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Scacco in due mosse all ' integrità dell ' Italia
di Andrea Manzella


tratto da "la Repubblica" del 04/04/03

Breve guida alle ultime mosse di Umberto Bossi: si scrive devolution, ma si legge disgregation

Esattamente a 18 Km e 200 metri da Predappio si trova la Fiera di Forlì. Qui, il 1° marzo, come a sfidare certe pesanti memorie di centralismo autoritario, il ministro Bossi è andato ad esporre l´ultimo suo progetto di spezzettamento dell´Italia.
Si lega strettamente tale progetto alla logica della devolution (quale tuttora è davanti alla Camera, in attesa di essere affogata, com´è stato promesso, in un «mare» di correzioni «di buon senso istituzionale»). La devolution, è noto, vuole creare il self-service delle funzioni: nel senso che ogni Regione, senza chiedere il permesso a nessuno, potrebbe «attivare» (come bizzarramente si esprime la proposta) la sua competenza «esclusiva» per scuola, sanità e polizia. Il nuovo progetto - che, per brevità e analogia, potrebbe chiamarsi disgregation - vuole creare invece il self-service dei territori: nel senso che se gli abitanti di un certo territorio decidono, un bel giorno, di non stare bene dove stanno e vogliono perciò creare una nuova Regione, possono benissimo farlo. Basta che i residenti presentino una richiesta di referendum e che la maggioranza di essi approvi la proposta di secessione. Il governo sarà subito dopo obbligato a presentare un disegno di legge conforme per sottoporlo al Parlamento.
Come si vede, il meccanismo che il ministro per le riforme propone per destabilizzare istituzionalmente il Paese è perfetto. Da un lato, con la devolution, si provoca la disuguaglianza di funzioni fra una Regione e l´altra, sbaraccando le garanzie che la Costituzione prevede anche per il più avanzato regionalismo differenziato. Dall´altro, con la disgregation, si provoca una permanente provvisorietà degli assetti territoriali, anche qui polverizzando le garanzie che la Costituzione vigente prevede.
Quali sono queste garanzie costituzionali in via di estinzione? Con la devolution (nella versione non ancora buttata a mare) saltano: l´intesa preventiva con lo Stato; il mantenimento del patto di stabilità finanziaria interregionale; il coinvolgimento dei Comuni della Regione; il consenso, addirittura, del Parlamento nazionale.
Con la disgregation territoriale, salta, innanzitutto, in via generale, il criterio di individuazione delle popolazioni «interessate». Esso era finora comprensivo anche dei cittadini che dovrebbero subire il distacco (pur se residenti in aree diverse da quelle oggetto del trasferimento). Adesso, per «popolazioni interessate» si vorrebbe intendere solo i cittadini residenti nella zona che dovrebbe distaccarsi. Saltano, poi, le garanzie contenute nell´art. 132 della Costituzione: il coinvolgimento dei consigli comunali; l´iniziativa riferita ad un terzo (ridotto ora ad un decimo) delle popolazioni «interessate».
Due caratteristiche combaciano nell´uno e nell´altro disegno. In primo luogo, la dichiarazione di incapacità di rappresentanza politica nei confronti di Province e Comuni. Essi non avrebbero alcuna voce in capitolo sia per i cambiamenti di funzioni sia per quelli di territorio che pur direttamente li riguardano. In secondo luogo, la creazione di un circuito chiuso di autolegittimazione. Nel senso che, così come nella devolution chi «attiva» è automaticamente titolare di nuove funzioni; così, nella disgregation, solo le popolazioni da cui parte la richiesta di referendum sono anche quelle automaticamente abilitate a parteciparvi.
