inoltre, con la riforma degli istituti di cura a carattere scientifico, avvia la trasformazione in Fondazioni di diritto privato, strutture strategiche che esprimono in molti casi l’eccellenza nella cura e nella ricerca biomedica.

Per promuovere il diritto alla salute, per vincere la battaglia a sostegno di un sistema sanitario pubblico, universalistico e solidale non è sufficiente difendere ed applicare la legge 833/78 e il DL 229/2000. Sentiamo la necessità di arricchire lo scenario contenuto in quelle basilari riforme mettendo fortemente al centro la sfida dell’efficacia del sistema. Ed allora non basta la competizione e la discussione sui modelli di politica sanitaria. Anche perché, in qualche modo, i risultati ci dicono che quella discussione vede in vantaggio il modello che ha puntato sulla sanità pubblica. Ciò che dobbiamo mettere al centro del discorso pubblico e della battaglia politica è la questione dell’appropriatezza delle prestazioni come base per costruire un nuovo e forte consenso dei cittadini al Servizio Sanitario Nazionale e come base per vincere la sfida della sostenibilità finanziaria del sistema. Ed allora una battaglia di sinistra per il diritto alla salute deve mettere al centro i bisogni di salute dei cittadini; saper formulare obiettivi di salute; pretendere di valutare i risultati ottenuti. Promuovere, insomma, una cultura degli “obiettivi” e dei “risultati”.

Dunque, per difendere bisogna andare avanti ed esplorare nuove strade. Mi permetto di annotare quali di queste strade, presenti nel dibattito in corso, mi convincono maggiormente. Innanzi tutto, la considerazione della salute non come costo, ma come ricchezza, come forma di capitale. Sulla quale, pertanto, bisogna investire. Sono necessari programmi di investimento nella salute. Che non significano solo risorse in più per il funzionamento del sistema sanitario e per il finanziamento della spesa sanitaria, ma investimenti per modernizzare e riconvertire, anche attraverso le tecnologie, la rete dei presidi e dei servizi; per migliorare e rendere più competitivo il capitale umano; per investire in tutti gli ambiti che producono salute. Ciò comporta che si operi praticamente quel passaggio teorico già elaborato - dalla sanità alla salute - nella consapevolezza che la relazione tra salute ed assistenza sanitaria vede quest’ultima incidere solo per una parte perché molto contano i fattori genetici, le situazioni ambientali ed i comportamenti individuali. Ed allora i programmi per la salute devono, non solo adeguare le risorse del Fondo Sanitario Nazionale, ma mobilitare risorse all’interno di programmi intersettoriali che incidano sull’ambiente, sulle infrastrutture, sulle politiche energetiche e di sviluppo nei luoghi di lavoro, nella qualità urbana, nei livelli di istruzione. Devono incidere sui “determinanti” della salute: istruzione, ambienti di vita e di lavoro, stili di vita. Ciò consente di rilanciare un altro fondamentale obiettivo: superare le diseguaglianze che oggi esistono in termini di salute e di speranza di vita. Come mettono in evidenza molti studi epidemiologici la qualità del lavoro e dell’abitazione, il livello di istruzione, la rete familiare sociale in cui sono inserite le persone sono decisive per prevenire la malattia, per curarsi in modo appropriato e per vivere più a lungo. Come scrive Nerina Dirindin “….chi è meno abbiente – in relazione ai servizi sanitari – ha minore capacità di scelta, minore probabilità di seguire i percorsi più adeguati, minore capacità di adesione ai programmi in cui sono coinvolti, maggiore difficoltà di interazione con gli operatori sanitari”.

Siamo soliti parlare della salute come “diritto”. Ma perché esso sia effettivo, insieme ai programmi di politica sanitaria e della salute, dobbiamo rivolgerci ai cittadini e dire loro che la salute è anche un “dovere”. Vale a dire che la vera salute si può raggiungere solo con uno sforzo intelligente da parte di ciascuno. Il maggior potenziale per il miglioramento della salute sta in quello che le persone fanno o non fanno in prima persona per la loro salute individuale e collettiva. Qui va apportata una radicale correzione, perché, come scrive Victor Fucs nel suo bel libro “Chi vivrà”, “...  per prevenire i malanni, o superarli, di regola gli uomini preferiscono affidarsi ai medici che affrontare il più arduo compito di vivere in modo assennato”. Ed allora il cittadino deve diventare più consapevole ed anche più competente. E tale competenza gli può essere fornita dal sistema sanitario e scolastico, dal medico, dagli operatori sanitari, dagli enti locali, da un sistema di partecipazione sul territorio in cui è fondamentale il ruolo dell’associazione e della cittadinanza sociale. Se la salute non è solo il sistema sanitario tuttavia esso resta centrale. E deve migliorare per rispondere alle domande delle persone. Il miglioramento che ritengo più preziose ed anche ambizioso (e non più rinviabile) è operare il passaggio da un sistema sanitario che cura le persone, ad un sistema sanitario che si prende cura della persona. Ciò significa mettere al centro, in modo concreto, la dignità e la globalità della persona. Il prendersi cura ridefinisce la missione del Servizio Sanitario Nazionale perché sposta l’attenzione dai “trattamenti” che devono essere erogati al paziente, alla presa in carico della globalità della persona. D’altra parte il cittadino sente fortemente il bisogno di un accesso semplice, rapido ed affidabile ad un servizio, ad un medico o operatore sanitario disponibile tutti i giorni e tutte le ore. Non solo; vorrebbe essere curato da qualcuno che conosca lui e il suo stato di salute, a cui importi il suo benessere, che si assuma la relativa responsabilità e sia disponibile, se necessario, a “guidarlo” nel labirinto degli esami e delle cure specialistiche. Ciò presuppone che il medico e l’operatore sanitario sia dotato non solo di un sapere tecnico e specialistico, ma anche di una componente relazionale. Acquisendo così l’orgoglio di una professionalità che non si limita a curare e a guarire una parte del corpo malato, ma partecipa a promuovere il benessere della persona nella sua globalità. Presuppone altresì una ridefinizione dei servizi e delle prestazioni volti ad un’organizzazione a rete nella quale sia possibile portare a fattore comune i vantaggi delle specializzazioni e dell’innovazione tecnologica con quelli dell’integrazione sociale sanitaria e delle reti solidaristiche. Questo indirizzo del servizio Sanitario Nazionale è reso urgente dai nuovi bisogni di salute. Ad esempio, l’invecchiamento della popolazione comporta il bisogno di lungo-assistenza e la relativa individuazione di percorsi assistenziali integrati; lo sviluppo di malattie cronico-degenerative richiede la capacità di convivere con la malattia. Prendersi cura delle persone significa allora rendere efficace la presa in carico e garantire la continuità assistenziale. Va allora formulato il diritto alla continuità assistenziale e vanno definite le modalità con cui esso si organizza. Pertanto, il governo della Sanità deve investire molto sulla professionalità e sulla formazione dei medici e degli operatori sanitari e sociali. Ricerca scientifica e formazione permanente sono obiettivi inscindibili affinché il sistema migliori i contesti formativi, organizzativi e di offerta delle prestazioni sanitarie in tutti i livelli in cui esso si articola: università, istituti di ricerca biomedica, ospedali, territorio, comportamento dei singoli professionisti. L’esclusività, insieme al governo clinico ed alla libera professione intramuraria,accompagnanti da un sistema di incentivi per il raggiungimento di obiettivi di efficacia e di efficienza nel fornire le prestazione, nonché sulla soddisfazione del paziente, sono la concezione moderna che offre a tutte le migliori energie professionali ed umane il contesto in cui esse possano liberare e produrre competenza ed applicazione delle conoscenze.


 

Per una sanità più moderna e umana che si prenda cura del cittadino

Sintesi delle proposte DS

 


Aumentare le risorse per la sanità   per finanziare  lo sviluppo dei servizi territoriali e della medicina preventiva e riabilitativa, il rinnovo e il potenziamento  delle attrezzature diagnostiche, l’ammodernamento dei reparti di degenza e l’umanizzazione delle strutture.

 

Contrastare ogni ipotesi di privatizzazione e di devoluzione e sviluppare un federalismo solidale che abbia come obiettivo il superamento delle diseguaglianze nell’esercizio del diritto alla salute. 

 

Sostenere e rilanciare il diritto alla salute nel mezzogiorno con un fondo straordinario, aggiuntivo al fondo sanitario nazionale, finalizzato  al  raggiungimento degli standard qualitativi e quantitativi  delle regioni del centro-nord.    

 

Promuovere una nuova stagione di politiche per la prevenzione le uniche che possono efficacemente ridurre l’incidenza delle grandi patologie (tumori, malattie cardiovascolari, malattie infettive etc.) che colpiscono milioni di persone. Ad oggi la spesa per la prevenzione è al di sotto del 5% del fondo sanitario nazionale e  va rapidamente  portata almeno al 10 %.

 

Mettere  la sanità in rete per far camminare le informazioni e non i cittadini 

Per ridurre i tempi di attesa e garantire accesso ai servizi proponiamo un grande programma di informatizzazione del sistema sanitario che a partire dagli studi dei medici di famiglia colleghi tutte le strutture e i presidi. Questo permetterà :

 

1. la prenotazione diretta dallo studio del medico di famiglia delle  prime visite  e delle     prestazioni successive (accertamenti diagnostici, visite di controllo  etc);

 

2. la comunicazione, da parte del medico proponente, ai presidi della ASL di quali sono le prestazioni urgenti (immediate!) e le prestazioni  urgenti differibili (entro 3 giorni);

 

3. la velocizzazione della consegna delle cartelle cliniche e dei referti relativi agli esami strumentali che, salvo esami particolarmente complessi, deve avvenire entro 3 giorni lavorativi dalla data di effettuazione;

 

4. l’utilizzo di bancomat o carte di credito per il pagamento di ticket o quote di compartecipazione;

 

5. l’adozione in tempi brevi di una carta  informatizzata per tutti i cittadini, che contenga la storia clinica e fornisca a tutti i servizi del sistema sanitario informazioni preziose per un intervento appropriato ed efficace.

 

Prima tappa di questo processo deve essere  la generalizzazione di Centri Unici di Prenotazione telefonica, integrati a livello regionale, per impedire, da subito, che il cittadino cerchi a caso fra i presidi sanitari quello che può rispondere tempestivamente ai suoi bisogni.

 

Garantire ad ogni cittadino un “tutore” della salute che lo indirizzi e lo accompagni in tutte le fasi della diagnosi e della terapia

 

Il medico di famiglia, affiancato da altre figure professionali, deve garantire al cittadino una più agevole comunicazione con i servizi specialistici e le strutture di ricovero.

 

In questo modo verrà garantita a tutti la continuità della assistenza  e della appropriatezza dei percorsi di cura e riabilitazione e il cittadino avrà la certezza di avere al suo fianco chi promuove e tutela la sua salute.

Questo comporta una nuova convenzione con i medici di famiglia che ne preveda i nuovi compiti e gli adeguati supporti.

 

Rilanciare il progetto Veronesi per umanizzare l’assistenza ospedaliera e per un ospedale senza dolore

 

Riconvertendo la rete ospedaliera e  rinnovandola, con lo standard obbligatorio di camere a 2 letti  con servizi,  rispondendo  a bisogni drammatici come le carenze di strutture per la radioterapia e in genere per il trattamento tempestivo dei tumori, costruendo i reparti per la degenza riabilitativa, individuando spazi per la presenza dei familiari e, soprattutto, realizzando i centri per le cure palliative per i malati terminali e per la terapia antidolore. 

