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Aids, contagio «consapevole»

il manifesto - 03 Luglio 2002


Uno studio rivela: quattro donne sieropositive su dieci hanno contratto il virus dopo aver avuto un rapporto con un uomo che sapevano affetto da Hiv, mentre tra gli eterosessuali aumentano i casi di malattia in seguito a rapporti non protetti. Sono alcuni dei temi di cui dal 7 luglio si parlerà nella XIV conferenza sull'Aids di Barcellona
GIANNI ROSSI BARILLI
Quattro donne sieropositive su dieci hanno contratto il virus Hiv consapevolmente. Dal proprio partner abituale (36%) oppure anche da un compagno occasionale che non aveva nascosto loro di essere sieropositivo (3,1%). Questo inquietante dato emerge da uno studio Icona presentato ieri all'istituto Spallanzani di Roma e condotto su un campione di 5.014 persone sieropositive contattate in 67 centri di tutta Italia. La ricerca evidenzia che i rapporti eterosessuali non protetti sono oggi la principale causa di trasmissione del virus Hiv anche nel nostro paese, dove si registrano circa 4.500 nuove infezioni l'anno, e che il livello di attenzione nei confronti dell'Aids è pericolosamente basso. Il sieropositivo-tipo, secondo lo studio Icona, è un maschio eterosessuale quarantenne istruito e socialmente integrato, che spesso passa il virus alla propria partner. Parecchie mogli e fidanzate, stando ai dati, scelgono coscientemente di rischiare l'infezione, con una sottovalutazione del problema che sconcerta e che non ha riscontro negli uomini, solo il 16% dei quali ha fatto sesso non protetto con una partner dichiaratamente sieropositiva.

Il diffondersi dell'Hiv tra le coppie "normali" sarebbe anche responsabile dell'aumento del numero di persone che non sanno di essere infette (si stima che siano almeno 50 mila in Italia) perché non hanno fatto il test. L'anno scorso il 60% dei casi di sieropositività registrati riguardava persone arrivate ai controlli sanitari in Aids conclamata. Servono quindi campagne di prevenzione più efficaci.

Che bisogna fare di più è il messaggio che arriverà anche dalla XIV conferenza internazionale sull'Aids in programma a Barcellona dal 7 al 12 luglio, dove si farà il punto sulla lotta contro una malattia che colpisce 40 milioni di persone nel mondo, di cui 28 milioni e mezzo nell'Africa subsahariana. In vista dell'incontro, l'ultimo rapporto Unaids (l'organismo delle Nazioni unite che si occupa di Hiv/Aids) pone proprio l'accento sul «fare» come unica alternativa alla «devastazione senza precedenti» che l'Hiv potrà causare «se lasciato al proprio corso naturale».

In Africa, dice il rapporto, l'epidemia non si è ancora stabilizzata «su qualche limite naturale», mentre in Asia e nell'Europa del'Est la miopia degli anni passati ha condotto a forti incrementi del numero di infezioni e fa temere catastrofi.

Le cure, di norma, restano meno accessibili dove sarebbero più necessarie, mentre nei paesi ricchi (nei quali la disponibilità di farmaci antiretrovirali non è di solito un problema) si ipotizza una nuova emergenza: l'esistenza delle terapie incoraggerebbe a pensare (sbagliando) che l'Aids sia ormai guaribile e ad abbandonare il sesso sicuro. Una spia di questo fenomeno è la recrudescenza molto significativa di malattie a trasmissione sessuale come sifilide e gonorrea, acompagnata anche da un aumento meno pronunciato dell'incidenza dell'Hiv, tra i gay di tutto l'occidente.

Nei paesi ricchi, tra l'altro, non tutti sono davvero ricchi o privilegiati, e nelle fasce di maggiore disagio sociale è più difficile anche combattere l'Aids. Si occupa di un aspetto della questione uno studio europeo, presentato ieri in Italia da Lila-Cedius e dal dipartimento di pediatria dell'università di Padova, sulle strategie per prevenire la trasmissione materno fetale dell'Hiv tra la popolazione immigrata. Il progetto ha interessato cinque paesi europei e ha coinvolto donne di diversa provenienza etnica e culturale, mettendo in evidenza la difficoltà di accedere ai servizi sanitari e la scarsa informazione delle donne immigrate su Hiv e Aids. Correndo ai ripari, si potrebbe fare in modo che quasi tutti i bambini nati da madri sieropositive non ereditino il virus.

Educazione e informazione adeguata rappresentano anche l'arma principale per aiutare i giovani a non infettarsi e uno dei punti cruciali su cui concentrarsi a livello planetario. Lo sostiene un altro recentissimo rapporto, realizzato dall'Unicef in collaborazione con Unaids e Oms, che lancia l'allarme sui tassi di crescita dell'Hiv nella fascia tra i 15 e i 24 anni (6.000 nuovi casi al giorno nel mondo) e dimostra, dati alla mano, che impegnarsi serve. Una recente campagna del governo thailandese sull'uso del preservativo, per esempio, ha fatto scendere l'incidenza dell'Hiv tra i giovani maschi dall'8 al 3%.