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2 Luglio 2002
"VERSO UNA LEGGE QUADRO A SOSTEGNO DELLE RESPONSABILITA' FAMILIARI E PER IL RICONOSCIMENTO DEI LEGAMI AFFETTIVI DI COPPIA"”
Appunti di Chiara Saraceno


Appunti per il seminario “Verso una legge quadro a sostegno delle responsabilità familiari e per il riconoscimento dei legami affettivi di coppia”

Perché politiche di sostegno alle responsabilità familiari e non genericamente “alla famiglia”.
Non vi è dubbio che la famiglia coniugale sia, soprattutto in Italia, ancora il modo più diffuso e condiviso di fare famiglia, cioè di assumere responsabilità verso altri. Tuttavia, le responsabilità che così si creano hanno meno a che fare con il rapporto coniugale e più con i rapporti tra genitori: verso i figli, verso i nipoti, verso gli anziani. Si tratta di relazioni e rapporti, quindi, che vanno al di là della coppia e continuano, o dovrebbero continuare, al di là della durata della coppia. E’ proprio perché troviamo queste relazioni socialmente e umanamente preziose che parliamo di sostegno alle responsabilità familiari: per non costringerle solo entro lo stretto alveo delle relazioni coniugali. Altrimenti dovremmo paradossalmente rassegnarci, ad esempio, al fatto che una volta cessato il rapporto coniugale (il famoso matrimonio evocato come unico fondamento della famiglia, dimenticandosi, per altro, che all’articolo 30 la costituzione pone a fondamento della famiglia anche la filiazione, anche fuori dal matrimonio) uno o l’altro genitore abbandoni i propri figli. O non capiremmo quale è il senso di obbligazione che spinge ad occuparsi di un genitore, o anche di una zia o zio anziano fragile.

- sostegno per ampliare i gradi di libertà, perché la solidarietà non sia solo costrizione
In Italia ci si aspetta fin troppo che i legami familiari producano solidarietà e sostegno. Questo produce sovraccarico sulle famiglie – che spesso significa sovraccarico sulle donne – e costrizione inaccettabile alla libertà sia delle famiglie che degli individui: sia per chi fornisce aiuto che per chi lo riceve. Inoltre rafforza i meccanismi di riproduzione della disuguaglianza. Molti osservatori e studiosi hanno evidenziato come proprio l’eccessivo affidamento sulla solidarietà familiare sia una delle cause che rende la società italiana una delle società sviluppate più disuguale e più immobile dal punto di vista della stratificazione sociale. Sostenere le responsabilità familiare significa non solo facilitarne l’assunzione, ma alleggerirne il carico esclusivo, redistribuendone una parte sulla collettività. Ciò significa anche che sostegno alle responsabilità familiari e sostegno alle autonomie individuali non stanno in contraddizione, ma sono complementari.

