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La riforma nuovista e il collasso delle garanzie
Nell´affollarsi dei cambiamenti si stanno smarrendo gli equilibri
Il progetto della maggioranza non riconosce il ruolo dell´opposizione
ANDREA MANZELLA 

 

da Repubblica - 22 settembre 2003


Sarà anche la riforma più importante del secolo. E sarà politicamente scorretto provarne fastidio. Ma è proprio questa la sensazione per l´ennesimo rilancio di riforme istituzionali.
Fastidio per qualcosa che somiglia ad un alibi o ad un errore o ad un inganno. L´alibi della ricerca di una scappatoia all´incapacità di governare. L´errore di puntare sul movimentismo istituzionale in un sistema che invece ha finalmente bisogno di essere stabilizzato. L´inganno di mascherare, con nuovi istituti, intenti politici di forzature costituzionali.
Nasce questa complessa sensazione da una verità che chiunque può constatare. Nel decennio 1993-2003 il sistema politico italiano è cambiato sino ad essere irriconoscibile da allora. Ricordiamo appena qualcosa di quel che è già avvenuto. Il passaggio dal sistema elettorale proporzionale, imperniato sui partiti, al sistema maggioritario, imperniato sulle coalizioni.
L´elezione diretta e personale dei governi territoriali: regionali e locali.
L´indicazione sulla scheda elettorale degli aspiranti premier. La rivoluzione federalista che ha fatto delle Regioni la fonte normale delle leggi (e del Parlamento il legislatore dei soli principi e di poche materie). L´ordinamento giuridico europeo che, prima ancora di chiamarsi «costituzione» , ha già modificato le Costituzioni nazionali. La privatizzazione di un sistema di imprese a partecipazione statale che era il più vasto nel mondo occidentale.
Queste e altre sono state dunque le riforme istituzionali: che si sono susseguite tumultuose e urgenti. Un paese normale si prenderebbe una tregua per riflettere. Per adeguare quello che si è fatto al bisogno di coesione di una società sconnessa. Per costruire nuovi equilibri tra quel che è cambiato e quello che è necessità costituzionale perdurante. Sarebbe questo il momento dell´ordine e della manutenzione.
Il novismo istituzionale è contro tutto questo e perpetua oggettivamente la instabilità. O per incapacità di capire i meccanismi che ormai da anni sono stati messi in azione. Oppure per accanimento terapeutico nella ricerca di automatismi istituzionali, come pietre filosofali per il buon governo.
Il lavoro sulle istituzioni non può essere più infatti lavoro di architettura o di ingegneria. Deve essere lavoro modesto e minuto di raccordi, di assemblaggi, di giunture. La stessa parola «riforma» è meglio riservarla alle tante cose da fare in campo economico e sociale.
Ma se non ha l´ebbrezza dell´invenzione, il lavoro di rifinitura istituzionale trova però la sua grandezza nella misura in cui riporta a piena luce i vincoli e le regole degli equilibri democratici. Che sono poi i principi fondamentali, il nucleo duro della Costituzione, la linea ultima della sua difesa.
Ora, sono essenzialmente tre gli equilibri che, nell´affollarsi di riforme del decennio, sembrano affievoliti o a rischio o addirittura smarriti.
L´equilibrio tra maggioranza e opposizione. Quello tra governo e Parlamento.
Quello tra centro e autonomie della Repubblica.
Per valutare qualsiasi lavoro istituzionale bisogna dunque porsi la domanda: recupera esso, rispetta, migliora quei tre equilibri di fondo o, invece, li peggiora? Il progetto governativo, appena approvato in tutta solennità, non può perciò sfuggire a questo semplice esame. Vediamo.
Innanzi tutto, come è stata risolta la relazione di equilibrio tra maggioranza e opposizione? In un sistema bipolare maggioritario dove chi vince piglia tutto, e dove i numeri parlamentari sono ricaricati di un surplus rispetto ai numeri elettorali, è questa relazione la «questione democratica» per eccellenza. Ebbene, salvo la buona intenzione di affidare al presidente della Repubblica la nomina delle Autorità indipendenti, per il resto la garanzia è affidata ai regolamenti parlamentari. Regolamenti che sono approvati da quella stessa maggioranza che dovrebbe essere «temperata» . Non si è infatti previsto quello che il buonsenso prima che la ragionevolezza costituzionale invocavano: la elevazione del quorum necessario per adattare le regole di vita del Parlamento (e, assieme ad esso: i quorum per eleggere il presidente della Repubblica e i fondamentali presidenti-arbitri delle due Camere; e quelli per le leggi costituzionali). Né si parla dell´attribuzione alla Corte costituzionale dell´ultima parola sulle liti elettorali e sulle incompatibilità. Né della costituzionalizzazione di quella volatile prassi che assegna all´opposizione la presidenza di alcune commissioni di garanzia. Si dimenticano cose che la Bicamerale aveva già approvato nel 1997, con il consenso di tutti. Mentre si aggrava il monopolio politico televisivo, negazione della libera concorrenza tra partiti.