 

Attivare un fondo  nazionale sulla non autosufficienza, per garantire agli anziani e ai soggetti più deboli e alle loro famiglie il diritto  a tutte le forme appropriate e necessarie di assistenza residenziale e domiciliare.

 

Sostenere la ricerca biomedica pubblica con nuovi finanziamenti, con l’obiettivo di intervenire più efficacemente sulle grandi patologie dei nostri tempi e sulle malattie rare.


 

Manifesto  dell’Ulivo sulla sanità

 

 


LA SALUTE DI TUTTI E PER TUTTI

 

Un paese è forte quando i suoi cittadini stanno bene e si sentono sicuri. La salute condiziona le opportunità di ciascuno di noi, le nostre possibilità di crescere, comunicare, partecipare alla vita civile e sociale.   

La salute è un diritto fondamentale della persona, garantito dalla Costituzione italiana. Tutelare questo diritto è la missione del Servizio sanitario nazionale, uno dei pilastri  del sistema di garanzie civili e sociali della nostra Repubblica.

 

Il Servizio sanitario nazionale si basa su tre principi fondamentali:

 

Universalità di accesso e libertà di scelta del luogo di cura.

Chiunque può utilizzare il SSN senza essere discriminato in base alle reddito o per ragioni di età, culturali, sociali o razziali.

 

Globalità della copertura per tutti i servizi e le prestazioni necessarie e appropriate.

Il SSN si fa carico della prevenzione, della cura e della riabilitazione; offrendo prestazioni di qualità, necessarie ed efficaci; tutelando non solo la salute delle persone ma anche quella dell’ambiente in cui viviamo.  

 

Finanziamento pubblico attraverso la fiscalità generale.

Tutti contribuiscono alla spesa del SSN, secondo le proprie possibilità 

economiche e non in ragione del proprio stato di salute.

 

IL VALORE DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

 

A quasi venticinque anni dalla nascita del SSN, questi principi restano validi e condivisi dalla stragrande maggioranza dei cittadini. La loro attuazione ha  contribuito a determinare il netto miglioramento della salute degli Italiani, dimostrato anche da prestigiose e indipendenti valutazioni internazionali.

 

L’organizzazione e il funzionamento del SSN vanno tuttavia sempre più adeguati ai nuovi bisogni dei cittadini e vanno adattati alle diverse situazioni locali. La riforma costituzionale approvata dall’Ulivo e confermata con un referendum popolare, riafferma l’uguaglianza dei diritti di tutti i cittadini e riconosce nel Federalismo solidale e cooperativo lo strumento più adeguato a sviluppare le migliori soluzioni organizzative a tutela del diritto alla salute, rispettando e valorizzando meglio le peculiarità e le diverse esigenze locali.

 

Il Disegno di legge del Governo di ulteriore modifica costituzionale  (la cosiddetta devolution) mette invece in discussione i principi fondamentali del Ssn ed espone il sistema delle garanzie ad una pericolosa disgregazione con il rischio di aumentare le disuguaglianze tra le Regioni e le disparità di trattamento tra cittadini. 

Parallelamente, le velleitarie ancorché incoerenti proposte annunciate in questi mesi dal ministro della salute rivelano ormai sempre più il loro vero, unico obiettivo: privatizzare il patrimonio di risorse, competenze professionali e fiducia che il Ssn ha accumulato in questi decenni.

 

IL NOSTRO IMPEGNO

 

L’Ulivo riafferma la necessità di salvaguardare i principi fondamentali del Ssn e si impegna per la loro piena attuazione in un sistema sanitario moderno, efficace e sostenibile. In particolare:

 

1        quanto all’universalità, a realizzare le condizioni perché tutti possano fruire delle cure di cui hanno bisogno nel luogo in cui vivono e lavorano, garantendo in ogni caso l’assistenza sanitaria indipendentemente dalla regione in cui, anche occasionalmente, ci si trovi;

 

2        quanto alla globalità, a operare perché siano assicurati le prestazioni e i servizi sanitari e sociosanitari efficaci ed appropriati in base alle necessità di ciascuno;  i livelli essenziali di assistenza introdotti dalla riforma dell’Ulivo non sono i livelli “minimi” delle garanzie (come vorrebbe la maggioranza governativa in carica e come è scritto nel Ddl sulla Devolution), ma  devono costituire lo strumento con cui sono resi espliciti e realmente fruibili i diritti di cittadinanza di cui tutti devono godere;

 

3        quanto al finanziamento pubblico attraverso la fiscalità generale, a battersi perché esso sia mantenuto e valorizzato quale strumento di solidarietà. L’Ulivo chiederà che nella prossima Finanziaria alla sanità venga riservata una quota del Pil pari al 7%, non solo per adeguare il finanziamento al resto d’Europa ma soprattutto per garantire così l’effettiva attuazione dei Livelli essenziali di assistenza, compresa l’integrazione sociosanitaria. Appare indispensabile per assicurare prestazioni efficaci e di qualità un più deciso investimento nei servizi territoriali.  L’Ulivo si opporrà con fermezza al tentativo di ridimensionare il meccanismo di finanziamento pubblico con l’introduzione di fondi assicurativi sostitutivi,  calibrati sui redditi medio-alti e sostenuti da generose deduzioni fiscali. Le esperienze internazionali dimostrano che la tassazione generale, e non le assicurazioni private, costituisce il modo più equo e più economico per finanziare le costose risorse necessarie al buon funzionamento di un moderno sistema sanitario. I sistemi assicurativi selezionano i pazienti in base al rischio sanitario, escludono dalla copertura le malattie croniche e degenerative; ignorano la prevenzione, e moltiplicano la burocrazia e i costi amministrativi. Nessuna assicurazione privata è in grado di garantire, con un premio di circa 1300 euro all’anno, dal medico di famiglia alle vaccinazioni per i bambini, dall’intervento di pronto soccorso al trapianto;   

 

4        quanto alla natura pubblica del Ssn, a contrastare la strategia di privatizzazione del Governo, riaffermando l’esclusività della funzione pubblica di tutela e la necessità della natura pubblica delle aziende sanitarie; nonché, nel quadro di un sistema misto pubblico-privato di produzione dei servizi, l’impegno alla collaborazione con tutti i soggetti privati, lucrativi e non lucrativi, accreditati  secondo criteri di qualità, omogenei a livello nazionale;

 

5        quanto alla perequazione finanziaria tra le Regioni,  a calibrarne in prospettiva la concreta efficacia, tenendo conto sia delle differenze nelle loro capacità fiscali, (così da non far dipendere le prestazioni e i servizi sanitari essenziali dalla ricchezza delle regioni in cui le persone vivono) sia delle differenze nelle loro caratteristiche demografiche e sociali, e quindi anche nei loro bisogni di assistenza sanitaria. Il federalismo fiscale non va interpretato come un federalismo d’abbandono, a questo fine, raffermata la necessità di salvaguardare la quota capitaria ponderata, L’Ulivo propone la costituzione di un fondo speciale,  distinto e separato dal Fondo sanitario nazionale, destinato a finanziare l’adeguamento e la qualità dei servizi sanitari del Mezzogiorno, come peraltro prevede l’art. 119 della Costituzione.   

 

SSN E  FEDERALISMO

 

L’art. 117 della Costituzione assegna alle Regioni la competenza legislativa nel campo della tutela della salute, riservando allo Stato, oltre che la determinazione dei Livelli essenziali e uniformi di assistenza, il compito di stabilire i principi fondamentali del Servizio sanitario nazionale.

 

L’Ulivo considera  irrinunciabili:

 

1)      la programmazione nazionale e regionale per la determinazione degli obiettivi di salute e la programmazione regionale dei servizi sanitari, a livello sia ospedaliero, sia territoriale;

2)      il ruolo delle autonomie locali nella programmazione nazionale e regionale, nonché la loro partecipazione all’approvazione, attuazione e verifica della programmazione locale;

3)      l’aziendalizzazione come modello organizzativo e gestionale da sviluppare e ulteriormente perfezionare:

a) definendo gli obblighi di responsabilità e trasparenza,  nonché gli impegni di carattere etico, dei direttori delle aziende, quale necessario contrappeso rispetto  alla  autonomia gestionale loro riconosciuta;

b) assicurando l’efficace coinvolgimento,  in funzione di garanzia della qualità della salute, dei comuni e delle associazioni dei cittadini;

c) promuovendo il ruolo degli organismi di consultazione e concertazione interni alla azienda;

d)      valorizzando pienamente la dirigenza medica nel governo clinico dell’azienda;

4)      la realizzazione dei distretti sanitari e sociosanitari, al fine di assicurare un efficace diritto di accesso alle prestazioni sanitarie, la continuità terapeutica e assistenziale, il collegamento ospedale-territorio e l’effettività dell’integrazione sociosanitaria;

5)      il collegamento virtuoso tra la ricerca e la didattica  con l’assistenza, secondo il metodo dell’intesa tra organi universitari e Servizi sanitari regionali e coinvolgendo maggiormente, in termini di didattica, ma altresì di ricerca, le tante risorse delle aziende sanitarie , delle aziende ospedaliere e degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico;

6)      la riaffermazione del rapporto di pubblico impiego per il personale del Ssn, con la conseguente esclusività dello stesso anche per quanto riguarda la dirigenza sanitaria;

7)      la formazione continua (nelle due forme dell’aggiornamento professionale e della formazione permanente)  di tutto il  personale  del SSN.

 

ATTUAZIONE DEL Dlvo 229

 

Lo stallo e le difficoltà in cui versa il Servizio sanitario nazionale, stanno determinando un netto peggioramento della qualità dei servizi e una progressiva riduzione delle opportunità offerte ai cittadini. In buona parte queste difficoltà sono determinate dalla manifesta incapacità di governo del sistema da parte del Ministro della salute e delle Giunte regionali del centrodestra nonché dalla mancata attuazione della riforma sanitaria.

 

L’Ulivo considera indifferibile e urgente il varo di alcuni provvedimenti attuativi relativi a:

 

a)      accreditamento dei professionisti e delle strutture pubbliche e private;

b)      riorganizzazione del Ministero della salute con la valorizazione e il potenziamento delle funzioni di coordinamento, monitoraggio e vigilanza;

c)      effettiva e completa applicazione dei Lea;

d)      revisione delle tariffe e introduzione del finanziamento aziendale per funzioni assistenziali;

e)      avvio dei fondi integrativi del Ssn;

f)        definizione del Testo unico delle leggi in materia sanitaria;  

 

COLLABORAZIONE ISTITUZIONALE

 

La salvaguardia dei principi  fondamentali del SSN ed il loro continuo adattamento alla rapida evoluzione della sanità, costituiscono l’oggetto dell’impegno congiunto del governo centrale e dei governi regionali. La forma di Stato che emerge dal nuovo titolo V della Costituzione richiede lo sviluppo di strumenti efficaci di collaborazione orizzontale tra i governi regionali e verticale fra questi ed il governo centrale. Anche su questo punto il progetto di cosiddetta devolution tace. Occorre invece definire al più presto, come prevede l’art. 120 della Costituzione, le procedure che garantiscano effettivamente la tutela dei livelli essenziali di assistenza.

L’Ulivo propone che si proceda rapidamente a costituire un organismo permanente di confronto e coordinamento della produzione legislativa nazionale e regionale e di concertazione dell’azione amministrativa dei governi regionali. Per quanto riguarda la sanità, tale organismo dovrebbe prioritariamente garantire il coordinamento delle funzioni sovraregionali (ad es. organizzazione dei trapianti, attività di ricerca dei centri di eccellenza) e regolare gli accordi interregionali per la mobilità sanitaria.