Ora basta leggersi l´art. 29 della Costituzione tedesca che, in materia di federalismo, dovrebbe far testo in Europa, per capire quanto il progetto sia erratico. In primo luogo, perché evita accuratamente di introdurre condizioni di efficienza per le Regioni da far nascere. Salvaguardia di «dimensione e capacità funzionale», «convenienza economica», «esigenze della pianificazione territoriale» sono requisiti che chiede la Costituzione della Repubblica federale di Germania. Ma anche la Costituzione italiana ha ora introdotto il principio di adeguatezza (art. 118) come necessario rapporto di equilibrio tra organizzazione e risorse disponibili e i compiti che i governi territoriali devono assolvere. Per il progetto è come se non ci fosse. In secondo luogo, perché esclude in maniera assoluta i cittadini che subiscono il distacco territoriale dal diritto di voto sul referendum. I tedeschi la pensano diversamente. Nei loro Lander votano tutti: quelli interessati al distacco e quelli controinteressati. E vi è anche, in casi estremi, una verifica delle maggioranze tra i cittadini residenti nella zona interessata al distacco e i cittadini dell´intero Land.
Per queste sue caratteristiche, la disgregation dell´on. Bossi presenta anche un tratto che ulteriormente la armonizza con certi indirizzi legislativi dell´attuale governo. Essa è una legge-provveddimento contro i giudici. Questa volta i giudici della Corte costituzionale che hanno fissato, nella specifica materia (fino alla recentissima sentenza n. 47 del 2003) la osservanza di un «principio di ragionevolezza» nella individuazione del concetto di «popolazione interessate». Principio che è l´esatto contrario della esclusione a priori di certi cittadini, sancita nella nuova riforma pensata dal ministro per le riforme.
Questo progetto è perciò, ad occhio nudo, incompatibile con la logica della Costituzione, anche se esso userà la via della revisione costituzionale. In tempo non sospetto, la Corte costituzionale ha posto precisi limiti sostanziali ai tentativi di intaccare il nucleo duro identitario della Repubblica. Ora, appunto, è qui in gioco il principio di unità repubblicana nel suo punto più delicato: l´organizzazione territoriale. Si fa avanti infatti un confuso principio di auto-determinazione, sganciato dalle «ragionevoli» condizioni poste dalla giurisprudenza costituzionale (esigenze di fatto, inclusione di tutti i cittadini interessati). Si rischia di aprire un «gran bazar» di rivendicazioni localistiche, nefasto e costoso alla luce della storia fragile e accidentata del nostro Paese. La legge finale parlamentare rischia di avere solo un ruolo di accogliente ratifica, come dimostra la lunga esperienza della proliferazione delle province.
Ma cosa può aver spinto, in questi tempi cupi, l´on. Bossi ad aggiungere disgregation a devolution, a complicare così le rotture di sistemi nazionali (scuola, sanità, pubblica sicurezza) con la spinta a referendum facili per ogni «indipendentismo» territoriale?
Si deve ritornare allora a Forlì e da Forlì alla Romagna intera. Il primo esperimento di disgregation sarebbe appunto quello di staccare, ad est, la Romagna dall´Emilia. Il secondo esperimento sarebbe quello di staccare, ad ovest, Parma e Piacenza dall´Emilia per creare, con altri pezzi di territorio, il puzzle della regione Lunezia. C´è una logica in queste alchimie. Sparirebbe infatti così la macchia rossa della «regione più rossa» nel bel mezzo dell´Italia. Anche se forse è solo una illusione che, indetto referendum, Romagna e Granducato abbandonerebbero Bologna. E ancor più forte illusione che, pur squartato in tre come il Kurdistan, l´inespugnabile bastione rosso diventerebbe espugnabile. Comunque, Vasco Errani, il bravo governatore dell´Emilia-Romagna, potrebbe chiedere intanto una risoluzione dell´Onu per garantire l´integrità territoriale della sua regione...
Certo, su queste cose si può anche scherzare. Ma il vero grottesco di questa vicenda è che sono vere. Sono già in parlamento o pronte per andarci. «La Repubblica, una e indivisibile», come dice la Costituzione, è, per ora, in queste mani. God bless Italy.