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Hiv in aumento
Aids, torna la paura
Dal 1995, 20 per cento di sieropositivi in più in Europa. È allarme anche in Italia. Colpa della nuova prostituzione. Di rapporti sempre più promiscui. E non protetti

di Daniela Minerva, 2002

 

 

Poche righe, su una delle più autorevoli riviste mediche, il "British Medical Journal". Un piccolo grafico, con una curva da fare paura. Indica il numero dei nuovi sieropositivi registrati in alcuni paesi europei, Francia, Olanda, Svezia, Svizzera e Gran Bretagna: cresciuti del 20 per cento negli ultimi cinque anni. Il "British" è compassato, come di consueto, e annuncia stringatamente ciò che molti addetti ai lavori temevano: il ritorno dell'Aids sulla scena europea.

Quanti, negli anni scorsi, prevedevano sciagure anche per i paesi ricchi, erano visti come uccelli del malaugurio dal momento che le campagne di prevenzione avevano arrestato il propagarsi del virus, e i potenti farmaci antivirali salvavano la vita ai malati. I virus non conoscono confini, ammonivano gli esperti, e l'enorme numero di malati e sieropositivi in Africa (28 milioni di malati), Asia (7 milioni senza contare il disastro cinese su cui non si hanno dati certi) e America Latina (quasi due milioni) non tarderà a riportare Hiv anche in Europa.

Studiosi come Stefano Vella, presidente dell'International Aids Society, ha perso la voce per ammonire in ogni occasione che bisognava curare i poveri del mondo perché l'Aids non si ferma al confine. E questo è il messaggio che verrà lanciato con forza nella sei giorni della Hiv Conferenza Internazionale sull'Aids, prevista da 6 al 12 luglio, proprio in Europa, a Barcellona.

Cassandre? Mica tanto, a giudicare dal grafico che compare sul "British Medical Journal": tra il 1995 e il 2000 le autorità sanitarie di diversi paesi europei hanno registrato un aumento del 20 per cento delle infezioni da Hiv, principalmente di quelle causate da rapporti tra eterosessuali, mentre calano (leggermente) quelle dovute a rapporti omosessuali.

«Il trend registrato dal Bmj per alcuni paesi del nord europeo è rintracciabile anche in Italia e in Spagna», commenta Giovanni Rezza, direttore del Centro Operativo Aids dell'Istituto Superiore di Sanità: «Nel nostro paese, su circa 4 mila nuove infezioni stimate ogni anno, almeno l'80 per cento avviene per via sessuale. I colpiti sono uomini tra i 40 e i 60 anni che segnalano come unico elemento di rischio il fatto di avere avuto rapporti con una prostituta». Anche lo studio Icona (Italian cohort of naive antiretroviral patients, un gruppo di circa 5 mila sieropositivi seguiti su tutto il territorio nazionale da 67 centri clinici coordinati da sei università) conferma le caratteristiche della nuova ondata di epidemia in Italia. «Dai dati Icona emerge che Hiv colpisce soprattutto due diverse fasce d'età», spiega Mauro Moroni, infettivologo dell'ospedale Sacco di Milano e coordinatore dello studio: «Ci sono i giovanissimi, i frequentatori delle discoteche alle prime esperienze sessuali che vivono nella presunzione di essere inattaccabili, anche perché non sono più bombardati da informazioni sulla prevenzione come era accaduto negli anni scorsi. Sono ragazzi convinti che ormai il problema Aids non esista più, risolto: l'epidemia ha fatto il suo tempo, ma ora tutto è cambiato, ci sono i farmaci e le persone infette vivono a lungo».

Il risultato di questo atteggiamento sono 10-15 nuove persone che si infettano ogni giorno in Italia, fa sapere Moroni, che aggiunge: «Tra questi 10-15 nuovi casi al giorno non ci sono solo i giovani, ma persone più mature: quaranta-sessantenni, uomini e donne sposati, contagiati da rapporti sessuali extraconiugali. Gli uomini si infettano prevalentemente attraverso rapporti non protetti con partner occasionali, spesso prostitute; mentre le donne contraggono il virus prevalentemente dal partner fisso. Queste vittime ignare rappresentano almeno il 40 per cento dei casi di Aids in Italia».