 

DALLA SANITÀ ALLA SALUTE

documento  dei democratici di sinistra sulla prevenzione

Roma, 22 aprile 2002

 

 

 


La mutata composizione demografica della popolazione, i cambiamenti della composizione sociale collegati alle trasformazioni dei lavori e del sistema produttivo,  delineano uno scenario di nuovi bisogni di salute, che occorre conoscere e governare.

 

Considerati l ' aumento della vita media e il miglioramento generalizzato delle condizioni di vita, il concetto di salute non si esaurisce completamente nell ' assenza di malattie ma circoscrive - anche secondo la definizione dell ' OMS - un ambito di benessere psicofisico più ampio, la cui soddisfazione non può essere relegata all ' esclusivo sistema organizzativo sanitario.

 

La prevenzione, specie quella primaria, è compito di ogni livello dello Stato; deve coinvolgere ogni settore dell’intervento pubblico e contenere l’azione del settore privato in un quadro di regole ben precise, sia pure in un ambito di ampia concertazione.

 

I determinanti della salute, cui il sistema sanitario nel suo complesso dà il suo contributo ma non in  modo esauriente, risiedono e dipendono dalle politiche produttive e dello sviluppo, dalle scelte economiche di fondo, da quelle energetiche e del sistema dei trasporti, dell’organizzazione sociale complessiva, dall’integrazione sociale e culturale.

 

Nel quadro composto tanto dalla situazione nosografica che dai determinanti di salute, la risposta deve essere globale e  finalizzata all’obiettivo salute. Questa non è solo un’istanza politica ma è ben delineata come esigenza tecnica dall’OMS nella strategia Salute 21 e dalla Commissione Europea nella Strategia per la sanità pubblica 2002-2006.

 

Taluni indicatori ci dicono, d ' altronde,  come sia importante valorizzare l ' approccio preventivo.

 

La loro utilità ci mostra come sia importante integrare e affinare la ricerca epidemiologica in un sistema sanitario che va orientandosi verso il federalismo solidale e verso competenze statuite a livello di pari dignità fra Stato, Regioni, Comuni e altri  enti territoriali; come siano necessarie analisi puntuali  delle dinamiche territoriali e conseguenti valutazioni sulle performance e sugli obiettivi dei sistemi sanitari decentrati.

 

 

Fra questi indicatori, le numerose Morti Evitabili ed i  molti Anni di Vita Potenziale Perduti, i molti fenomeni morbosi non  necessariamente mortali, una gran parte dei quali dovuti alla mancanza di prevenzione, sia primaria che secondaria.  

 

 I settori di popolazione più gravemente colpiti da tali fenomeni negativi di iper-mortalità sono i giovani tra 16 e 24 anni, i lavoratori per diverse cause, le donne, ma esistono esempi anche negli anziani. Si tratta per i primi di suicidi, morti del sabato sera, morti per overdose,  disturbi del comportamento alimentare; per i secondi di infortuni ed alcune persistenti malattie professionali, tumori (per le donne, del seno) ; infine per gli anziani di tumori del colon-retto,  broncopolmoniti.

 

La "Mortalità Evitabile" presenta attualmente un livello, seppur decrescente e variabile tra regione e regione, ma ancora troppo alto.

L ' analisi per tipologia di intervento sanitario diretto a comprimere le morti evitabili mostra innanzitutto come la mortalità contrastabile con attività di prevenzione primaria rappresenti la quota più elevata dei casi (pari a 45 mila casi cioè al 58% di morti  evitabili nel ' 98); ciò significa che se fossero attuate le misure di prevenzione primaria, potrebbero essere recuperati diversi anni di vita.

Per la diagnosi e la terapia precoce (che nel ' 98 riguardava 8-9 mila casi, comprimibili con maggiore impegno di screening) l ' impatto numerico assoluto sul fenomeno è minore anche se la mortalità collegata diminuisce più velocemente negli anni.

In riferimento alle morti causate da ritardi nella prevenzione primaria esiste una polarizzazione geografica del fenomeno legata alla popolazione maschile delle regioni del Nord. Ciò sembra in larga misura determinato dalle morti causate da tumore e legate all ' industrializzazione.

In riferimento alle morti causate da ritardi nella diagnosi precoce e nelle terapie, il dato maggiormente critico è quello femminile, specie al Nord; per la mortalità evitabile con adeguati interventi di igiene e assistenza i valori più preoccupanti si registrano nel Meridione e sempre in relazione alla realtà femminile.

 

LA PREVENZIONE NEI LUOGHI DI VITA E DI LAVORO:

UNA SCELTA DA RILANCIARE

 

La prevenzione è una scelta obbligata sotto il profilo etico, ma anche sotto quello  economico  in quanto i servizi sanitari comportano costi elevatissimi destinati ad aumentare per l’invecchiamento della popolazione e per l’utilizzo di tecnologie diagnostiche e terapeutiche sempre più raffinate e costose.

 

 L’andamento nel tempo delle risorse finanziarie impegnate nei paesi economicamente avanzati per supportare i Servizi Sanitari, e dall’altro, l’andamento degli indicatori che definiscono il livello di salute delle popolazioni da cui i Servizi Sanitari stessi sono utilizzati, evidenziano in modo univoco in tutte le realtà, tre fenomeni significativi:

 

- i costi per i servizi sanitari mostrano di crescere in modo apparentemente inarrestabile negli anni;

 

- la salute, dopo un iniziale incremento quasi proporzionale a quello dei costi, pare migliorare sempre meno, sebbene l’impegno finanziario sia sempre più consistente;

 

- ai giorni nostri, il grado di divaricazione tra costi per i servizi sanitari e salute prodotta assume dimensioni inaccettabili  e tali da spingere a parlare di “ crisi” dell’efficacia dei sistemi sanitari.

 

Il nostro partito è pienamente consapevole che, nell’ambito della prevenzione, la priorità assoluta sia rappresentata dalla adozione di scelte politiche che si collochino a monte della politica sanitaria e che favoriscano il mantenimento dello stato di salute dei cittadini, con l’obiettivo non solo di aumentare gli anni di vita ma soprattutto di dare una buona vita agli anni.

 

Infatti nel mondo i principali fattori di rischio per la salute umana sono oggi rappresentati dalla povertà e dall’esclusione socio economica, subito seguiti dal fumo di sigaretta, dalla scarsa attività fisica e dall’inquinamento ambientale. Gli ultimi tre fattori sono importantissimi soprattutto nei paesi occidentali, come l’Italia, con forte industrializzazione e diffuso benessere economico.

 

La tutela della salute dei cittadini passa quindi prioritariamente attraverso scelte non solo di politica sanitaria, ma anche e soprattutto di politica della occupazione e dello sviluppo industriale, della tutela ambientale, della istruzione, di un nuovo modello di welfare.

 

Pertanto gli interventi più efficaci per tutelare la salute dei cittadini non possono coinvolgere esclusivamente il servizio sanitario nazionale, che pure deve fornire il proprio determinante contributo, ma interessare in maniera sempre più attiva altre istituzioni, (Comuni, Province,  Regioni, ARPA), le forze sociali (organizzazioni Sindacali e imprenditoriali), le associazioni del volontariato e dei cittadini.

 

Una moderna cultura della tutela della salute passa quindi anche attraverso il coinvolgimento non solo degli operatori sanitari, ma anche e soprattutto di altre professionalità, quali ad esempio gli architetti, gli ingegneri, gli economisti, i giornalisti, i sociologi, gli architetti.

 

Obiettivi principali di una moderna società industriale che si prefigga lo  scopo di mantenere lo stato di salute dei propri cittadini sono, quindi, quelli di mitigare gli effetti della pressione ambientale sull’organismo umano e quelli di promuovere stili di vita sani attraverso interventi di educazione alla salute ma anche tramite l’adozione di provvedimenti cogenti che talvolta interferiscono pesantemente con abitudini di vita consolidate (ad esempio limitazioni del traffico). È opportuno ricordare come, per l’affermazione di stili di vita più sani, sia importante un’adeguata informazione sanitaria, che nasce dall’educazione alla salute, ma anche la condivisione sociale del modello di comportamento proposto, per la quale è appunto indispensabile la collaborazione con gli Enti locali e le forze sociali.

 

È importante sottolineare anche il ruolo della prevenzione secondaria cioè della diffusione della diagnosi precoce dei tumori. 

È opinione comune  di gran parte dei ricercatori che gli andamenti che si osservano dagli inizi degli anni novanta di una  diminuzione di mortalità per molte cause tumorali ( es. mammella, colon retto, collo dell’utero) siano da attribuirsi alla diffusione della diagnosi precoce di tali patologie.

In questo quadro i programmi di screening organizzato rappresentano, anche dal punto di vista politico, un importante fattore di sviluppo. Intendiamo per programma di screening l’invito attivo della popolazione bersaglio a sottoporsi a un test di screening compiutamente validato. L’importanza politica  di tali programmi sta, prima di tutto,  nel fatto che attraverso di essi si riesce a raggiungere una quota di persone che altrimenti attraverso i normali canali del nostro sistema sanitario risulterebbe, nei fatti, esclusa. Dunque viene assicurato un principio di equità più avanzato: non la teorica possibilità per tutti di sottoporsi a un test ma l’effettiva equità delle prestazioni effettuate. Tali programmi si sono sviluppati in Italia all’inizio su base volontaristica  poi da metà degli anni novanta sono diventati programmi coordinati a livelli regionale in  diverse Regioni Italiane (Emilia Romagna, Piemonte, Val D’Aosta, Basilicata, Toscana, Umbria, Abruzzo, Veneto).

In queste regioni sono attivi programmi di screening mammografico per il carcinoma mammario , e del pap test per la cervice uterina. In Toscana è attivo su base regionale anche un programma per la Prevenzione del carcinoma  colorettale. In Friuli solo per la cervice Uterina.

Questi programmi sono stati riconosciuti e incentivati dalla conferenza stato regioni nel 2001 e sono compresi  nei Livelli Essenziali di Assistenza.

 

Sul piano generale, i piani sanitari nazionali varati con i governi di centrosinistra hanno fatto tesoro dei precedenti  assunti, ponendosi l ' obiettivo di rinnovare, anche all ' interno della organizzazione sanitaria aziendalistica, la sfida di un sistema incentrato sulla prevenzione.

Sono state compiute, anche se poi non completamente realizzate, scelte radicali e innovative: la promozione della salute, la partecipazione dei cittadini, un raccordo con tutte le altre attività dei restanti comparti della società, i cui effetti dovrebbero essere osservati attraverso la valutazione d’impatto sulla salute.

 

LE AZIONI DEL GOVERNO DI CENTRO DESTRA

 

Da questo punto di vista il PSN 2002-2004, presentato parzialmente e con grande ritardo dall’attuale Ministro Sirchia, è del tutto inadeguato rispetto alla complessità della problematica ed alla necessità di risposte non settoriali. Esso si presenta assai debole per tutta una serie di motivazioni interne alla sua struttura attuale.

È per lo più generico ed approssimato, ma discrepante, perché  in alcuni punti eccede in particolari minimali, ( ad es. fissando addirittura normative contrattuali, come nel caso degli IRCCS o facendo citazioni di nomi di ricercatori, come nel caso dei campi elettromagnetici),  mentre si dedicano poche righe ad altri fondamentali  settori.

