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Ires-Cgil: un terzo dei capoluoghi ha già ridotto le spese sociali
Il 70% si trova al Sud, il 13,6% al Centro e all'11,4% al Nord
"Italia, il welfare è al capolinea"
Nel 2005 più imposte locali o tagli
L'alternativa, secondo lo studio, si imporrà
all'80% o al 90% delle 100 città capoluogo di provincia
di ROSARIA AMATO

La Repubblica 14 dicembre 2004

ROMA - Nel 2005 la quasi totalità dei comuni, una percentuale che va dall'80 al 90 per cento, sarà di fronte a un bivio: tagliare i servizi sociali o aumentare le imposte locali. E' la previsione dell'Ires-Cgil (istituto di ricerche economiche e sociali) che oggi ha presentato il rapporto 'Le 100 città del welfare', un'analisi sul come i comuni capoluogo di provincia (aree metropolitane escluse) hanno affrontato dal 2000 a oggi la spesa sociale, tra leggi di riorganizzazione del welfare (soprattutto la 328 del 2000) e tagli sempre più consistenti effettuati dal governo.



Nel 2000 la legge 328, elogiata dall'Ires come una normativa quadro finalmente organica, che tende a valorizzare il ruolo centrale degli enti locali nella gestione del welfare, finanziandone i progetti. Si intravvedono i primi cambiamenti positivi: soprattutto nel Centro Italia, l'Ires rileva una percentuale consistente di comuni " a cultura riformista", cioè "con un'impronta innovativa nelle strategie programmatorie". Il Nord, che ha già una sua forte tradizione di operatività nel welfare, cerca di conciliare la 'vecchia' ma solida cultura sociale con le strategie riformiste della nuova legge quadro (l'Ires parla in questo caso di culture programmatorie integrate).

Negli ultimi due anni, però, i fondi della legge 328/2000 (e non solo quelli) subiscono forti tagli: in particolare si passa da 1,53 miliardi di euro del 2003 a 1,22 miliardi del 2004.

Un terzo delle città ha già tagliato il welfare.
Così già nel 2003, per dirla con il presidente dell'Ires, Agostino Megale, "sono stati raschiati i fondi del barile". Nel 2004 una percentuale consistente delle città capoluogo di provincia (il 31,3 per cento) è stato costretto a tagliare la spesa sociale a causa dei tagli nei trasferimenti nazionali.

Resiste il 45,8 per cento, anche se mantenere inalterata la spesa sociale non è un dato interamente positivo: se da una parte indica, osserva l'Ires, "la volontà dei comuni a mantenere costanti gli investimenti nell'ambito socio-assistenziale nonostante i tagli apportati negli ultimi anni", d'altra parte "potrebbe rappresentare un ostacolo - che rischierebbe di giungere a situazioni di stagnazione - a sviluppare ed allargare le voci di spesa che puntano ad implementare gli elementi innovativi che il nuovo corso delle politiche sociali prevede".

Nel 2005 tagli per 4,6 miliardi di euro. Questa la situazione prima degli ultimi tagli ai trasferimenti agli enti locali e di quelli dell'attuale finanziaria. In totale ricorda Megale, "nonostante continui a permanere un differenziale del due per cento tra la spesa sociale italiana e quella europea, vengono effettuati tagli complessivi per 4,6 miliardi di euro". Ecco perché l'anno prossimo i comuni non potranno sfuggire all'alternativa più tasse o meno servizi. E ne soffriranno, osserva Megale, soprattutto le categorie sociali più disagiate, e cioè "le famiglie con redditi al di sotto dei 20.000 euro e i pensionati sotto i 7.000".

Senza contare che, guardando alle rilevazioni effettuate dall'Ires sugli effetti attuali dei tagli, la riduzione della spesa sociale dividerà ancora di più l'Italia. Infatti al momento i comuni che hanno tagliato la spesa sociale (che attualmente, secondo l'Ires, corrispondono al 31 per cento delle città capoluogo di provincia) si trovano nel 70,4 per cento al Sud, nel 13,6 per cento al Centro e all'11,4 per cento al Nord.

Il perché di questa suddivisione territoriale sta nei criteri di gestione, o se si vuole nella cultura del welfare delle diverse aree del Paese. L'Ires suddivide i comuni in centri "a cultura riformista", "a cultura integrata", "a cultura tradizionalista", "a cultura sanitarizzata" (si trovano soprattutto al Nord e sono caratterizzati da programmi che tendono a far coincidere l'ambito sociale con quello sanitario), e "a cultura assente". I comuni del Sud appartengono per lo più a quest'ultima categoria, e dunque il taglio dei finanziamenti governativi ha effetti devastanti.

Ma questo non significa che i tagli non abbiano danneggiato anche i sistemi di welfare dei comuni meglio organizzati: "L'influenza dei provvedimenti nazionali - spiega l'Ires - sull'andamento della spesa sembrerebbe aver avuto conseguenze negative anche nei comuni a cultura programmatoria integrata e riformista, che rispettivamente nel 35,7 per cento e nel 29,2 per cento dei casi hanno apportato dei tagli alla spesa sociale".

Gli adulti in difficoltà la categoria più sacrificata.
Quali le categorie maggiormente danneggiate finora dai tagli? Ad essere ridotte soprattutto le prestazioni monetarie nei confronti di adulti in difficoltà (53,8 per cento), anziani (38,8 per cento) e disabili (30,8 per cento). "Per quanto riguarda in particolare gli adulti in difficoltà - rileva il rapporto - questa tendenza ricade su una presenza negli assetti dei sistemi di servizi territoriali già debole".

La prospettiva, conclude amaramente il segretario confederale Cgil Bruno Passoni, intervenuto alla presentazione del rapporto, è quella di "un ritorno al vecchio modello dello scambio monetario tra elettore e amministratore per far fronte al bisogno: le prestazioni sociali si riducono a interventi di carattere monetario".

E sarà sempre più difficile rispondere alle esigenze del milione di famiglie che l'Istat indica come quelle in stato di povertà assolute, o del milione e mezzo in stato di povertà relativa: "non potrà più esserci una politica sociale", denuncia Passoni. "Fra l'altro questi sono i dati delle cento città capoluogo di provincia - conclude - se si considerano gli 8.000 e passa comuni italiani è ancora peggio, perché in quel caso la scelta è tra i servizi sociali e tenere le lampadine accese. Le città capoluogo possono comunque contare su risorse e bilanci consistenti, i piccoli comuni no".