- Elementi chiave per un equilibrio tra responsabilità familiari e autonomia individuale
a) pari opportunità tra uomini e donne. Sia gli uomini che le donne vanno pensati come persone che nel corso della vita possono avere sia responsabilità familiari, che una occupazione remunerata, che necessità di investire su di sé (formazione, socialità, ecc.). Le politiche della conciliazione non devono riguardare solo le donne (anche perché le donne sarebbero ancora una volta perdenti – non sottovalutiamo il fatto che in Italia anche nella coorte di età tra i 30 e i 39 il tasso di attività crolla all 56% rispetto al 90% delle single e all’80% delle coniugate senza figli), ma le donne e gli uomini (cfr. anche indicazione europea). La legge 53/2000 è stata un importante passo in questa direzione: perché ha coinvolto sia i padri che le madri, perché ha preso in considerazione sia la presenza di figli piccoli, sia la presenza di persone con invalidità o fragilità grave, quindi diverse necessità di conciliazione. Anche se riguarda solo il lavoro dipendente. Occorre, pensando allo statuto dei lavori, inserire in modo forte la questione della conciliazione e in particolare del lavoro di cura come questione che riguarda tutti i tipi di lavoratori. E occorre stare attenti agli effetti perversi di un eccessivo ricorso al test dei mezzi familiari per definire l'accesso ai servizi, o le tariffe, o il diritto ai benefici (molto ci sarebbe da dire su questi effetti perversi – in termini di scoraggiamento alla partecipazione al mercato del lavoro delle donne dei ceti più bassi, ma anche di negazione di diritti che pure si affermano – a proposito del meccanismo attuale degli assegni al nucleo familiare, dell’assegno al terzo figlio, anche dell’assegno di maternità per le donne “non indennizzate”).
b) Sostegno al costo dei figli. L’Italia è rimasta tra i pochissimi paesi a non avere un sostegno universalistico al costo dei figli. Occorre una radicale revisione dell’istituto dell’assegno al nucleo familiare, per trasformarlo in assegni per i figli (forse a partire dal secondo), eventualmente collegato al sistema delle detrazioni fiscali per gli stessi. In questo modo, tra l’altro, si potrebbe ovviare alla questione della incapienza. La funzione di sostegno al reddito delle famiglie di lavoratori dipendenti a reddito modesto che ha attualmente questo istituto in parte sarebbe realizzato anche dalla sua trasformazione in assegno per i figli, in parte dovrebbe essere sostituito da un altro strumento che pure è allo studio (del tipo working family tax credit).
c) Ampliamento dell’offerta di servizi alla persona, sotto la regia degli enti locali, anche se non di esclusiva responsabilità degli enti locali. L’iniziativa non solo del terzo settore, ma delle aziende, va vista con favore e incentivata (vedi di nuovo legge 53). Ma occorre tenere presente che non tutti i lavoratori sono occupati in aziende che possono organizzare questi servizi. E comunque standard e qualità – oltre che livelli di copertura – rimangono una responsabilità pubblica.
d) Sostegno alla autonomia dei giovani. Il primo sostegno è ovviamente una formazione di qualità e una buona occupazione e forme di protezione del reddito (ammortizzatori sociali) che non rimandino esclusivamente alla solidarietà familiare. Viceversa il sostegno all’acquisto dell’abitazione da parte delle giovani coppie, sposate o meno, appare non solo non urgente, ma forse controproducente. Non è saggio incentivare i giovani (e le loro famiglie) a immobilizzare i propri risparmi e ad assumere impegni economici a lungo termine nell’acquisto di una casa. Ciò facendo, infatti, se ne vincolano precocemente le risorse, ponendo ipoteche sulla loro disponibilità alla mobilità, ai cambiamenti lavorativi – persino alle dimensioni familiari. Per non parlare del fatto che è paradossale invitare i giovani ad assumere impegni economici di lungo periodo proprio quando si dice loro che non possono contare su un orizzonte temporale sicuro dal punto di vista del posto di lavoro. Meglio sarebbe investire le eventuali risorse pubbliche che si metterebbero a disposizione per questo scopo per aiutare i giovani a proseguire la formazione, a mettere su una impresa, a fare un’esperienza all’estero e così via.
e) sostegno all’autonomia e dignità degli anziani, anche quando parzialmente non autosufficienti. Occuparsi di una persona non autosufficiente, specie se anziana e se il proprio genitore (ma ci sono anche zii e zie senza figli…) può essere molto pesante, umanamente e fisicamente. Può esserlo anche per chi dipende, che può sentirsi umiliato, di peso. Occorre riconoscere queste dipendenze, ma anche alleggerirle, restituendo a ciascuno qualche grado di libertà. Tramite servizi di prossimità, alloggi protetti, servizi di sollievo, ecc. Anche qui l’ente locale può essere il regista, o il garante, non necessariamente il fornitore. E occorre pensare all’offerta di pacchetti di servizi (perché si tratta di bisogni complessi), che la persona o la famiglia può acquistare pagandoli a seconda del reddito, ma anche decidendo quanto del pacchetto necessario acquistare, a seconda del tempo/energie che è disposta a mettere essa stessa. Occorre anche introdurre finalmente una assicurazione per la non autosufficienza, che non può essere lasciata al mercato privato delle assicurazioni (che anzi cessano di assicurare le persone dopo i 75 anni e anche dopo che hanno avuto un intervento grave).