Inaccettabile il minimo spazio dedicato alla sicurezza sul lavoro, inappropriato fin dal titolo, "medicina del lavoro".

Si tratta principalmente di un piano di tipo ingegneristico-manageriale, preoccupato più della gestione che degli "effetti sulla salute", anche se questo concetto viene richiamato più volte ma assai poco trasformato in azioni.

Gli obiettivi definiti strategici considerano la prevenzione solo per gli aspetti comportamentali del fumo, della nutrizione e dell’attività fisica, ma non ci si interroga minimamente sul perché di certi comportamenti. Viene introdotto il tema della comunicazione istituzionale, ma sembra venga intesa come marketing (“vendere” il prodotto la salute).  Anche qui come altrove (come nel caso della ricerca biomedica, per la quale il Governo ha praticamente azzerato i fondi) c’è una discrepanza tra il dire e il fare. Si auspicano interventi di privati, non sempre ben identificati, senza capire bene come, perché e con quali fini. Si coglie però il tentativo di svendere o privatizzare, talora maldestramente, talora in modo confuso.

Nella parte dedicata alla Promozione della salute sono omessi interi pezzi annunciati (“vivere a lungo” e “vivere bene”) e non si sa cosa si dirà; in definitiva ci  si occupa  solo di malattie in modo sciatto, discorsivo, senza reali obiettivi e favorendo la creazione di nuove strutture, magari privatistiche.

Il capitolo dedicato all’ambiente, è piatto, sbilanciato ed impreciso; manca un discorso generale su una “politica ambientale” e tutto è visto in una logica settoriale, senza chiari obiettivi. Altrettanto superficiale la parte dedicata all ' inquinamento atmosferico dove manca ad esempio qualsiasi cenno al problema degli inceneritori, che in termini specifici – diossine, PCB, ecc.- costituiscono un rischio documentato per tumori ed altre gravi patologie. Nel paragrafo dedicato all’acqua non si fa un cenno al problema dei rifiuti liquidi e dei depuratori, di cui ancora oggi moltissime città italiana – tra cui Milano- sono prive o hanno impianti  disfunzionanti.

 

Il giudizio infine deve essere sospeso, perché non si capisce se ci saranno altre parti e quali, mancando questo Piano di risorse, obiettivi correlati, sistemi di valutazione. Quali gli indicatori,  la valutazione di impatto sanitario-ambientale, su cosa misureremo il raggiungimento degli obiettivi?

 

SICUREZZA SUL LAVORO: UN DIRITTO FONDAMENTALE

PER UN MODERNO MONDO DEL LAVORO

 

Nonostante che gli indicatori generali di salute pongano l ' Italia in buona posizione rispetto all ' Europa (al quarto posto), essa possiede una media di infortuni mortali sul lavoro più alta che altrove e presenta una discreta  crescita di malattie tipiche dell ' ambito professionale nella popolazione; fenomeni non attenuati dalla (non sufficiente) modernizzazione del sistema produttivo.

Sono le piccole e medie imprese artigiane quelle dove i dati sulla sicurezza sono più negativi.

 

In linea con le osservazioni conclusive elaborate al Senato dalla indagine conoscitiva della Commissione Smuraglia, fondate sul binomio "cultura della prevenzione" e "cultura  della legalità",  i governi di centrosinistra, a partire dal documento d ' intenti di Carta 2000, si erano dati il preciso obiettivo della riduzione degli infortuni e delle malattie professionali, riposizionando strategicamente il sistema generale della prevenzione e proponendosi di dare finalmente una regia alla sua funzione complessa.

 

A tale proposito si è detto e si è operato affinché la pubblica amministrazione coordinasse le proprie componenti per offrire orientamenti condivisi nella valutazione e gestione dei rischi e in efficaci modalità di sanità pubblica; si è lavorato  ad un atto di indirizzo e coordinamento - tra ispettorati del lavoro, ASL e INAIL - per un programma di azione nazionale per la prevenzione degli infortuni e la tutela della salute nei luoghi di lavoro che  potesse coinvolgere a pieno titolo anche i rappresentanti per la sicurezza dei lavoratori; per il rilancio dei dipartimenti di prevenzione delle ASL; per  disporre di servizi e risorse di prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro adeguati; e ancora ci si è impegnati per ricondurre ad unità e coerenza il sistema normativo; potenziare la vigilanza; sviluppare  in proposito le relazioni tra le parti sociali; garantire una migliore formazione, informazione e ricerca e adeguati sostegni e incentivi per le aziende che volessero migliorare le condizioni  della loro sicurezza.

 

Oggi questo lavoro rischia di andare disperso come dimostra l ' irrisorio accenno al tema nello schema di PSN presentato dal Ministro Sirchia.

Le nostre proposte oggi partono da alcune considerazioni di fondo:

 

L ' obiettivo di creare un numero maggiore di posti di lavoro deve essere coniugato con la qualità del lavoro, di cui salute e sicurezza sono elementi essenziali.

 

In una società moderna, una organizzazione e un ambiente di lavoro sani e sicuri sono fattori che migliorano le prestazioni dell ' economia e delle imprese, creando ricchezza sociale.

 

In effetti, le relazioni tra salute nel luogo di lavoro e competitività sono più complesse della semplice questione dei costi legati al rispetto delle norme.

 

La "non qualità" del lavoro si traduce – oltreché in drammi umani – in una perdita di capacità produttiva per l ' economia (500 milioni di giornate di lavoro perse nel 1999 in Europa a causa di infortuni e problemi di salute) e in spese per indennizzi e prestazioni il cui finanziamento pesa, in larga misura, sulla collettività e sulle imprese.

 

Una nuova e diversa responsabilità sociale delle imprese può tradursi, dunque. non solo in riduzione dei costi umani e sociali legati agli infortuni sul lavoro ma in benefici sulle prestazioni e sulla competitività.

 

Il mondo del lavoro è in profonda trasformazione. Questa trasformazione non nasconde una realtà tuttora presente, che mostra tassi di incidenza di infortuni sul lavoro particolarmente elevati in taluni settori (ad es. l ' edilizia) e nelle imprese a più piccola dimensione.

 

Accanto a questi problemi "storici" si pongono problemi nuovi, legati ad esempio all ' invecchiamento della popolazione attiva, all ' innalzamento dell ' età media dei lavoratori, che sono statisticamente gravati da infortuni più gravi e con mortalità superiore alla media europea.

 

Problemi nuovi legati alla trasformazione  delle forme di occupazione come, in particolare l ' estensione nei rapporti di lavoro temporanei e l ' affermarsi di nuove forme di lavoro (a tempo parziale,  atipiche) che presentano una correlazione negativa con la salute nei luoghi di lavoro e in cui i lavoratori godono di minori tutele.

 

La più ampia presenza delle donne  nel mondo del lavoro introduce poi una nuova dimensione nel campo della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro, legata alla specificità e alle differenze biologiche. Un campo di conoscenza  e di acquisizioni epidemiologiche e scientifiche, questo, ancora rimasto colpevolmente inesplorato.

 

Pur tenendo conto della mutata situazione istituzionale e politica occorre difendere e rilanciare quella impostazione, operando su tre livelli, interventi normativi, interventi  di facilitazione, interventi di vigilanza.

Sul primo:

raccordo con la legislazione europea, attuazione definitiva della 626, responsabilizzazione e consolidamento delle nuove figure della prevenzione e degli RSL, riordino e rafforzamento dei Dipartimenti nelle regioni, riordino degli istituti e organismi centrali, speciali tutele per le vittime del lavoro e per gli esposti colpiti da patologie di lavoro, specifici interventi per i settori più a rischio, integrazione tra prevenzione all ' interno dei luoghi di lavoro e promozione di assetti socio-ecologici di qualità sui territori.

Sul secondo:

incentivi alle imprese (specie piccole e artigianali) che si impegnano sulla sicurezza e per l ' innovazione, promozione della certificazione di qualità delle produzioni, informazione e formazione, ricerca e promozione di processi di modernizzazione delle produzioni coerenti con un minor impatto sulla salute.

Sul terzo:

rafforzamento di strumenti e servizi operativi con adeguate risorse, definizione puntuale delle competenze dei diversi servizi ispettivi, attivazione di tutti gli strumenti di coordinamento già possibili  in tali interventi (anche al fine dell ' emersione del lavoro sommerso) promozione di efficaci modelli metodologici di conduzione della vigilanza.

 

 

LE  PROPOSTE DEI DEMOCRATICI DI SINISTRA PER LA PREVENZIONE

 E LA SICUREZZA DEL LAVORO

 

1) IN OGNI COMUNE IL PIANO INTEGRATO DI SALUTE

 

 Sul piano istituzionale ed organizzativo riteniamo, come DS, che gli obiettivi di rilancio  della prevenzione possano essere conseguiti solo attraverso  l’attivazione di “piani integrati per la salute” che vedano la partecipazione dei soggetti sopra ricordati (Aziende UU.SS.LL, Comuni, Provincie, Quartieri, ARPA, OO.SS., organizzazioni imprenditoriali, Terzo settore, volontariato, associazioni di cittadini). Nell’ambito dei piani integrati di cui sopra è necessario che vengano definiti e condivisi con chiarezza gli obiettivi da conseguire ed il ruolo dei singoli soggetti che vi partecipano in modo da realizzare forti momenti di integrazione nella programmazione delle attività di tutti i soggetti interessati.

 

 - I Dipartimenti di prevenzione delle Aziende UU.SS.LL. devono fornire un contributo rilevante nella individuazione dei bisogni di salute della popolazione e nella messa a punto dei programmi d’intervento, anche in considerazione delle professionalità in essi presenti nel campo della epidemiologia, della tossicologia occupazionale ed ambientale, della comunicazione del rischio. Essi saranno inoltre chiamati ad effettuare direttamente interventi nei settori di propria competenza attinenti la tutela della salute dei cittadini (profilassi delle malattie infettive, prevenzione nei luoghi di lavoro, sanità pubblica veterinaria, tutela igienico sanitaria di alimenti e nutrizione, medicina dello sport, educazione alla salute, comunicazione del rischio). L’adesione a questo modello integrato di lavoro eliminerà, per i Dipartimenti della prevenzione, il rischio, diffusamente presente in questi anni, di una eccessiva autoreferenzialità. In sintesi quindi spettano ai Dipartimenti di Prevenzione, nell’ambito dei piani integrati di salute, le funzioni di coordinamento organizzativo, gestionali e operative.

 

 - I Comuni e le Provincie sono attori fondamentali dei piani integrati di salute in quanto devono garantire il collegamento stretto tra le necessità dei cittadini, dei quali sono naturali interpreti, e le scelte programmatiche attuate con la competenza tecnica dei Dipartimenti e degli altri soggetti coinvolti. I Comuni sono quindi chiamati ad esercitare un forte ruolo di indirizzo politico sulle scelte che devono essere attuate nell’ambito dei piani integrati di salute ed a svolgere interventi diretti nelle materie di propria competenza (tutela ambientale, piani regolatori, traffico, campagne di educazione per la promozione di stili di vita sani, piani di insediamenti produttivi). Ai Comuni spetta anche un ruolo rilevante nel promuovere verifiche in ordine alla efficacia degli interventi effettuati. 

