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Come funziona lo “spoils system” all’italiana
Sabino Cassese
24-10-2002
Negli anni tra la fine del XX secolo e gli inizi di quello successivo, nella storia della Costituzione italiana, caratterizzata da una grande continuità, si è prodotta una frattura .....

 

 

Negli anni tra la fine del XX secolo e gli inizi di quello successivo, nella storia della Costituzione italiana, caratterizzata da una grande continuità, si è prodotta una frattura: prima si poteva dire che, come in tutti i principali Stati, i governi passano, la burocrazia resta; in Italia, ora le parti si sono invertite, perché i governi sono diventati stabili, la burocrazia transeunte. Due norme, una del Governo di centro sinistra (1998), una del Governo di centro destra (2002) hanno, da un lato, fatto cessare i dirigenti pubblici in carica; dall’altro, stabilito che i dirigenti pubblici durano in carica per una durata inferiore a quella dei governi. Se, prima, l’alta funzione pubblica era poco sensibile alla politica e formalistica, ora essa è posta alla mercé della politica, quindi indebolita.

Il contenuto delle norme

Vediamo in estrema sintesi il contenuto delle norme. Nel 1998-1999, è stato stabilita, in primo luogo, la cessazione degli incarichi dirigenziali esistenti, che dovevano essere confermati entro novanta giorni. In secondo luogo, che i quaranta incarichi dirigenziali più alti (segretari generali dei ministeri e capi di dipartimento) potevano essere confermati, revocati, modificati o rinnovati entro novanta giorni dal voto sulla fiducia al Governo. In terzo luogo, che tutti gli incarichi dirigenziali dovevano essere conferiti a tempo determinato, per una durata non inferiore a due e non superiore a sette anni. In quarto luogo, che per il 5 per cento dei posti sia di dirigente generale, sia di dirigente, i ministri potevano nominare persone scelte dall’esterno.

Nel 2002, è stato stabilito, in primo luogo, la cessazione degli incarichi dirigenziali generali (direttori generali), che vanno attribuiti "ex novo" (alla stessa persona o ad altri), e di quelli dirigenziali non generali (capi divisione), che sono confermati se non sono attribuiti ad altra persona entro novanta giorni. In secondo luogo, che i quaranta incarichi dirigenziali più alti cessano dopo novanta giorni dal voto sulla fiducia al Governo. In terzo luogo, che tutti gli incarichi dirigenziali sono a tempo determinato, per una durata massima di tre anni per i dirigenti generali e di cinque per gli altri. In quarto luogo, che per il 10 per cento dei posti di dirigente generale e per l’8 per cento di quelli di dirigente possono essere nominati esterni all’amministrazione.

Già disposizioni precedenti (del 1992-1993) avevano stabilito una distinzione tra governo ed alta funzione pubblica, assegnando al primo l’indirizzo e il controllo e alla seconda la gestione. Si disse, quindi, che i dirigenti avevano compiti propri di cui dovevano essere responsabili; che i ministri dovevano stabilire obiettivi e direttive, poi valutare alla loro stregua la gestione fatta dai dirigenti, ed essere, quindi, liberi di dismettere i dirigenti che non avessero raggiunto gli obiettivi o rispettato le direttive. Tutto ciò, però, non spiegava né la cessazione generalizzata, né la durata determinata dell’incarico. Infatti, sarebbe bastato stabilire l’obbligo di valutazione dell’attività e la dismissione dei dirigenti per mancato raggiungimento degli obiettivi o inosservanza delle direttive. Che la spiegazione non tenesse è dimostrato dal fatto che i ministri non hanno fissato obiettivi, né dato direttive, né, infine, fatto controlli.

Quali sono i fattori che hanno provocato un cambiamento così radicale?

La spiegazione data inizialmente in sede ufficiale è la seguente: la burocrazia italiana è un mondo cristallizzato, poco mobile, scarsamente sensibile all’innovazione, interessato alla carriera e ai piccoli privilegi interni più che al rendimento. Dunque, occorre introdurre mobilità e responsabilità.

