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Roberto Cotroneo
 
Roberto Cotroneo parla degli scacchi
“Costruire un romanzo molto spesso è come giocare una partita a scacchi. Essi diventano metafora della costruzione narrativa e proprio per questo affascinano gli scrittori”.
di Donatella La Viola

Nel 2002 Roberto Cotroneo scrive il suo quarto romanzo, Per un attimo immenso ho dimenticato il mio nome, un intreccio di ricordi raccontati da Luis, un uomo che ha lasciato il suo paese e il suo passato per poi riscoprirlo attraverso Donald Byrne, un misterioso scacchista imbarcato su una nave. Gli scacchi allora diventano il mezzo attraverso il quale i due parlano della loro vita, rievocandone storie, personaggi ed emozioni.

D: Da sempre gli scacchi hanno interessato gli scrittori e i poeti, che spesso da questo gioco hanno preso spunto per le loro opere. Si pensi ad Arrigo Boito, a Lewis Carrol, a Paolo Maurensig, a Vladimir Nabokov. Perché, secondo te?

R: Ci sono due aspetti fondamentali. Il primo, più generale, è il fatto che gli scacchi sono un gioco antichissimo, popolarissimo soprattutto in certe culture, come quelle slave, ad esempio. E come tanti altri aspetti che fanno parte della cultura, inevitabilmente anche gli scacchi ogni tanto entrano nella letteratura. Poi c’è un aspetto particolare: gli scacchi sono un gioco di simulazione, un gioco di strategia, di intrecci, di pezzi che si compensano uno con l’altro. Costruire un romanzo molto spesso è come in qualche modo mettere a punto una partita di scacchi. A volte gli scacchi diventano la metafora della costruzione narrativa e quindi possono affascinare gli scrittori che li utilizzano come se fossero uno specchio nella stanza dove hanno costruito il loro romanzo.

D: Nel tuo romanzo “Per un attimo immenso ho dimenticato il mio nome”, tu parli di un paese, Tempestad, dove tutti giocano a scacchi. Luis, il protagonista e narratore della storia, racconta: “Tutta la città giocava a scacchi. E lo faceva per le strade. Per me quello era l’orologio della mia infanzia. Loro immobili, il fumo che saliva al cielo e i pezzi degli scacchi che si muovevano precisi. Ma a Tempestad nessuno vinceva e nessuno perdeva”. Perché?

R: Per un attimo immenso ho dimenticato il mio nome ha una costruzione narrativa particolare che si rifà a quella sorta di realismo magico sudamericano a cui mi sono ispirato. Naturalmente è quasi impossibile pattare tutte le partite di scacchi, ma c’è un vecchio detto che dice che la partita a scacchi perfetta è quella che si pareggia. Perfetta perché entrambi i giocatori giocano in un modo tale che nessuno può vincere e nessuno può perdere. Mi piaceva l’idea che in quella sorta di equilibrio in cui si trovava Tempestad, i giocatori fossero così bravi, così attenti e soprattutto così arguti da riuscire a pareggiare tutte le partite. C’è un secondo aspetto, però, che spiega questa mia scelta: volevo dare la sensazione che Tempestad fosse un luogo dove nessuno voleva prevaricare l’altro. Infondo gli scacchi sono un gioco di guerra, è metaforicamente un gioco molto violento il cui scopo è conquistare il re avversario, eliminando i pezzi altrui, mandando i pedoni allo sbando. L’idea che invece questo gioco di guerra fosse in qualche modo annullato, ammorbidito, riequilibrato attraverso una volontà non di prevaricare l’avversario né di vincerlo ma di pareggiarlo mi piaceva.

D: Sulla nave Scirocco, Lui incontra un uomo, Donald Byrne, un misterioso scacchista che gli farà capire che le partite a scacchi non sono degli episodi ma una storia. In che senso?

R: Una partita di scacchi è una somma di decisioni che possono sembrare delle scelte prese per vincere la partita ma in realtà tracciano una storia. Analizzando le partite di scacchi, soprattutto i grandi analisti, riescono a capire molte cose anche del carattere del giocatore in quel momento, del suo nervosismo, della sua strategia. La scelta di un’apertura di scacchi piuttosto che un’altra, per esempio, l’idea di sacrificare un pezzo, l’idea di fare una partita giocando in difesa aspettando le mosse dell’avversario, capovolge i luoghi comuni. E quindi, in questo senso, il gioco degli scacchi è una storia e non un insieme di episodi. La partita potrebbe essere raccontata come un racconto, naturalmente non solo dal punto di vista tecnico ma anche da un punto di vista esistenziale.

D: Il gioco degli scacchi affascina. Le regole, lo scontro tra il bianco e il nero, il tempo che scorre lentamente. Una metafora della vita dell’uomo in bilico tra il bene e il male?

R: Sì, gli scacchi sono una metafora della vita, oltre che essere una metafora della guerra. E costituiscono anche una variante del doppio.


Roberto Cotroneo
Per un attimo immenso ho dimenticato il mio nome
Mondadori, 2002
pp. 237, euro 8,40