 

- Le ARPA devono fornire, nell’ambito di una forte integrazione operativa con i Dipartimenti di Prevenzione delle Aziende UU.SS.LL. e con gli Enti Locali, il quadro relativo alla situazione di inquinamento ambientale con la individuazione delle priorità sulle quali si ritiene opportuno intervenire. Le scelte operative verranno poi effettuate da tutti i soggetti partecipanti al piano che in tal modo possono disporre del dati relativi all’inquinamento ambientale (ARPA) dei possibili effetti sulla salute dei cittadini (Dipartimenti di Prevenzione) e della fattibilità dei possibili progetti d’intervento (Enti Locali).

 

 - Le organizzazioni dei cittadini e le forze del volontariato possono fornire importanti contributi per la individuazione dei bisogni e per la realizzazione degli interventi. Le forze sociali e le organizzazioni dei cittadini devono, ovviamente, essere sistematicamente coinvolte per garantire la massima condivisione possibile degli obiettivi da conseguire e degli interventi proposti per il loro conseguimento.

 

- Per la riuscita dei piani integrati di salute è necessaria una preventiva definizione delle risorse messe in campo dai singoli partecipanti che comprenderanno quelle rese disponibili dalle Aziende UU.SS.LL. per la Prevenzione, ma anche altre che istituzioni e forze sociali ritengano opportuno impegnare per la tutela della salute dei cittadini.

 

- I piani integrati di salute dovranno ovviamente prevedere i tempi di realizzazione e gli indicatori di processo e di risultato da adottare successivamente per verificare, in maniera sistematica, il conseguimento degli obiettivi prefissati. 

 

2) IN OGNI REGIONE PROGRAMMI DI SCREENING ONCOLOGICI

 

Le regioni dovranno predisporre tali programmi, stanziando le relative risorse, fornendo alle aziende sanitarie i supporti tecnologici e le professionalità al fine di garantire quello standard di qualità indispensabile per rendere validi i risultati . È necessario ribadire questa necessità perché le tendenze attuali vanno in altra direzione e si sta diffondendo l’ipotesi che tali programmi siano sanità di serie ‘B’.

 

3) RILANCIARE LE POLITICHE DI SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO

 

Le priorità della nostra proposta sono le seguenti:

 

- Riduzione quantificata degli infortuni e delle malattie professionali, ponendosi cioè obiettivi precisi e correlati con la realtà epidemiologica, anche tramite il rafforzamento della cultura della prevenzione nel mondo del lavoro.

 

 - Assunzione di un ' ottica di genere nella valutazione dei rischi, nelle misure  di prevenzione, nonché nei dispositivi di riparazione e di conservazione al fine di prendere in considerazione  particolari caratteristiche del lavoro delle donne.

 

- Migliorare la conoscenza dei rischi, educare nell ' ambito della formazione professionale, promuovere la responsabilità sociale delle imprese, applicare la legislazione vigente privilegiando il dialogo  sociale in maniera da renderla  efficace e non burocratica.

 

- Attuare un modello di prevenzione non burocratico ma di efficace intervento verificato e verificabile, in cui i rappresentanti per la sicurezza dei lavoratori siano percepiti come uno dei terminali insieme agli operatori del Dipartimento di prevenzione delle ASL, nella prevenzione in azienda,  quale momento di nuovo e continuo sapere, di innovazione per l ' impresa, di democrazia.

A questo proposito una funzione positiva potranno svolgere anche le sezioni del nostro partito, muovendosi nel tessuto produttivo del territorio per conoscere ed entrare in relazione con le realtà più esposte a tali rischi e promuovere iniziative politiche finalizzate.


 

La spesa sanitaria nazionale

 

 

 


L’Accordo Governo/Regioni dell’8 agosto 2001 ha definito il livello di finanziamento della spesa sanitaria per il 2001 e per il successivo triennio 2002-2003-2004:

-         71.271 milioni di euro per il 2001

-         75.597 milioni di euro per il 2002, con un incremento del 6% rispetto al 2001

-         78.564 milioni di euro per il 2003, con un incremento del 3.9% rispetto al 2002

-         81.275 milioni di euro per il 2004, con un incremento del 3,45% rispetto al 2003.

 

L’Accordo inpegnava il Governo ad adottare, entro il 30 novembre 2001, un provvedimento per la definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza, provvedimento adottato con DPCM 29 novembre 2001.

Governo e Regioni si impegnavano inoltre ad istituire un “tavolo di monitoraggio e verifica sui livelli essenziali di assistenza effettivamente erogati e sulla corrispondenza ai volumi di spesa stimati e previsti” con lo scopo di verificare la effettiva congruità fra prestazioni da garantire e risorse finanziarie messe a disposizione dal Servizio Sanitario Nazionale. Il Tavolo è stato attivato, ma non conclude i propri lavori, anche per evitare di certificare, di fatto, la sottostima del finanziamento rispetto alle prestazioni da erogare.

 

Il disavanzo prodottosi per il 2001 è stato pari a 4.000 milioni di euro, certificato dal  Tavolo Tecnico Ministeri Economia e Sanità/Regioni.

Il disavanzo prodottosi nel 2002 ammonta a 3.800 milioni di euro, come dichiarato nella Relazione Generale sulla situazione economica del Paese recentemente presentata al Parlamento.

 

Per il 2003, per il quale si è definito l’incremento più basso degli ultimi anni, si prospetta una situazione disastrosa a fronte di due incrementi di spesa certi ed al di fuori della possibilità di interventi da parte delle Regioni: il doveroso rinnovo del contratto di lavoro del personale dipendente dal SSN (che avrà un costo stimabile attorno all’8,78% del monte-salari 2001, valutabile quindi in oltre 2.500 milioni di euro) e l’assistenza sanitaria che dovrà essere prestata agli immigrati regolarizzati dalla legge Bossi-Fini (che corrispondono ad oltre 700.000 persone) per un onere presunto di 900 milioni di euro. Si deve inoltre assumere che la spesa per beni e servizi segua quantomeno l’andamento dei costi generali dell’economia, segnando incrementi valutabili nell’ordine di 1.000 milioni.  Per effetto di questi soli fattori e assumendo di mantenere una crescita “zero” per la spesa farmaceutica, anche per il 2003 si può quindi conservativamente prevedere che il Servizio Sanitario Nazionale è destinato a maturare per quest’anno un disavanzo di oltre 5.000 milioni di euro.

A fronte di questa situazione le regioni che, per effetto della riforma costituzionale non possono più ricorrere a mutui per finanziare la spesa corrente, non possono neppure fare ricorso all’acquisizione di risorse proprie perché lo stesso Governo che propone la devolution ha deciso di congelare a tempo indeterminato la possibilità per le regioni di disporre delle addizionali.

 

La situazione finanziaria è ulteriormente aggravata dai comportamenti opportunistici del Governo che nega i trasferimenti di cassa dovuti a copertura del livello di finanziamento oggetto dell’Accordo dell’8 agosto 2001. L’entità dei crediti vantati dalle regioni nei confronti del governo centrale per effetto delle sue manovre sulla cassa ha raggiunto la cifra di 11.600 milioni di euro.

 

Sul versante degli investimenti sono di fatto bloccati i finanziamenti riferiti al 2° e 3° triennio degli Accordi di programma disposti ai sensi dell’art. 20 della Legge 67/1988, nonché quelli relativi al programma aggiuntivo, già finanziato con la Legge  finanziaria del 2001.

Relativamente al programma di riqualificazione dell’assistenza sanitaria nei grandi centri urbani (art. 71 L.448/98), nel corso del 2002 il Governo ne ha ridotto il finanziamento per una quota pari a circa il 17% (210 milioni di euro)


 

Difendere e innovare il servizio sanitario nazionale

Silvio Natoli

aprile 2003

 

 


Stiamo portando avanti, dall’avvento dei governi di centro destra a livello regionale e nazionale, una forte iniziativa politica, come DS e come Ulivo, per difendere il nostro servizio sanitario nazionale universale e solidale contro ogni tentativo di stravolgerne missione, regole e strumenti.

 

Una battaglia necessaria perché la destra che governa il paese ha un obiettivo strategico che prova a articolare sui singoli temi e nei diversi settori dell’intervento pubblico e che si può riassumere schematicamente nel tentativo costante di trasformare diritti e bisogni collettivi in consumi individuali da reimmettere a pieno titolo nel mercato.

 

Per la prima volta dall’approvazione della legge 833  il ceto politico dominante mette in discussione concretamente i principi della riforma sanitaria,   esce dalla tradizione solidaristica cattolica che ha informato, seppur con mille contraddizioni, la politica dei governi a guida democristiana  e mostra le radici della sua cultura  paleo-capitalista ben  lontana anche da concezioni laiche e liberali.

 

I risultati che la destra vuole raggiungere direttamente sono sostanzialmente due: riportare sotto il controllo del mercato privato tutti i pezzi del sistema sanitario suscettibili di produzione di alti profitti come le alte tecnologie e la diagnostica raffinata, la chirurgia complessa, la ricerca biomedica applicata etc e  contemporaneamente, e di conseguenza, spingere gli strati più abbienti della popolazione a chiedere la possibilità di uscire dal servizio sanitario nazionale e quindi dalla contribuzione obbligatoria.

 

Gli strumenti utilizzati sono i più diversi, coerenti fra loro solo nell’obiettivo strategico, quali: l’introduzione di tickets, addizionali e tasse che insieme alla costante denuncia di un disavanzo disastroso della sanità pubblica  dipingono il quadro di un sistema esoso e  sprecone; il blocco delle assunzioni e norme capestro per gli approvvigionamenti dei beni necessari che paralizzano l’attività concreta delle ASL favorendo lo spostamento delle prestazioni verso le strutture private accreditate o verso il privato-privato; il progetto di trasformare gli IRCCS in fondazioni di diritto privato cedendo al mercato i punti di eccellenza e i luoghi dove si sviluppa gran parte della ricerca biomedica pubblica del paese; la trasformazione di una giusta lotta agli elementi di corruzione e di illegalità presenti nel sistema in un gran polverone mediatico che nell’omologare tutti, i molti onesti e i disonesti, crea allarme e incertezza nei cittadini e sconcerto nei medici che si sentono sotto inchiesta per ogni prescrizione; e per concludere la legge sulla devoluzione che di fatto cancella un servizio sanitario nazionale con eguali diritti per tutti i cittadini.

 

Assicurazioni e mutue sostitutive possono apparire, nel quadro di un sistema vicino alla paralisi funzionale e morale, l’unica alternativa al pagamento di tasca propria delle prestazioni necessarie per molti cittadini anche di medio reddito.

 

L’obiettivo è quasi raggiunto, di questo dobbiamo essere più consapevoli, perché è coerente con il messaggio che la propaganda berlusconiana ha ripetuto ossessivamente attraverso i media: pubblico vuol dire inefficienza, spreco e corruzione,  il privato invece  efficienza, economicità  e qualità.

 

Per contrastare questa operazione, tutt’altro che  banale, dobbiamo difendere i risultati di rilievo sul versante della crescita della salute del paese prodotti dal nostro SSN ma, allo stesso tempo, ragionare sugli elementi di innovazione da apportare a questo sistema perché sia realmente equo e solidale  e sappia rispondere  al bisogno di salute collettivo e individuale che oggi il paese esprime in modo più maturo e consapevole.

 

Tre questioni vanno affrontate sin da ora coinvolgendo operatori e cittadini.

 

La prima riguardo l’accesso ai servizi e alle prestazioni.

 

Oggi  un giovane di 20 anni e un’anziana di 85, una persona laureata e un analfabeta, un cittadino sano e un malato cronico accedono, in molte realtà, ai servizi sanitari  nello stesso modo, attraverso la stessa fila, con le stesse procedure.

