DALLA
      questione morale alla questione nazionale. Dopo la "Cirami",
      ecco al Senato la devolution di Bossi. Anche questa, come quella, arriva
      in Assemblea per diktat di maggioranza, senza che l´istruttoria
      legislativa in commissione sia stata completata. Secondo la maledizione
      cinese, il Senato s´appresta dunque a vivere altri "giorni
      interessanti". 
      È bene chiarire subito che questa devolution leghista non ha nulla a che
      fare con il sistema costituzionale regionale, messo in piedi con il
      referendum del 7 ottobre 2001. Al contrario, è un provvedimento che si
      pone contro quel sistema e lo ferisce a morte in tre modi diversi. 
      In primo luogo, perché ostacola, nei tempi e soprattutto nella sostanza,
      l´attuazione concreta di quell´ordinamento. È già pronto, infatti, lo
      specifico progetto governativo che puntualmente esegue e completa il
      disegno regionale. Non ci sono motivi - se non di malapolitica - perché
      la devolution passi avanti e prevarichi su questo adempimento, dovuto per
      Costituzione. 
      In secondo luogo, perché la devolution sfascia nella culla il meccanismo
      stesso di ripartizione solidale delle risorse fra le regioni. La sua è,
      infatti, una procedura di auto-attribuzione di compiti da parte delle
      stesse singole regioni. E questo significa accaparramento di crediti
      fiscali (le regioni ricche diventano così più ricche di competenze e
      soldi; le regioni povere, più povere di tutto). 
      SEGUE A PAGINA 14
      Se
      la Costituzione diventa self-service delle Regioni 
       
      (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) 
      ANDREA MANZELLA 
      In terzo luogo, perché la devolution scompagina i criteri di ripartizione
      delle competenze legislative e amministrative tra Stato e Regioni nelle
      tre grandi reti nazionali: la scuola, la sanità, l´ordine pubblico. Ma
      non affaccia un minimo criterio ricostruttivo della fisionomia culturale,
      assistenziale, di sicurezza interna della Repubblica. 
      Chi ha sotto gli occhi la conflittualità tra i governi territoriali già
      così vistosa in questi giorni di Finanziaria, capisce facilmente che
      questa devolution istituzionale è una cisterna di benzina versata su un
      incendio. 
      L´esatto contrario, insomma, di quel che deve essere fatto perché uno
      "Stato regionale articolato in comuni", come il nostro, abbia il
      suo quadro unitario d´ordine. Un ordine che si fonda su due pilastri già
      individuati dalla Costituzione. Un Senato della Repubblica in cui siedano,
      come vuole lo stesso concetto di Repubblica, anche i rappresentanti di
      regioni, province, comuni: la Camera nazionale di compensazione degli
      squilibri e delle tensioni territoriali. E un meccanismo che regoli la
      ripartizione delle risorse pubbliche; tenendo conto dei "territori
      con minore capacità fiscale per abitante": il criterio di solidarietà
      per cui una nazione si fa Stato. 
      La devolution volutamente smarrisce questi due pilastri di riferimento: il
      Parlamento, la perequazione fiscale. Con la Costituzione ridotta a
      self-service delle Regioni, senza controllo di Parlamento nazionale, si
      rende impossibile il concetto stesso di Repubblica
      "indivisibile". Con la Costituzione aggirata - sul punto
      cruciale della ripartizione delle risorse secondo la duplice regola di
      "promuovere la coesione e la solidarietà sociale" e di
      "rimuovere gli squilibri economici e sociali" - si rende
      impossibile il concetto stesso di Repubblica "una". 
      L´impianto istituzionale della devolution viene a corrispondere così
      perfettamente al "principio della regionalizzazione del reddito delle
      imprese" che è già stato introdotto nella Finanziaria, alla Camera
      dei deputati, come criterio per la devolution fiscale. Significa che le
      imprese pagano le tasse dove si produce. Ha scritto il Sole24 ore:
      "Un blitz che potrebbe anticipare una devolution fiscale radicale,
      rischiando di spaccare in due l´Italia". Ha scritto il Messaggero:
      "Se si mira a trattenere l´importo del reddito prodotto nelle
      singole regioni per compensarlo con crediti vantati verso lo Stato
      centrale, siamo alla sedizione minacciata". Ha scritto il Mattino:
      "Non hanno pudore né senso della misura". 
      I toni di queste "testate" giornalistiche sono sufficienti a
      spiegare quale profonda sensibilità nazionale sono arrivate a ferire le
      manovre "leghiste" del governo. Devolution istituzionale e
      devolution fiscale "vanno in coppia", come dice giustamente il
      ministro Bossi. E insieme vanno verso la disgregazione italiana. Dal
      momento che, nei fatti attuali e concreti che hanno sempre più forza
      delle astratte promesse future, la questione del Mezzogiorno è rinnegata
      come unica vera questione sociale del paese, come la vera questione
      nazionale. 
      Vale anche la pena aggiungere che queste sono posizioni totalmente al di
      fuori della comune cultura istituzionale europea: quella che si va
      affermando nei lavori della Convenzione di Bruxelles. Dove il necessario
      affievolimento di sovranità degli Stati a favore di un ordinamento
      sovrastatuale non tocca minimamente l´unità politica degli Stati-nazione.
      Solo da noi si riesce a sposare un "sovranismo" anti-europeo con
      una devolution anti-nazionale. 
      Finora si era parlato di scorie sub-culturali che, alla fine non avrebbero
      fatto breccia nella linea conclusiva di governo. Quando però il
      presidente del Senato si appresta ad aprire una seduta che ha all´ordine
      del giorno la devolution, il discorso cambia. 
      V´è un governo che, per sue ragioni interne, con un suo progetto di
      legge anti-italiana, ammaina la bandiera dell´unità nazionale. L´impensabile
      è stato così già pensato. E minaccia di correre con i grossi numeri
      della "dittatura di maggioranza". Ma ora che la corsa è contro
      chi vuole staccare le "Italie" dall´Italia e l´Italia dall´Europa,
      forse l´opposizione non sarà più tanto sola nel riprendere in mano
      quella bandiera 
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