Questa spiegazione non regge: essa parte da una diagnosi giusta e propone un obiettivo anch’esso giusto. Ma il mezzo prescelto, e cioè il ricambio per nomina politica dei dirigenti e la loro precarizzazione non è l’unico strumento per raggiungere l’obiettivo, e neppure quello più efficace. Infatti, più mobilità e maggiori rendimenti si sarebbero potuti ottenere con la selezione sulla base del merito e non dell’anzianità (e, quindi, istituendo un "fast stream" per l’accesso, anche dall’esterno, dei più meritevoli al vertice amministrativo) piuttosto che "azzerando" la dirigenza e rimettendo la sostituzione a un giudizio del governo, e con un sistema imparziale di valutazione periodica, seguito dalla dismissione in caso di giudizio negativo, piuttosto che limitando dall’inizio la durata nella carica dei dirigenti.

Il vero fattore del cambiamento va cercato altrove, nei mutamenti prodottisi nel sistema politico. Negli anni ’90 del XX secolo, vi è stata una generale stabilizzazione degli esecutivi. Al centro, questa è stata prodotta dalla introduzione del metodo elettorale maggioritario. In periferia (regioni, province e comuni), la stabilizzazione è stata prodotta dalla introduzione della elezione diretta dei presidenti delle giunte regionali e provinciali e dei sindaci.

Questo rafforzamento della politica, nel senso di stabilizzazione dei partiti nei governi e della loro durata, è avvenuto in un decennio di "quarantena della politica", di privatizzazioni (che hanno fortemente diminuito il settore pubblico industriale e le amministrazioni "parallele" dominate dal patronato politico) e di affidamento di compiti prima governativi ad autorità amministrative indipendenti dal governo.

Quali le conseguenze

Le conseguenze di questi cambiamenti concomitanti si sono subito fatte sentire. La durata media dei governi, prima di un anno, è divenuta (tendenzialmente) quella della legislatura, quindi quinquennale. I partiti al governo si sono finalmente sentiti sicuri e padroni, perché hanno alle spalle una solida maggioranza parlamentare. E sono stati subito ripresi dalla "passion des places", più forte per la cura dimagrante fatta in precedenza e più difficile da soddisfare per essersi i governi degli anni ’90 spogliati di posti e di poteri, con le privatizzazioni e la istituzione di autorità indipendenti.

Dunque, il ricambio per nomina politica e la precarizzazione non rispondono ad esigenze funzionali della gestione dello Stato, bensì a esigenze interno di un corpo politico, come quello italiano, che ha sempre avuto fame di posti per sistemare propri clienti e che vuole per questa strada assicurarsi la fedeltà politica della burocrazia. E’ paradossale che quello che né il fascismo, né il lungo "regno" della Democrazia cristiana avevano fatto, sia stato, invece, fatto, in così breve tempo e con tanta coerenza, dai due governi di opposta tendenza del maggioritario.

Un’ultima osservazione riguarda le politiche legislative. Nel breve giro di quattro anni, due diverse maggioranze si sono dotate di leggi per regolare la dirigenza. Ogni governo si è fornito di poteri "ad hoc", lungo la stessa direzione, ma con accenti diversi. Questa generale "manipolabilità" di un assetto che dovrebbe essere stabile, induce a previsioni pessimistiche sul futuro, che potrebbe essere ancora peggiore, rafforzando il dominio della politica sull’amministrazione. La continuità dello Stato sarà, dunque, assicurata meno da un corpo di professionisti scelti sulla base dei loro meriti, che da una classe politica di "amateurs" selezionati secondo il criterio del successo elettorale.

(anticipazione da un articolo in corso di pubblicazione sul Giornale di diritto amministrativo, n.12/2002 edito dall’Ipsoa)

 

 

 


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