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Lo “spoils system” italiano è efficiente?
Daniele Checchi e Pietro Garibaldi
24-10-2002
Il cambio della dirigenza nei ministeri grazie all’applicazione dello “spoils system” è stato sin qui discusso con riferimento a problemi di legittimità giuridica e di opportunità politica. .....

 

 

Il cambio della dirigenza nei ministeri grazie all’applicazione dello "spoils system" è stato sin qui discusso con riferimento a problemi di legittimità giuridica e di opportunità politica. Un tema sin qui gravemente trascurato è quello dell’efficienza dell’ attività governativa e dell’efficienza della macchina pubblica, quest’ultima intesa come un’ organizzazione i cui lavoratori sono soggetti a problemi di incentivazione e di coordinamento.

Un livello ottimale di spoils system.
Dal punto di vista dell’efficienza di un sistema democratico, un governo legittimamente eletto deve avere il diritto di essere assistito da una apparato burocratico non ostile, e in qualche misura efficace ad implementare gli obiettivi del governo stesso. Dunque, un certo ammontare di "spoils system" è efficiente e desiderabile dal punto di vista sociale. Disastroso, dal punto di vista dell’efficienza democratica, sarebbe infatti un sistema che potesse generare un esecutivo boicottato da una burocrazia ostile (si veda Cerbo). Tuttavia un eccessivo turnover dei dirigenti pubblici può produrre importanti problemi di incentivo e coordinamento degli apparati burocratici, generando, a sua volta, disfunzioni nell’amministrazione pubblica (si veda Cassese). In altre parole, se è desiderabile un certo ammontare di "spoils system", bisogna d’altronde evitare una regola che imponga il cambiamento di tutti i dirigenti pubblici. Insomma, siamo di fronte ad un classico trade-off, la cui soluzione ottimale richiede di soppesare costi e benefici relativi delle varie opzioni.

Di qui la domanda: oggi in Italia c’è troppo o troppo poco "spoils system"? E’ stata la legge applicata in modo ragionevole? E’ difficile rispondere in maniera univoca a queste domande, ma da una prima analisi è possibile sostenere che forse si è esagerato, non solo nei numeri, ma soprattutto nel modo con cui la legge è stata applicata.

Cosa suggeriscono i dati?
Cominciamo dai numeri. L’entità del fenomeno non è trascurabile. Con le norme del 1998-99 furono esonerati dall’incarico circa il 16 per cento dei direttori generali e circa il 2 per cento dei dirigenti (1). Con le ultime norme, è cambiato circa il 40 per cento dei posti di dirigenti generali (2). Ma non solo, in molti casi si tratta di riconferme a breve termine. Prendiamo il caso emblematico del Ministero dell’ Istruzione , dell’università e della ricerca. Nel settore Istruzione sono previsti 28 posti di dirigente generale. Solo 12 di essi (pari al 40%) sono stati confermati, ma per 6 di essi la conferma è per una durata di 5 mesi(sic!). Se considerassimo un contratto a 5 mesi come una sostanziale non riconferma la percentuale dei rimossi sale al 78% (3). Una vera e propria decapitazione, tipica dei migliori take over nel settore privato. E meglio non è andata ai neo assuntidi cui due hanno ottenuto un nuovo contratto per soli 5 mesi.

Vi è stato quindi un uso accentuato della flessibilità introdotta dal passaggio alla natura privata del contratto con i dirigenti, cui consegue una più evidente precarizzazione della stessa prestazione lavorativa. Riteniamo però che la strada applicata, alla luce dei numeri sopra menzionati, ponga dei seri problemi, che possono essere ravvisati sotto due aspetti:

a) Riduzione degli incentivi all’ acquisizione di competenze istituzionali da parte della dirigenza

b) Rischio di funzionamento a singhiozzo della pubblica amministrazione.

