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Aggiornamenti sociali n. 11 Novembre 2002

ONLUS

Enrico Sarti, Avvocato in Firenze
Marco Seracini, Dottore Commercialista in Firenze

 

L’acronimo onlus contraddistingue le Organizzazioni Non Lucrative di Utilità Sociale. La figura e la regolamentazione di queste organizzazioni sono state introdotte nel nostro ordinamento con il Decreto Legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, ovvero con un provvedimento di natura e finalità esclusivamente fiscali, costruito in modo tale da identificare soggetti che, svolgendo attività meritevoli di tutela, possano usufruire di un trattamento fiscale agevolato.

In realtà il concetto di onlus è stato da subito utilizzato anche in campi diversi da quello tributario, come ad esempio quelli civilistico e sociale, quasi a colmare una lacuna rappresentata da una disciplina complessiva ormai obsoleta rispetto al rilievo sociale ed economico assunto dagli enti non lucrativi nel nostro Paese.

Le onlus sono una sottocategoria speciale di enti non commerciali in possesso di requisiti meritori indicati dall’art. 10 del decreto citato. Il titolo di onlus è così subordinato alla presenza di alcuni presupposti sia soggettivi che oggettivi.

 

I presupposti soggettivi

In primo luogo il decreto individua i soggetti interessati al provvedimento, distinguendo quelli che hanno la facoltà di essere onlus, quelli che lo sono ope legis e quelli che in nessun caso possono qualificarsi come tali. In merito alla natura giuridica delle organizzazioni, la normativa sancisce che possono essere onlus le associazioni, i comitati, le fondazioni, le società cooperative e gli altri enti di carattere privato, con o senza personalità giuridica, i cui statuti o atti costitutivi, redatti nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata, prevedano espressamente alcune clausole che ne individuano il carattere meritorio delle agevolazioni fiscali.   L’art. 10, comma 8, prevede l’automatica acquisizione della qualifica di onlus per le organizzazioni di volontariato iscritte al registro regionale, le cooperative sociali e le Organizzazioni non governative, mentre non possono in ogni caso essere onlus gli enti pubblici, le società commerciali diverse dalle cooperative, le fondazioni bancarie, i partiti politici, le organizzazioni sindacali, le associazioni dei datori di lavoro e le associazioni di categoria.

 

L’aspetto oggettivo

L’ambito oggettivo del provvedimento si riferisce invece alle attività che gli enti sopra descritti debbono svolgere per poter beneficiare della normativa in esame. Per acquisire la qualifica di onlus occorre innanzi tutto perseguire finalità di solidarietà sociale o finalità inerenti a quelle di solidarietà sociale. Le finalità di solidarietà sociale si intendono perseguite quando l’attività è rivolta ad apportare benefici a persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, sociali, economiche o familiari, oppure a componenti di collettività estere relativamente agli aiuti umanitari. Le finalità di solidarietà sociale si intendono sempre perseguite per le organizzazioni che svolgono attività nei seguenti settori:

­– assistenza sociale e socio-sanitaria;

– beneficenza;

– tutela, promozione e valorizzazione delle cose d’interesse artistico e storico di cui alla Legge 1 giugno 1939, n. 1089, ivi comprese le biblioteche e i beni di cui al dpr 30 settembre 1963, n. 1409;

– tutela e valorizzazione della natura e dell’ambiente, con esclusione dell’attività, esercitata abitualmente, di raccolta e riciclaggio dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi di cui all’art. 7 del Decreto Legislativo 5 febbraio 1997, n. 22;

– ricerca scientifica di particolare interesse sociale svolta direttamente da fondazioni, ovvero da esse affidata ad università, enti di ricerca e altre fondazioni che la svolgono direttamente, in ambiti e secondo modalità da definire con apposito regolamento governativo ai sensi dell’art. 17 della Legge 23 agosto 1988, n. 400.

La necessità di evitare utilizzi distorti della qualifica di onlus ha reso necessarie ulteriori limitazioni. Le attività svolte in alcuni settori — assistenza sanitaria, istruzione, formazione, sport dilettantistico, promozione della cultura e dell’arte, tutela dei diritti civili — sono considerate di utilità sociale solo all’ulteriore condizione che le prestazioni siano rese a soggetti in situazioni di svantaggio fisico, psichico, economico o sociale.

Il complesso intreccio di attività sopra descritto non concerne le cooperative sociali, le organizzazioni di volontariato e le Organizzazioni non governative, le quali sono onlus di diritto indipendentemente dall’attività effettivamente svolta e dai destinatari.

 

Gli Enti ecclesiastici

Un discorso a parte meritano gli Enti ecclesiastici delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese. L’Ente ecclesiastico nel suo complesso non può essere considerato  né può costituirsi in onlus in quanto ciò comporterebbe l’assoggettamento dell’intero Ente a una legge dello Stato italiano, violando le norme costituzionali,  concordatarie o pattizie in materia di indipendenza e sovranità di ciascuna confessione per quanto concerne le proprie attività di religione e di culto.