Il calo di attenzione per il problema Aids, ritenuto da molti un problema lontano che riguarda solo i poveri del mondo, ha portato dunque a un aumento delle infezioni tra i giovani e i giovanissimi che contraggono la malattia tramite rapporti casuali non protetti, e tra la gente di mezza età, uomini clienti di prostitute e le loro mogli ignare. Due gruppi eterogenei che sembrano avere, sul piano dei mezzi di contagio, pochi punti di contatto. Due flussi epidemici che percorrono contemporaneamente l'Europa: da un lato lungo la via più ovvia, quella che porta sulle nostre strade prostitute da ogni angolo della Terra, in particolare dai paesi dove Hiv colpisce più duro (Nigeria, Caraibi, Russia, Ucraina); dall'altro lato attraverso la nuova promiscuità tra venti e trentenni dei due sessi, non diversa da quella sperimentata negli anni Settanta e Ottanta, quando Hiv era sconosciuto e nessuno prendeva precauzioni. A rinforzare quest'idea della nuova promiscuità arrivano anche i dati sull'aumento delle malattie sessualmente trasmesse tra i giovani colpiti da clamydia in Italia e in Svezia, sifilide in Francia e Gran Bretagna, gonorrea in Olanda. Tutte malattie che registrano tassi di infezione inediti, tra il 30 e il 50 per cento in più rispetto al decennio scorso e che sembrano confermare i sondaggi inglesi su quanto poco i giovani siano sensibili alla prevenzione: uno studio della City University of London racconta che il 45 per cento dei ragazzi e il 49 per cento delle ragazze ha rapporti con partner diversi dal fidanzatino ufficiale, e lo fa senza prendere precauzioni, mentre circa la metà degli adolescenti non ha mai sentito parlare di Hiv.

Eppure l'Hiv è alle porte. Ed entra con una facilità straordinaria. Un'équipe di ricercatori dell'Imperial College di Londra presenterà alla conferenza di Barcellona uno studio in cui si mostra chiaramente come il disastro che sta colpendo la Russia, dove ci sono oggi 130 mila malati e dove nel giro di cinque anni una persona su 20 porterà addosso Hiv, ha un impatto fortissimo sui paesi della comunità europea. «Sappiamo bene che Hiv si diffonde lungo le strade percorse dai camion e dalle prostitute», commenta Nick Grassley, che ha condotto lo studio: «Non abbiamo le cifre esatte, ma sappiamo che il declino economico dell'Europa orientale fa sì che molti lavoratori del sesso prendano la via dell'occidente». Lo studio dell'Imperial College mette il dito sulla piaga: sono le prostitute straniere, oggi, i nuovi untori inconsapevoli. Diffondono all'interno dei nostri confini le piaghe dei paesi d'origine, spinte dalla povertà, spesso vittime del racket, totalmente subalterne, si portano dentro la peste che noi pensavamo di avere sconfitto per sempre con la forza della nostra civiltà: l'intelligenza della prevenzione e la potenza dei farmaci.

Così basta dare un'occhiata ai paesi dove maggiore è il flusso di prostitute straniere per vedere la coincidenza con quelli dove avanza l'infezione. In Finlandia e in Svezia dove arrivano migliaia di ragazze dalle regioni dell'ex Unione Sovietica, bacino in cui vivono un milione di sieropositivi; l'Olanda che è un vero e proprio centro di smistamento dove arrivano prostitute da 45 paesi diversi, e dove il 90 per cento della forza lavoro nel mercato del sesso è mobile; in Francia, punto di approdo di ragazze dall'Est europeo e dove, nella sola Parigi, lavorano cittadine di 40 diversi paesi. Anche in Italia, aggiunge Mauro Moroni basandosi sui dati dello studio Icona, «un ruolo importante nella diffusione del virus ce l'hanno le prostitute straniere, soprattutto quelle che vengono dall'Africa. A differenza invece delle ragazze che arrivano dai paesi dell'Est che abitualmente giungono nel nostro paese molto giovani, non ancora infette, e solo qui vengono avviate alla prostituzione. E poi si ammalano. Anche perché la maggior parte dei clienti non vuole ricorrere al preservativo, e queste donne non hanno alcun potere contrattuale per imporlo».