- Riconoscimento delle coppie di fatto, etero ed omosessuali
Personalmente ritengo che sia stato sbagliato non avere messo questa questione in agenda durante i governi dell’Ulivo. Anche se riguarda una minoranza di persone e di coppie tocca fondamentali questioni di libertà ed anche di rapporti tra stato e cittadini, tra stato e individui.
La Costituzione viene evocata in modo troppo spesso improprio per non riconoscere valore e rilevanza sociale alle coppie di fatto. Infatti: a) di matrimonio si parla solo in relazione alla famiglia legittima e alla filiazione legittima. Ma la stessa Costituzione all’art. 30 riconosce che ci sono rapporti familiari che non rientrano tra quelli “legittimi” che tuttavia vanno socialmente riconosciuti e protetti. Si tratta dei rapporti di filiazione e rispetto alla filiazione. b) all’art. 2 la Costituzione riconosce “i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”. E non sindaca su quali siano o debbano essere queste formazioni sociali. Se due persone decidono che la loro personalità trova nel rapporto di coppia uno dei luoghi importanti del proprio svolgimento nessuno, tanto meno lo stato, può dichiarare che non è vero, non è giusto o che i suoi effetti sociali (ad esempio per quanto riguarda le obbligazioni di reciprocità e solidarietà liberamente assunte) non esistono o non meritano riconoscimento o tutela.
Si aggiunga che oggi in Italia siamo in una situazione a dir poco paradossale dal punto di vista normativo: una coppia – etero o omo – che si dichiari convivente dal punto di vista anagrafico è trattata come famiglia a fini, ad esempio, ISE (perciò si cumula il reddito, ecc.). Viceversa non o è dal punto di vista dell’eredità, o della pensione di reversibilità.
L’introduzione di un registro delle unioni civili, tra l’altro, avrebbe anche il pregio di evitare abusi. E una normativa che regoli alcune dimensioni dei rapporti di solidarietà che si creano mettendosi in coppia – sul modello di molte leggi esistenti in Europa, da ultimo il PACS francese – consentirebbe di sistematizzare ciò che in modo frammentato la giurisprudenza e in parte il diritto penale e amministrativo hanno via via riconosciuto negli ultimi anni. Nessuno imporrà alle coppie di siglare questi patti. Ma sarà offerta loro la possibilità di dichiarare la stipula di un patto di soldiarietà e affetto senza essere, nel caso delle coppie eterosessuali, essere costretti ad un matrimonio se non si desidera questa più forte sanzione. Allo stesso tempo si aprirebbe alle coppie omosessuali, escluse, almeno al momento, in via di principio dal matrimonio, la possibilità di dichiararsi socialmente come tali – come formazione sociale in cui gli individui “svolgono la propria personalità”.

- Riformare la legge sul divorzio
Non va dimenticato che una quota delle coppie eterosessuali che vorrebbe sposarsi non può farlo perché uno o entrambi i partner è separato ed è in attesa di divorzio. La “pausa di riflessione” imposta dalla nostra legislazione si sta rivelando un meccanismo inutile e causa di ulteriori sofferenze. Occorre permettere a chi vuole divorziare di farlo senza dover aspettare i fatidici tre anni. Allo stesso tempo occorre rivedere sia i criteri per l’affidamento dei figli, favorendo il più possibile l’affidamento congiunto, pur con tutte le garanzie di salvaguardia della privatezza dei singoli e di protezione da violenze, e allo stesso tempo introducendo criteri certi e standardizzati per la definizione dell’importo dell’assegno di mantenimento dei figli. Ciò, mentre fornirebbe maggiori garanzie ai figli, ridurrebbe di molto i conflitti e i ricatti tra ex coniugi.
Anche su questi temi si era iniziato a ragionare durante i governi dell’Ulivo, anche in una commissione di cui ero responsabile. Ma non c’è stato seguito, non solo per mancanza di tempo, ma per un eccesso di prudenza.

- Chi è davvero statalista?
E’ per lo meno strano che i più strenui difensori di una definizione puramente e univocamente legale di famiglia – che si richiamano ad ogni piè sospinto all’art. 29 della Costituzione – siano proprio coloro che di molti altri articoli della Costituzione hanno invece una concezione molto più… evolutiva, se non francamente marginali; si pensi ad esempio alla questione del finanziamento alla scuola privata, che si fa bellamente un baffo del dettato costituzionale “senza oneri per lo stato” (e la Sinistra e l’Ulivo hanno le loro responsabilità). Sono anche coloro che continuamente vedono le libertà personali, i valori, i “mondi vitali” minacciati dalla intrusione dello Stato, visto – spesso impropriamente - come portatore di una ideologia da pensiero unico. E invece, nel caso della famiglia si aggrappano ad una definizione legale per negare valore proprio alla capacità delle persone di decidere e far valere il proprio modo di dare senso alle relazioni, l’autenticità dei propri mondi vitali. Chi è statalista radicale in questo caso?
Un’autentica posizione rispettosa della libertà e della capacità degli individui di costruire mondi di senso deve offrire gli strumenti perché possano trovare riconoscimento, senza imporgli l’aut aut tra l’adesione ad un modello unico e la privazione di senso. Troppo comodo rivendicare la libertà di educare i propri figli come si vuole, nei valori che si desiderano (per altro con un qualche sprezzo della libertà dei figli, che ci si rifiuta di esporre ad una pluralità di posizioni e alla possibilità di confronti non escludenti) e viceversa rifiutare ad individui adulti la libertà di scegliere tra modalità diverse, ma tutte dotate di senso e riconoscimento sociale, di proporsi come coppia. Chi sostiene queste posizioni non ha a cuore la libertà degli individui, ma solo quella di chi è in posizione di autorità.