Soltanto le attività diverse da quelle di religione e di culto eventualmente svolte dagli Enti ecclesiastici possono essere disciplinate, nel rispetto della struttura e delle finalità di tali Enti, dalla normativa italiana. Per questo la legge stabilisce che gli Enti ecclesiastici possono essere considerati onlus limitatamente all’esercizio delle attività svolte all’interno dei settori caratterizzanti l’utilità sociale 

 

Vincoli statutari

Oltre ai vincoli descritti precedentemente, gli statuti delle onlus devono obbligatoriamente prevedere le seguenti clausole, indicate nell’art. 10, comma 1, del decreto istitutivo:

– il divieto di svolgere attività diverse da quelle sopra menzionate, a eccezione di quelle ad esse direttamente connesse. Rimandando l’approfondimento a una letteratura specifica, si intendono per «connesse» attività previste statutariamente e — fatta esclusione dei settori per i quali le finalità di solidarietà sociale si considerano intrinseche — dirette ad arrecare benefici a persone non svantaggiate. Le attività connesse non devono essere prevalenti rispetto a quelle di identica natura, ma con destinatari svantaggiati, definite «istituzionali». La prevalenza non deve manifestarsi nell’ambito del settore di attività e neppure nell’ambito temporale dell’esercizio annuale. La ratio di questa norma è volta a consentire alle onlus di svolgere attività a supporto di quelle istituzionali senza assumere un carattere troppo marcatamente commerciale e, quindi — rispettivamente nei casi di buona e cattiva fede —, di non distogliere l’attenzione dai veri bisognosi o di non promuovere operazioni elusive e di turbativa del mercato;

– il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili e avanzi di gestione, nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’organizzazione, a meno che la destinazione o la distribuzione non siano imposte per legge o effettuate a favore di altre onlus che, per legge, statuto o regolamento, fanno parte della medesima ed unitaria struttura;

– l’obbligo di impiegare gli utili o gli avanzi di gestione per la realizzazione delle attività istituzionali e di quelle ad esse direttamente connesse;

– l’obbligo di devolvere il patrimonio dell’organizzazione, in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale;

– l’obbligo di redigere il bilancio o rendiconto annuale;

– la disciplina uniforme del rapporto e delle modalità associative, volta a garantire l’effettività del rapporto medesimo, escludendo espressamente la temporaneità della partecipazione alla vita associativa e prevedendo per gli associati o partecipanti maggiorenni il diritto di voto per l’approvazione e le modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi dell’associazione;

– l’uso, nella denominazione e in qualsivoglia segno distintivo o comunicazione rivolta al pubblico, della locuzione «Organizzazione non lucrativa di utilità sociale» o dell’acronimo «onlus».

Le clausole sopra descritte non sono tuttavia obbligatorie per le onlus di diritto. Analogamente, alcuni vincoli statutari non si applicano agli Enti ecclesiastici riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili. Si tratta, in particolare, della disciplina del rapporto associativo secondo determinati criteri, della previsione dell’eleggibilità libera degli organi amministrativi, del principio del voto singolo, della sovranità dell’assemblea e delle modalità di funzionamento della stessa.

 

Agevolazioni fiscali

A fronte dei requisiti richiesti per assumere la qualifica di onlus viene attribuito un regime fiscale agevolato sotto molteplici aspetti. Con questo lo Stato riconosce l’importanza della funzione sociale svolta da queste organizzazioni e concede benefici in cambio di trasparenza. Si tratta in particolare dell’applicazione di un regime agevolato per le imposte sui redditi, per l’imposta sul valore aggiunto, per le imposte indirette (bollo e registro, spettacoli, ecc.) e per la deducibilità fiscale delle erogazioni liberali disposte a favore di tali enti. Questa rivisitazione del regime fiscale degli enti di utilità sociale non ha peraltro comportato l’abrogazione delle previsioni di miglior favore contenute nelle precedenti discipline delle organizzazioni di volontariato, delle cooperative e delle Organizzazioni non governative. Questo fatto ha però ridotto il potenziale grado di innovazione che il decreto onlus poteva portare al nostro ordinamento, lasciando la normativa del Terzo Settore ancora caratterizzata dalla disomogeneità di trattamento delle diverse forme che assume il non-profit.

 

Problemi ancora aperti

Sotto il profilo tecnico il corpus normativo relativo al Terzo Settore in generale, e alle onlus in particolare, resta tutt’altro che omogeneo e completo. 

La normativa tributaria presenta infatti lacune e problemi che le interpretazioni ministeriali non sempre riescono a colmare e che, anzi, in certi casi, contribuiscono ad aumentare con posizioni che addirittura confliggono con la stessa lettera della norma. Questa inadeguatezza è d’altro canto ampiamente comprensibile, se si tiene presente l’estrema eterogeneità della galassia del non-profit. In tale ottica, questo primo tentativo del legislatore di razionalizzare, almeno sotto il profilo tributario, il Terzo Settore, deve essere senz’altro apprezzato.

La normativa civilistica, poi, appare ancora più arretrata, disciplinando le singole tipologie di enti senza una minima visione d’insieme. L’esigenza di un adeguamento del Codice Civile al ruolo e al rilievo sociale attualmente rivestiti dalle organizzazioni non-profit appare quindi improcrastinabile.

Un’ultima osservazione riguarda la rappresentatività e il coordinamento delle onlus. Come si è potuto osservare, numerose sono le tipologie di enti che possono fregiarsi di questa qualifica. Molti di questi — associazioni di volontariato, cooperative, fondazioni — sono già inseriti in reti che permettono sinergie, interazioni e rappresentanze comuni.  Mancano invece strutture analoghe per molti enti — comitati, rami-onlus di Enti ecclesiastici, altre associazioni — che potrebbero trarre grande utilità da una rete capace di favorire, oltre allo scambio di esperienze e di collaborazioni, anche la ricerca di istanze comuni da portare all’attenzione degli organi competenti, al fine di un auspicabile ulteriore potenziamento delle strutture non-profit all’interno della nostra società.