A conclusioni simili è giunto anche Camillo Smacchia dell'Unità sanitaria locale di Verona Villafranca, che da sei anni cura le ragazze al lavoro sulla Statale 11: offre loro assistenza gratuita e fornisce informazioni sulle malattie sessualmente trasmissibili come sulla contraccezione. Smacchia riporta che tra le "sue" ragazze il virus dell'Hiv è diffuso (con una prevalenza del 7-8 per cento) tra quelle di colore mentre, fino ad oggi, tra quelle dell'Est europeo non è stato riscontrato alcun caso di sieropositività.

Gli esperti, tuttavia, mettono in guardia dalle generalizzazioni: se è vero che Hiv non conosce confini, è anche vero che ogni paese povero ha una sua fisionomia sanitaria. Così, oggi è molto evidente in Europa l'impatto delle prostitute africane (dove Hiv da ormai oltre dieci anni colpisce milioni di persone e ha fatto in tempo a diffondersi a macchia d'olio) e dei transessuali sudamericani (solo a Roma, raccontano al Centro Operativo Aids, la metà di questi lavoratori della strada porta addosso Hiv), mentre non si sentono, almeno in Italia, gli effetti dell'epidemia dell'Europa orientale. Non si avvertono ancora, sarebbe meglio dire, perché nell'ex blocco sovietico l'Aids è giovane: è esploso negli ultimi tre anni e, affermano gli epidemiologi, si espanderà a macchia d'olio nel corso del prossimo decennio, causando un'ecatombe non diversa da quella africana.

Anche chi volesse continuare a bollare gli epidemiologi come Cassandre e a sperare che in un qualche modo l'onda si arresti, non può chiudere gli occhi di fronte ai dati: l'aumento delle infezioni in Europa, a occidente come a oriente, l'abbassamento della guardia e l'abbandono delle pratiche di prevenzione da parte di giovani e meno giovani. Anche gli italiani si sono talmente dimenticati del rischio Hiv, racconta Giovanni Rezza del Coa, «che il 62 per cento dei malati che arrivano nei nostri ospedali non sa di avere contratto il virus. Lamentano già i sintomi dell'Aids senza avere idea di essere stati contagiati».

Arrivare in ospedale con il virus dell'Aids conclamato significa mettere una seria ipoteca sulla possibilità di sopravvivere. Per questo sono scesi in campo anche i Medici di famiglia (in 30 città italiane la Federazione si terrà corsi di formazione che coinvolgeranno oltre mille medici di base). «Sono gli unici che, per la familiarità e la conoscenza dei propri assistiti, sono in grado di percepire le situazioni di rischio e convincerli a fare il test», spiega Giampiero Carosi, membro della Commissione nazionale Aids. L'obiettivo è quello di far emergere il sommerso che è praticamente la metà dei circa 110 mila sieropositivi italiani, che ancora ignora di essere infetta. E di dirigerli ai centri per le cure.

Perché di Aids, oggi, alle nostre latitudini, si sopravvive: ci sono i farmaci, i test, le strutture. Diverso è nei paesi poveri. Ma la nuova ondata di epidemia in Europa ci ricorda che i poveri non possono essere lasciati soli, e riporta in primo piano il grido di allarme delle Cassandre: attenti, Hiv non conosce confini.

ha collaborato Riccardo Tomassetti