 

Proporre analoghe modalità di accesso a persone molto diverse non rappresenta  la concretizzazione di un principio egualitario, ma la sua negazione e importanti ricerche dimostrano come i più ricchi, i più acculturati, i più giovani usano meglio e di più il servizio pubblico mentre le fasce più deboli, anche economicamente, ricorrono a servizi privati costosi e molto spesso inappropriati.

 

Strumenti come la prenotazione di visite ed esami diagnostici attraverso i medici di famiglia o attraverso il telefono favoriscono in modo sostanziale l’accesso degli anziani e dei disabili, dei malati cronici; allo stesso modo garantisce maggiore equità l’introduzione, nei presidi sanitari, di percorsi riservati  per i portatori di patologie croniche  che necessitano di esami o visite periodiche ricorrenti.

 

Particolare rilevanza assume questa problematica dell’accesso in tutte le prestazioni e i servizi di tipo socio-sanitario.

 

Si può tranquillamente affermare che le risorse destinate oggi alla sanità pubblica, a prescindere da ogni valutazione sulla loro attuale congruità, sarebbero drammaticamente insufficienti se anche una parte modesta di cittadini in condizioni  di difficoltà  pretendesse dal servizio sanitario e dai servizi sociali il rispetto dei livelli essenziali di assistenza e non tentasse di risolvere direttamente i propri problemi.

 

Un accesso sostenuto, una presa in carico, un ruolo di “tutor” del medico di famiglia, una reale attivazione della medicina territoriale e dei distretti, la generalizzazione dell’ADI e dell’ospedale a domicilio, sono strumenti oggi non più rinviabili per rispondere ai bisogni e inverare la natura pubblica e universale del SSN.

 

La seconda riguarda il rapporto  tra risposta alla domanda  e intervento sui determinanti della salute nel SSN.

 

La domanda di salute, o meglio di prestazioni, è  fortemente cresciuta per forza e consapevolezza negli ultimi anni.

 

Una domanda, spesso da decodificare,  intrisa di elementi spuri e da forti suggestioni  indotte da un mercato sempre più invadente, ha condizionato lo sviluppo del nostro SSN che ha risposto modellandosi  su questa domanda, filtrandola, però, attraverso  priorità del tutto  autoreferenziali.

 

Alla domanda di crescita del numero di alcune prestazioni spesso le ASL hanno risposto aumentando la capacità produttiva di altre, più “gradite” agli operatori.

 

Tutto ciò rischia di annacquare il concetto stesso di  servizio pubblico.

 

Infatti se è ovvio che alcune funzioni fondamentali relative a interventi sulla collettività (prevenzione, educazione sanitaria, tutela della salute nei luoghi di vita e di lavoro ecc.) proprio perché attengono a un contesto non semplificabile in un rapporto fra venditori di una prestazione individuale e il cliente-utente, sono d ' elezione di un servizio pubblico; deve essere altrettanto ovvio (e non lo è) che se il servizio pubblico non svolge queste funzioni perde importanti ragioni della sua stessa esistenza.

 

Occorre produrre forti elementi di innovazione nel funzionamento del servizio pubblico perché riscopra la sua vera missione di promozione e tutela della salute  a partire dalla subordinazione dei conti economici   delle aziende  sanitarie ai risultati ottenuti in termini di miglioramento dello stato di salute della popolazione di riferimento.

 

Uno slogan potrebbe essere un SSN che si impegna non a moltiplicare le prestazioni ma a far crescere la salute.

 

Con questa affermazione siamo giunti alla terza questione, la più importante, il tema della appropriatezza.

 

Se non vogliamo selezionare i cittadini in base al censo, come ci propone quotidianamente la destra, in un sistema a risorse definite non abbiamo altro strumento che selezionare le prestazioni sulla base di criteri di efficacia e di appropriatezza.

 

La sfida di un sistema sanitario universale e solidale sostenibile passa per un patto fra istituzioni, management, professionisti, sindacati e rappresentanze dei cittadini sulla efficacia e l’appropriatezza.

 

Non si superano le liste di attesa se non si selezionano, anche temporalmente, le prestazioni da erogare in funzione di criteri di urgenza e di appropriatezza; non si danno maggiori certezze a operatori e cittadini se gli stessi professionisti non definiscono linee guida e percorsi per la  prevenzione, la diagnosi, la terapia e la riabilitazione.

 

Non si tutela bene la salute dei cittadini se non si articola l’offerta sanitaria sulla base di requisiti di qualità, efficacia e appropriatezza superando logiche estranee e contraddittorie all’obiettivo da raggiungere.

 

In sostanza se non si definisce una  rete, che operi per obiettivi di salute e alla quale il cittadino supportato da un “tutor” acceda per ricevere, in tempi certi, ciò di cui realmente ha bisogno.

 

Programmi, obiettivi di salute, percorsi, appropriatezza necessitano, infine, di strumenti di valutazione e di indicatori di qualità di cui oggi il sistema è sprovvisto, in gran parte del paese.

 

L’individuazione condivisa da istituzioni, professionisti e utenti di questi indicatori e l’introduzione di strumenti per dare efficacia  agli interventi conseguenti, rappresentano l’ultimo passaggio per un profondo mutamento di un  SSN  che nel rispondere efficacemente a vecchi e nuovi bisogni esalti la sua funzione universale e solidaristica.


Professioni sanitarie protagoniste nella nuova sanità

Augusto  Battaglia

giugno 2003

 

 


Nella passata legislatura il Centrosinistra riuscì con le leggi 42 e 251 ad approvare una profonda e radicale riforma delle professioni sanitarie. Furono leggi non facili, che dovettero superare ostacoli e resistenze, ma che alla fine sancirono con chiarezza per i circa cinquecentomila infermieri, terapisti, tecnici sanitari e della prevenzione la formazione universitaria, l’autonomia professionale, un diverso inquadramento fino alla dirigenza ed alla docenza, nonchè maggiori responsabilità nell’organizzazione dei servizi sanitari. Si portò così a compimento un lungo processo legislativo, che trovava le sue ragioni non certo nell’intento di favorire questa o quella professione,  ma nella urgenza di creare le condizioni per una sanità più qualificata, moderna e vicina al cittadino. Tant’è che ampi settori del mondo medico l’apprezzarono, vedendo nel superamento del ruolo ancillare e subalterno delle professioni non una diminuzione del loro spazio operativo e del loro ruolo, ma al contrario la possibilità di liberarsi di funzioni secondarie per ottimizzare ed esprimere al meglio le proprie specifiche competenze.

Oggi viviamo tutti una fase nuova, non meno impegnativa, quella che dovrà dare piena attuazione a quelle leggi. La vive il Governo in primo luogo, che deve ancora completare i provvedimenti attuativi. In particolare va registrato un notevole ritardo nell’adozione del decreto di equiparazione dei titoli, previsto dal comma 2, dell’articolo 4, della legge 42. Il testo è però ormai in dirittura d’arrivo alla Conferenza Stato regioni. Ma sono, soprattutto, le regioni chiamate a recepire con proprie norme i principi della nuova legislazione, istituendo in primo luogo le dirigenze per le quattro aree professionali. Lo hanno già fatto pressoché tutte per l’area infermieristica e poche per le altre aree: tecnico-sanitaria, della riabilitazione e della prevenzione, tra queste Umbria, Campania, Toscana, Marche. Altre infine, pur con qualche contraddizione e ritardo, ne stanno discutendo.

Ma è soprattutto nella quotidianità dei servizi che le ASL e le Aziende ospedaliere sono chiamate ad adottare modelli organizzativi dei servizi che valorizzino l’autonomia e la responsabilità delle professioni. Operazione oltretutto necessaria in un sistema sanitario che manifesta ampi margini di miglioramento in qualità ed efficienza quando sa articolarsi sul territorio nelle diverse attività ambulatoriali, diurne ed al domicilio dell’utente, quando sa elevare il contenuto della relazione umana con il malato, quando è attento agli aspetti organizzativi, quando valorizza nell’equipe multidisciplinare le diverse competenze e sensibilità professionali. Ed in questo ambito vi è un ampio spazio di crescita per le professioni sanitarie.

Vi sono poi le responsabilità del sistema universitario chiamato ad attivare non solo le lauree di primo livello, ma anche il biennio di specializzazione. Per le prime pesa l’insufficiente numero di posti di formazione per gli infermieri, mentre per le specialistiche il ritardo è generalizzato, tant’è che a tutt’ oggi non vi è alcuna traccia del varo delle quattro lauree di secondo livello per ciascuna specifica area professionale, anzi è verosimile che il governo  anche per questo secondo anno ne bloccherà l’attivazione.

In questo quadro il Ministro Sirchia ha recentemente fatto approvare in Consiglio dei Ministri un disegno di legge nel quale chiede un’ampia delega in materia di “professioni sanitarie non mediche”. Una proposta pericolosa in quanto una delega incondizionata espone le professioni sanitarie al rischio di un arretramento rispetto ai livelli di autonomia acquisiti. Per di più l’annosa questione degli albi viene affrontata in termini riduttivi con elenchi regionali che escludono le professioni da una responsabilità diretta nella tutela propria e dell’utenza, nella deontologia professionale, nel contrasto dell’abusivismo. La proposta, prima bloccata e poi ricondotta dalle regioni ad un testo certamente più accettabile, sembra essere stata abbandonata e questa circostanza non può che rafforzare i sospetti sulle intenzioni originarie del ministro.

Rimane comunque il problema di completare un disegno legislativo ancora non perfettamente compiuto. In primo luogo riaffrontando la questione ordinistica. Nella precedente legislatura  la questione fu accantonata in attesa di una riforma degli ordini che poi non vide la luce. Ma il problema rimane. Se si parla di libere professioni, per di più in un campo costituzionalmente protetto qual’è la tutela della salute, bisogna poi essere conseguenti. Vanno costituiti gli albi, definiti nuovi inquadramenti professionali, garantita la libera professione, anche attivando specifiche convenzioni nazionali. Non sarebbe male cominciare ad esempio a riflettere seriamente sul cosiddetto infermiere di famiglia, che affianchi il medico di medicina generale per la continuità assistenziale ed una piena presa in carico dei bisogni di salute del cittadino.

Ci sono infine profili professionali da definire, come quello dell’ottico-optometrista, o da integrare e modificare, come nel caso del podologo o del tecnico ortopedico. Nella sola Commissione Affari Sociali della Camera risultano al momento depositate ben undici proposte di legge che riguardano le professioni.

Tutti questi motivi hanno indotto il Gruppo DS a chiedere ed ottenere una sessione speciale della Commissione Affari Sociali sulle professioni. Tale sessione è già stata inserita nel programma di lavoro  trimestrale e ci proponiamo di avviarla prima dell’interruzione estiva dei lavori. Abbiamo l’ambizione di portare a compimento un percorso legislativo che porterà ad un sistema di professioni forti e sempre più qualificate, protagoniste e responsabili in un Servizio Sanitario che vogliamo pubblico e solidaristico, che metta al centro il malato, il cittadino ed il suo diritto alla salute.

 

 


Bilancio sull’epidemia di SARS

Grazia Labate

12 maggio 2003

 

 


Il bilancio aggiornato dell’epidemia di SARS o polmonite atipica, fornito dall’OMS e l’aumento della soglia di incidenza mortale, non solo sollevano crescenti preoccupazioni, ma anche interrogativi profondi su temi quali la tutela della salute nel mondo, la prevenzione e il futuro della ricerca. La tabella costruita sui dati OMS è eloquente. Proprio oggi, per il nostro paese, si è registrata la buona notizia dei 9 casi segnalati che sono stati dimessi e ritornati a casa in perfetta guarigione.