Manca, soprattutto, nel progetto il riconoscimento della coalizione di opposizione come elemento essenziale del dialogo democratico in un Parlamento bipolare. La recente questione delle inchieste parlamentari è stata esemplare per chiarire la necessità di questo concorso dell´opposizione. Anche lì, infatti, è emersa l´esigenza di una maggioranza più larga di approvazione. Gli abusi ultimi hanno capovolto insomma l´opinione corrente dei costituzionalisti. Non è più pensabile che l´opposizione possa promuovere inchieste da sola, come in Germania. Ma almeno deve poter partecipare alla loro creazione, come soggetto costituzionale indispensabile (ed è ad essa - antagonista istituzionale - che spetta il potere di veto, non certo ad un qualsiasi raggruppamento parlamentare...).
Il progetto tace perché in nessun momento è stato capace di cogliere lo spirito animatore di un Parlamento maggioritario. Quello che si ritrova proprio in un giusto rapporto maggioranza-opposizione, ora che la «garanzia» proporzionale non c´è più.
Com´è stata, poi, risolta la relazione d´equilibrio tra governo e Parlamento? Qui il progetto vuole introdurre in Costituzione la formidabile accelerazione che al programma di governo proviene dal voto bloccato sulle sue iniziative. E va bene. La madre di tutte le Costituzioni maggioritarie, quella francese, prevede anche questo. Ma, poi, a contrappeso, c´è in essa il potere della minoranza parlamentare di sottoporre subito all´esame dei giudici costituzionali la legge che nasce, prima dell´entrata in vigore. Come del resto avviene anche in Germania, in Spagna, in Austria. Non vi è in Europa potere assoluto di governo in Parlamento che non abbia a bilanciarlo una misura compensativa. Questo progetto è invece monocolo: vede il governo, non vede il Parlamento.
La stessa questione del potere di scioglimento delle Camere - spostato dal presidente della Repubblica al premier per consentirgli di «tenere» la sua coalizione - non può essere risolta come asettico teorema di geometria costituzionale. Nel generale collasso delle garanzie (che il progetto conferma e non si sogna di correggere) è utile cambiare titolarità e natura al potere di scioglimento delle assemblee: trasformandolo da meccanismo di garanzia in strumento di governo? Il punto di equilibrio tra Parlamento e governo, già così difficile a fissare il regime maggioritario si rafforza o si indebolisce? Sembra che anche di questo il progetto non si preoccupi affatto.
Come è stata risolta, infine, la relazione di equilibrio, nella Repubblica, tra Stato centrale e autonomie territoriali? È bene che si sia cominciato a delineare quel Senato federale preannunciato nella riforma del 2001. Ma questa stessa riforma aveva e ha urgente bisogno di aggiustamenti nel riparto delle competenze. Alcune materie sembrano già insostenibili per la sola dimensione regionale e locale. Altre sono squartate tra Stato, Regioni e Comuni in modo poco ragionevole. Il progetto non si preoccupa però di queste emergenze reali.
Esso guarda lontano: ad otto anni data. Ma la vera questione che l´assilla è quella di contrabbandare la devolution della Lega Nord senza pagare il dazio di un referendum isolato che l´affonderebbe di sicuro. Inventa perciò una competenza «esclusiva» delle Regioni (una piccola bugia: perché l´esclusività è esclusa dai vincoli che comunque la condizionano). E vi ficca dentro la famosa trilogia: organizzazione sanitaria, programmi scolastici, polizia locale.
Quella trilogia intesa da medici, da famiglie di studenti, da poliziotti e carabinieri, come l´infallibile strumento di frammentazione dei sistemi nazionali di sanità, scuola e polizia. Insomma, invece del riassetto e del riequilibrio delle competenze fra Stato e autonomie, ancora una forzatura unilaterale. L´uso congiunturale della revisione costituzionale per risolvere un problema di coabitazione con l´inquilino prepotente della coalizione.
Ora, certo, si dovrà discutere di tutto in Parlamento dove l´opposizione dovrà stabilire il confine tra le cose accettabili e l´inaccettabile. Ma forse fin d´ora si può dire che il progetto ha un vuoto d´anima che sarà difficile colmare. Gli manca infatti l´anima degli equilibri costituzionali per ricomporre ad unità repubblicana gli esiti della nostra lunga transizione.