Effetti sull’acquisizione di competenze istituzionali
L’analisi economica suggerisce l’esistenza di un conflitto tra l’incentivo individuale ad acquisire competenze relative all’organizzazione, e le prospettive di carriera. Indipendentemente da come vengono assegnate le posizioni apicali (per anzianità di servizio, o per risultati conseguiti), i lavoratori appaiono tanto più incentivati ad acquisire competenze specifiche e istituzionali quanto più percepiscono che le stesse potranno essere utilizzate in futuro. Le direzioni d’impresa nel settore privato sono ben coscienti di questo meccanismo, al punto che spesso ricorrono a sistemi indiretti per assicurarsi la permanenza in azienda dei dipendenti: tipico è il caso delle pensioni aziendali, riscuotibili solo dopo aver maturato un periodo sufficientemente lungo di anzianità aziendale. La precarizzazione del rapporto di lavoro, per quanto compensata monetariamente (4), riduce totalmente gli incentivi ad acquisire competenze idiosincratiche all’organizzazione, specialmente in un ambito quale la pubblica amministrazione, dove i costi di apprendimento sono molto elevati. E le conseguenze non si riflettono tanto sulla generazione corrente di dirigenti (cui può aver fatto relativamente comodo lo scambio precarizzazione/maggior retribuzione, visto che le competenze comunque erano state acquisite), quanto sugli incentivi futuri a far carriera all’interno della pubblica amministrazione. Qual è l’attrattiva di un percorso di carriera che assicura in 1 caso su 5 di venir scavalcato da qualcuno proveniente dall’esterno (e con buona probabilità per meriti di tipo politico e non di competenza) e in 4 casi su 5 il licenziamento al momento del raggiungimento della posizione apicale? Lungi da noi l’auspicare il ritorno all’inamovibilità dei dirigenti generali. Tuttavia, riteniamo che si debbano mantenere gli incentivi giusti per favorire una formazione di competenze all’interno delle carriere maturate nella pubblica amministrazione, per esempio ricorrendo alla formazione di liste di idonei per concorso e/o per merito e/o per anzianità.

Effetti sul funzionamento della macchina pubblica
L’altro aspetto riguarda le possibili conseguenze sul funzionamento di un organizzazione complessa, quale la pubblica amministrazione, che viene periodicamente decapitata. Nella migliore delle ipotesi questo sistema produce un decentramento sostanziale delle responsabilità decisionali: nelle more delle nomine, riconferme, nuove nomine, presa di servizio dei nuovi dirigenti, familiarizzazione con l’apparato, i dirigenti sottoposti ed i direttori di comparto dovranno assumere decisioni di non loro competenza, solo per assicurare il minimo funzionamento della macchina pubblica. Più probabilmente, la decapitazione del primo e secondo livello della macchina pubblica genererà un funzionamento a singhiozzo della pubblica amministrazione. Ad ogni rinnovo si deve attendere l’esercizio di una effettiva capacità direzionale da parte dei nuovi dirigenti; e non siamo lontani dal vero se ipotizziamo che questo richieda un lasso temporale di almeno 6 mesi, ovvero un sesto della durata contrattuale massima per i dirigenti generali (che si abbassa ad un decimo per i dirigenti ordinari). Per minimizzare il rischio del funzionamento a singhiozzo, sarebbe necessario ridurre il tempo che intercorre tra l’insediamento dell’esecutivo e l’applicazione totale dello "spoils system". Diciotto mesi appaiono decisamente troppi, tenendo conto che lo stesso esecutivo necessita di un periodo fisiologico per iniziare a operare a pieno ritmo.

In sostanza, guardando all’entità del fenomeno e al modo in cui è stato gestito dall’attuale esecutivo, riteniamo che lo "spoils system" italiano rischi seriamente di generare costi superiori ai benefici, peggiorando così il funzionamento dell’apparato pubblico, e provocando un risultato opposto a quello per cui era stato inizialmente concepito. Non si tratta di rimettere in discussione la logica attuale del sistema, che punta a risolvere un problema reale dato dalla separazione delle competenze e dalla loyalty della dirigenza, tuttavia che l’introduzione (più corretto sarebbe parlare di reintroduzione, visto che la norma preesisteva alla riforma del 2002) di una soglia minima di durata dell’incarico (diciamo di due o tre anni e di una massima corrispondente alla durata del governo) servirebbe ad attenuare gli effetti negativi che abbiamo delineato. Tale durata, infatti, potrebbe rendere accettabili i costi di apprendimento relativi alla nuova posizione da parte del dirigente neoincaricato e offrire un orizzonte di programmazione sufficiente per il dirigente riconfermato. D’altro canto, l’organizzazione della burocrazia pubblica non verrebbe rivoluzionata troppo di frequente, permettendo l’instaurarsi di routines organizzative sperimentate.

 

(1) Si veda S. Cassese,  articolo in corso di pubblicazione sul Giornale di diritto amministrativo, n.12/2002 edito dall’Ipsoa.

(2) Su 387 dirigenti generali, solo 232 sono stati confermati, pari al 59.9 per cento. I restanti sono stati affidati per metà ad esterni (21.9 %), mentre i dirigenti rimossi sono stati assegnati ad altri incarichioppure hanno avuto incarichi di studio di durata massima annuale. Fonte: Comunicato Stampa Ministero della Funzione Pubblica.

(3) I numeri aumenterebbero se considerassimo anche i 5 dirigenti del settore università, tutti riconfermati per soli 5 mesi.

(4) Vale la pena di ricordare che i dirigenti hanno ottenuto con le nuove norme un raddoppio del loro stipendio, passato da 62-72mila euro annui a 114-124mila euro per anno.

 

 

 


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