 

 

CASI

MORTI

ASIA

 

 

Australia

4

0

Cina

5013

252

Hong Kong

1678

218

Indonesia

1

0

Giappone

2

0

Macao

1

0

Malaysia

7

2

Nuova Zelanda

1

0

Filippine

4

2

Singapore

205

28

Corea del Sud

2

0

Taiwan

7

2

Vietnam

63

5

 

 

 

EUROPA

 

 

Gran Bretagna

6

0

Bulgaria

1

0

Finlandia

1

0

Francia

7

0

Germania

7

0

Irlanda

1

0

Italia

9

0

Polonia

3

0

Romania

1

0

Russia

20

0

Svezia

3

0

Svizzera

1

0

 

 

 

NORDAMERICA

 

 

Canada

149

23

Stati Uniti

65

0

 

 

 

SUDAMERICA

 

 

Brasile

2

0

Colombia

1

0

 

 

 

AFRICA

 

 

Sudafrica

1

0

 

 

 

TOTALI

7400

559

Fonte: Organizzazione Mondiale della Sanità

 


Tuttavia l’OMS non è ancora in grado di giudicare se l’espansione della SARS abbia raggiunto il livello massimo nel mondo o se vi sia ancora un margine di aggravamento. Dunque il problema è rafforzare gli strumenti di prevenzione contro le epidemie, costruire sempre più efficaci strumenti di controllo delle malattie, investire in ricerca e sviluppo, sia per affrontare validi test diagnostici che efficaci terapie. LA SARS, quindi, quale campanello d’allarme, che apre riflessioni e interrogativi sui modelli di sviluppo, sullo stato dell’ecosistema, sulle politiche comuni a promozione e tutela della salute umana. Un avvertimento forte, che richiama impellentemente in causa, le ragioni distorsive della globalizzazione in atto, il divario tra Nord e Sud del mondo, l’equilibrio uomo - natura, il rapporto economia – salute, le finalità dello sviluppo. Mi colpisce la sproporzione mediatica degli effetti SARS sull’economia, dai trasporti, al turismo, alle relazioni commerciali, rispetto al tema della promozione della salute umana, alle angosce ed ansie che pervadono milioni di cittadini nel mondo. Il bisogno di informazioni accurate, comprensibili; la certezza di una rete di sorveglianza sanitaria pronta a fronteggiare ogni evenienza; l’incredulità di fronte all’attuale stadio delle ricerche sui più terribili agenti virali e al loro caratterizzarsi quali agenti mutanti. Insomma, sono colpita dal fatto che persino a livello europeo, continente dove si sta reagendo adeguatamente, per combattere la diffusione dell’epidemia, permanga una certa sordità negli stati membri a stabilire una politica comune per la tutela della salute umana. La BSE ci ha costretti a dotarci a livello comunitario di una rete di sorveglianza e di allerta per la tutela della salute animale e di conseguenza per i suoi effetti sulla salute umana, mi auguro che la SARS, come auspica il Commissario Byrne, ci costringa a dotarci di un “Centro Europeo di controllo delle malattie” e di strumenti efficaci ed unitari di allerta rapida per la prevenzione e la cura da insorgenza di epidemie.

Occorrerà spingere in modo determinato perché la prossima Costituzione Europea contenga principi e regole comuni per il rafforzamento delle politiche comunitarie in campo sanitario altrimenti la libera circolazione di beni e persone senza la tutela della salute è un principio monco e comunque a rischio. Quando la ragione umana comprenderà che prevenire è meglio che curare? Non possiamo continuare ad agire ex post. Non possiamo non vedere come, gli iniziali quanto colposi insabbiamenti cinesi (tenere nascosti agli esperti internazionali i malati) abbiano contribuito al propagarsi della epidemia da coronavirus mutante, con un sistema sanitario non in grado di farvi fronte adeguatamente. Al tempo stesso non possiamo non sottolineare, quanto la cara vecchia Europa, e noi in Italia, con il nostro S.S.N. abbiamo reagito prontamente grazie al fatto di avere sistemi pubblici di tutela della salute umana. Si proprio così, pubblici. Se non avessimo avuto le nostre strutture si sanità aeroportuale e marittima, i nostri centri di riferimento di Roma e di Milano, l’istituto superiore di sanità, i nostri ospedali delle aree metropolitane attrezzati con i reparti di malattie infettive potenziati con le risorse pubbliche dai tempi dell’insorgenza dell’ AIDS, i nostri medici di medicina generale che hanno subito dato, la piena disponibilità per informare, collegarsi con la rete ospedaliera e i centri di riferimento per far fronte al problema, non avremmo potuto adeguatamente rispondere al quel virus lontano, che si propaga così facilmente, con lo starnuto di un vicino che vola con noi in aereo. Abbiamo incalzato in questo periodo, come opposizione, il Governo con interrogazioni urgenti, question time, fornendo suggerimenti e proposte, che via via  il Ministro della Salute ci pare accolga, come quello del controllo dei passeggeri provenienti dal corridoio di Schengen. Abbiamo fatto richieste precise alla Commissione Affari Sociali della Camera: giovedì prossimo il Ministro verrà a riferire sullo stato dell’arte; la Commissione formerà una delegazione che si recherà nei 2 centri di riferimento e nei  maggiori scali aeroportuali così come nei più grandi ospedali per verificare la congruità delle risposte. La Commissione Affari Sociali dovrà ritenersi convocata permanentemente per seguire l’andamento della SARS e le risposte che vengono via via affrontate.

Siamo consapevoli che occorre perfezionare di più e meglio l’informazione, gli strumenti di prevenzione,  di accertamento diagnostico perché il periodo che ci sta di fronte, con l’avvio dell’autunno e del periodo influenzale, è periodo critico. Ci si augura che il test sia pronto entro l’estate e l’I.S.S. dovrà validarlo. Il primo test di carattere ambientale arriverà dall’Australia, dove cominciando l’inverno si capirà se la SARS più l’influenza e i mali di stagione, daranno luogo ad una più difficile e critica combinata oppure no.

Insomma, senza una seria ricerca su gli agenti virali che attualmente minacciano la salute pubblica, sarà difficile mettere in atto una efficace una azione di contrasto.

Il problema, per chi governa, non è solo quello di denunciare o evocare con enfasi ciò che non c’è o va fatto. Occorre agire tempestivamente, il banco di prova è la coerenza tra parole e fatti. I fatti sono quanto il Governo stanzierà per la ricerca nel prossimo DPEF? Quante risorse metterà a disposizione per la ricerca farmaceutica e per gli approvvigionamenti di quei farmaci e di quei vaccini, il cui cocktail è fino ad oggi usato per far fronte all’epidemia? Quanto si batterà il ministro della salute perché il FSN aumenti, destinando almeno il doppio dell’attuale quota (5%) destinata alla prevenzione? Quanto, durante il semestre di presidenza italiana in Europa ci si batterà per creare un Centro europeo per la sorveglianza e l’allerta rapida sulle malattie trasmissibili? Quanto, a livello europeo, si rinegozierà delle risorse del sesto programma quadro sulla ricerca perché avanzino studi e risposte farmaco terapiche sui nuovi agenti virali mutanti? Quanto, infine, l’Europa a guida italiana, si batterà presso le Nazioni Unite e all’interno del WTO, perchè l’Occidente capisca che occorre rimuovere benefit, royalties, monopoli, delle grandi industri farmaceutiche, e nel contempo fornire adeguate risposte in termini economici e di risorse umane verso quei paesi che, continuiamo ostinatamente a chiamare in “via di sviluppo ”, in cui la salute umana, primo fattore per potersi sviluppare, è falcidiata da terribili epidemie quali Malaria, AIDS, Ebola, colera, carenza d’acqua?

I focolai endemici dovuti alla miseria, alle disuguaglianze, sono terribili ed ad un tasso di mortalità così elevato che va ben oltre la SARS. Preoccupiamoci con altrettanta solerzia, anche se da quei paesi non si esportano grandi business e non si viaggia facilmente in aereo.

Che la SARS, sia un fattore di meditazione collettiva e costruttiva per la salute di tutti i cittadini del mondo.

 


 

Seminario dei DS  sulla Prevenzione

Intervento della Sen. Monica Bettoni
Roma, 6 maggio 2003

 


 

Con questo seminario vogliamo iniziare un percorso di approfondimento e di ridiscussione su tutti gli aspetti che attengono alle politiche di prevenzione. Per arricchire e rendere ancora più visibile la nostra proposta in tema di sanità e di politiche sociali dopo il buon successo del convegno dell ' Ulivo di Arezzo a cui, credo, come DS, abbiamo dato il nostro determinante contributo in termini di organizzazione e di idee.

Il materiale di lavoro che mettiamo a disposizione è rappresentato dal documento sulla prevenzione elaborato dal gruppo di lavoro costituito presso la Direzione e da una serie di relazioni che focalizzeranno alcuni aspetti noi ritenuti importanti, anche se non esaustivi, delle problematiche della prevenzione, al fine di avviare un confronto vero tra chi, a vario titolo, opera, non senza difficoltà oggi, nel mondo della sanità e della salute.

Le considerazioni, i presupposti che stanno alla base della necessità di rilanciare la prevenzione, sono:

1) L ' attuale sistema sanitario per quanto solidale e universale non è riuscito a recuperare alcune diseguaglianze che incidono sul diritto alla salute perché prevalentemente distributivo di utilità e/o disutilità e quasi mai di opportunità. Ma cosa è, cosa significa opportunità in un sistema sanitario?

La prima delle opportunità, quella prioritaria, è, io penso, la possibilità che l ' individuo deve poter avere, di migliorare il suo stato di salute.

Ricollocare come strategica la prevenzione implica la ridefinizione del rapporto utilità/opportunità. Il modello

 

attuale del SSN, pur offrendo una elevata utilità di salute (gli indicatori della morbilità, della mortalità, ecc. sono tra i più positivi fra i paesi occidentali) offre una bassissima opportunità di evitare il verificarsi dell ' evento negativo cioè della malattia, perché la prevenzione è ancora carente.

2) La seconda considerazione scaturisce dall ' analisi di alcuni indicatori come le Morti Evitabili e gli Anni di Vita Potenziale Perduti.

Ebbene si ricorda che circa il 40% delle morti potrebbero essere evitate se fossero attuate misure di prevenzione.

3) Terza e ultima considerazione. L ' andamento nel tempo delle risorse finanziarie impegnate nei Paesi economicamente avanzati per supportare i sistemi sanitari e, dall ' altro, l ' andamento del livello di salute desunto dalle popolazioni da cui i servizi sanitari stessi sono utilizzati, evidenziano in modo univoco in tutte le realtà, tre fenomeni significativi:

- i costi per i servizi sanitari mostrano di crescere in modo apparentemente inarrestabile negli anni;

- la salute, dopo un iniziale incremento quasi proporzionale a quello dei costi, pare migliorare sempre meno, sebbene l ' impegno finanziario sia sempre più consistente;

- ai giorni nostri il grado di divaricazione tra costi per i servizi sanitari e salute prodotta, assume dimensioni inaccettabili e tali da spingere a parlare di "crisi" dell ' efficacia dei sistemi sanitari.

 

La prevenzione è, dunque, una scelta obbligata sotto il profilo etico, scientifico, economico e la tutela della salute dei cittadini passa non solo attraverso il SSN, ma prioritariamente attraverso scelte politiche che riguardano l ' occupazione, lo sviluppo industriale, la tutela ambientale, l ' assetto urbanistico, il modello di welfare.

 

Di fronte a ciò, di fronte alle azioni del governo di centrodestra, anzi, in questo campo, alle non azioni (basta leggere il Piano Sanitario Nazionale presentato da Sirchia per avere piena testimonianza di una concezione residuale della prevenzione) noi DS, nei nostri livelli organizzativi locali, dobbiamo mettere in campo proposte e azioni concrete, che partano dalla conoscenza delle realtà in cui operiamo con alcune priorità.

 

Queste le nostre proposte principali:

 

1. In ogni Comune, il Piano Integrato di salute:

 

Questo andrà elaborato con la partecipazione di aziende sanitarie, enti locali, ARPA, organizzazioni sindacali, imprenditoriali, Terzo settore, volontariato e col supporto tecnico dei Dipartimenti di Prevenzione.

 

I nostri programmi e quelli dell ' Ulivo per le prossime elezioni amministrative, devono lanciare con forza questa proposta in cui il Comune è chiamato ad esercitare un forte ruolo di indirizzo politico sulle scelte e un forte ruolo di verifica rispetto all ' efficacia degli interventi effettuati.

 

2. Rilanciare con forza l ' iniziativa politica sulla sicurezza del lavoro.

 

Il particolare momento che stiamo vivendo e lo scontro sociale in atto proprio sulle questioni del lavoro, rinnovano l ' attualità di questa questione.

 

L ' obiettivo di creare un numero maggiore di posti di lavoro deve essere coniugato con la qualità del lavoro, di cui salute e sicurezza sono elementi essenziali.

 

In una società moderna, una organizzazione e un ambiente di lavoro sani e sicuri sono fattori che migliorano le prestazioni dell ' economia e delle imprese, creando ricchezza sociale.

 

La "non qualità" del lavoro si traduce – oltreché in drammi umani – in una perdita di capacità produttiva per l ' economia (500 milioni di giornate di lavoro perse nel 1999 in Europa a causa di infortuni e problemi di salute) e in spese per indennizzi e prestazioni il cui finanziamento pesa, in larga misura, sulla collettività e sulle imprese.

 

Una nuova e diversa responsabilità sociale delle imprese può tradursi, dunque, non solo in riduzione dei costi umani e sociali legati agli infortuni sul lavoro ma in benefici sulle prestazioni e sulla competitività.

 

Il mondo del lavoro è in profonda trasformazione. Questa trasformazione non nasconde una realtà tuttora presente, che mostra tassi di incidenza di infortuni sul lavoro particolarmente elevati in taluni settori (ad es. l ' edilizia) e nelle imprese a più piccola dimensione.

 

Accanto a questi problemi "storici" si pongono problemi nuovi, legati ad esempio all ' invecchiamento della popolazione attiva, all ' innalzamento dell ' età media dei lavoratori, che sono statisticamente gravati da infortuni più gravi e con mortalità superiore alla media europea.

 

Problemi nuovi legati alla trasformazione  delle forme di occupazione, l ' estensione in particolare dei rapporti di lavoro temporanei e l ' affermarsi di nuove forme di lavoro (a tempo parziale,  atipiche) che presentano una correlazione negativa con la salute nei luoghi di lavoro e in cui i lavoratori godono di minori tutele.

 

La più ampia presenza delle donne  nel mondo del lavoro introduce poi una nuova dimensione nel campo della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro, legata alla specificità e alle differenze biologiche. Un campo di conoscenza  e di acquisizioni epidemiologiche e scientifiche, ancora rimasto colpevolmente inesplorato.

 

Nel documento trovate alcune proposte che ci sembrano giuste sia sul versante istituzionale e legislativo che aziendale. In primo luogo quella di dare corpo ai Dipartimenti di prevenzione che, in alcune realtà  aziendali, sono virtuali.

 

3) Valorizzare come problema di sanità pubblica la prevenzione alla persona e in particolare la prevenzione oncologica.

 

Alcuni di voi hanno criticato questo aspetto ed in particolare l ' utilizzo degli screening oncologici. Vorrei chiarire.

Quando parliamo di screening per alcune patologie oncologiche ci riferiamo a quelle procedure che hanno avuto una validazione scientifica e dunque sono ritenute universalmente valide per la diagnosi precoce non certo un ' indiscriminata  serie di esami o test diagnostici.

Gli esempi a cui penso riguardano gli screening del tumore della mammella e del tumore del collo dell ' utero che consentono laddove sono programmati e coordinati, di raggiungere una quota di cittadini che altrimenti, attraverso gli usuali canali del SSN sarebbero esclusi.

 

Questo va nel senso di correggere le disequità che ancora persistono, soprattutto nell ' accesso alle prestazioni e che vedono le persone a più basso reddito e meno istruite ancora gravate ad esempio da una mortalità più elevata.


 

Istituzione di un Fondo per il sostegno delle persone non autosufficienti

 

Testo Unificato delle pdl 2166 e abbinate elaborato dal Comitato ristretto

7 maggio 2003

 

 

 


ART. 1

 

(Fondo per il sostegno delle persone non autosuffìcienti)

 

1. In attuazione dei principi d di cui alla legge 8 novembre 2000, n. 328, e alla legge 8 novembre 2000, n. 328, e alla legge 5 febbraio 1992, n. 104, al fine di incrementare il sistema di protezione sociale di cura per le persone non autosufficienti è istituito, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, un Fondo per il sostegno delle persone non autosufficienti, di seguito denominato “Fondo”.

2. Ai fini della presente legge sono considerate autosufficienti tutte le persone che, a seguito di forme di disabilità congenite o sopravvenute, di malattie o traumi, sono incapaci di svolgere autonomamente le funzioni essenziali nell’ambito della quotidiana, rapportate alla loro età.

3. I livelli essenziali delle prestazioni socioassistenziali per le persone non autosufficienti e i parametri grado di non autosufficienza sono definiti, entro tre mesi dalla entrata in vigore della presente legge, con decreto  del Presidente del Consiglio dei Ministri, d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sulla base dei principi e criteri di cui agli articoli 14, 15 e 16 della legge 8 novembre 2000, n. 328.

4. Le prestazioni garantite dai livelli essenziali di assistenza sociale per le persone non autosufficienti non sono sostitutive di quelle sanitarie e sono finalizzate alla copertura dei costi di rilevanza sociale dell’assistenza integrata sociosanitaria, ai sensi dell’articolo 2 del

 

ART. 2

 

(Finalità del Fondo per il sostegno delle persone non autosufficienti)

 

1. Ferme restando le competenze del Servizio sanitario nazionale in materia di prevenzione, di cura e di riabilitazione delle patologie acute e croniche da cui possa derivare una condizione di non autosufficienza permanente, il Fondo è destinato alle seguenti finalità:

 

a) favorire l’utilizzo della rete dei servizi attraverso la realizzazione, nei limiti delle relative disponibilità finanziarie, di progetti individuali per le persone disabili e per il sostegno domiciliare per le persone anziane non autosufficienti, di cui agli articoli 14 e 15 della legge 8 novembre 2000 n. 328;

 

h) erogare titoli per la fruizione di prestazioni sociali ed assegni di cura commisurati alla gravità del bisogno, allo scopo di garantire assistenza e sostegno a soggetti con gravi limitazioni dell’autonomia e migliorare la vita di relazione e la comunicazione, di cui agli articoli 16 e 17 della legge 8 novembre 2000, n. 328;

 

e) erogare le risorse necessarie al pagamento della quota sociale a carico dell’utente in caso di ricovero in una residenza sanitaria assistita o in strutture similari anche a carattere diurno;

 

ART. 3

 

(Funzionamento del Fondo)

 

1. Entro tre mesi dalla entrata in vigore della presente legge, il Ministro del Lavoro e delle politiche sociali, con proprio decreto, emanato di concerto con i Ministri della salute e dell’economia e delle finanze e d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, provvede alla ripartizione tra le Regioni delle risorse del Fondo sulla base di indicatori — stabiliti nel medesimo decreto — riferiti alla percentuale di persone non autosufficienti sulla popolazione di riferimento e di indicatori demografici e socio – economici.

 

2. Nel pieno rispetto della potestà regolamentare delle Regioni, delle Province, dei Comuni e delle Città metropolitane in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite in materia di solidarietà sociale e al fine di consentire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, con il medesimo decreto di cui al comma 1 sono determinati:

 

a) i criteri per l’individuazione e l’accertamento della non autosufficienza, sulla base dei criteri previsti dalla classificazione internazionale ICF dell ‘Organizzazione Mondiale della Sanità;

 

b) le modalità di gestione del Fondo e la tipologia e le modalità di erogazione delle prestazioni economiche e di natura assistenziale;

 

c) le modalità e le procedure attraverso le quali, nell’ambito del distretto socio-sanitario, di cui all’art. 3-quater del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.502, introdotto dall’art. 3, comma 3, del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, devono essere valutati il bisogno assistenziale e le prestazioni da erogare a favore della persona non autosufficiente;

 

d) le modalità di controllo e di verifica della qualità delle prestazioni erogate e delle spese sostenute dalle famiglie, nel rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni socioassistenziali di cui al comma 3 dell’articolo 1.

 

ART.4

 

(Diritti acquisiti)

 

  1. 1 titolari delle indennità di accompagnamento e di comunicazione di cui alle leggi 11 febbraio 1980, n. 18, 26 maggio 1970, n. 381, 27 maggio 1970, n. 382, e al decreto legislativo 23 novembre 1988, n. 509, in condizioni di non autosufficienza, possono optare, in alternativa alla indennità percepita, per la fruizione delle prestazioni erogate dal Fondo.

 

ART. 5

 

(Dotazione del Fondo)

 

1. Il Fondo di cui all’articolo 1 ha una dotazione annuale cosi costituita:

 

a) dal gettito dell’addizionale istituita dall’articolo 6;

b) dalle risorse destinate all’erogazione dell’indennità di accompagnamento limitatamente alla quota non utilizzata dai soggetti che abbiano esercitato l’opzione di cui all’articolo 4.

 

ART.6

 

(Addizionale per il sostegno alla non autosufficienza)

 

1. E’ istituita l’addizionale per il sostegno alla non autosufficienza sui redditi delle persone fisiche e giuridiche. L’addizionale non è deducibile ai fini di alcuna imposta, tassa o contributo.

 

2. In sede di prima attuazione, per gli anni 2003, 2004 e 2005, l’addizionale di cui al comma 1 è determinata applicando un incremento medio dell’O,75 per cento da graduare in modo differenziato in relazione ai diversi scaglioni di reddito di cui al TU. delle imposte sui redditi, approvato con il DPR n. 917 deI 1986, prevedendo altresì l’esenzione per i redditi bassi.

 

3. A decorrere dall’anno 2006, la dotazione del Fondo è determinata annualmente dalla legge finanziaria, con le modalità di cui all’articolo 11, comma 3, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni.

 

 

 

 

 

 

ART. 7

 

(Gestione contabile del Fondo)

 

1. Le Regioni possono prevedere addizionali regionali aggiuntive all’addizionale di cui all’articolo 6, nella misura massima dello 0,5 per cento, per le finalità di cui all’articolo 2.

 

2. Le Regioni possono avvalersi dell’INPS per la gestione della quota del Fondo di loro spettanza: a tal fine presso I’INPS è istituita una apposita contabilità separata per la gestione delle risorse del Fondo. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze sono determinati i compensi ed i rimborsi spettanti all’INPS per la gestione del Fondo.