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Piano Triennale dei Servizi Sociali 2002-2004 e indirizzi ai Comuni per la redazione dei Piani di Zona. Modifiche ed integrazioni alla deliberazione del Consiglio regionale 6 luglio 1999 n.44 recante il Piano Triennale dei Servizi Sociali 1999/2001.

 

 

Piano Triennale dei Servizi Sociali 2002-2004 e indirizzi ai Comuni per la redazione dei Piani di Zona. Modifiche ed integrazioni alla deliberazione del Consiglio regionale 6 luglio 1999 n.44 recante il Piano Triennale dei Servizi Sociali 1999/2001.

 

INDICE DELLE PARTI:

 

1. PREMESSA *

2. IL SISTEMA DEI SERVIZI E LE POLITICHE SOCIALI REGIONALI *

2.1. Il quadro normativo e di pianificazione nazionale e locale. Il ruolo degli Enti Locali. *

2.2 Il ruolo delle politiche sociali nella pianificazione regionale: linee strategiche *

2.3 L’accesso al sistema sociale regionale ed il concorso alla spesa *

3. I LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA, L’ASSETTO ORGANIZZATIVO DEL SISTEMA SOCIALE LIGURE E LE POLITICHE INTEGRATE CON SANITA’, SCUOLA E LAVORO PER LE FASCE FRAGILI. *

3.1. Premessa ai livelli essenziali delle prestazioni sociali *

3.2 I servizi di cittadinanza: distretto sociale/sportello di cittadinanza *

3.3 I servizi sovra-distrettuali o di zona *

3.4 Il servizio sociale professionale *

3.4.1 Intervento psicologico nel sistema dei Servizi Sociali *

3.5. Le politiche sociali integrate *

3.6 Le modalità operative per l’integrazione socio-sanitaria *

3.7 L’integrazione con le politiche della scuola e del lavoro *

3.7.1 Strategie comuni tra politiche del lavoro e servizi alla persona per progetti comunitari 2001/2006: collegamento tra politiche del lavoro e politiche sociali *

4. GLI ORGANI DI GOVERNO DEL SISTEMA SOCIALE E LE CONNESSIONI CON IL SISTEMA SANITARIO E SOCIO-SANITARIO *

5. LA PROGRAMMAZIONE DEL SISTEMA SOCIALE: AREE DI PRIORITA’ *

5.1. Aspetti generali e riferimenti per la programmazione *

5.2 I Piani di Zona: requisiti preliminari, obiettivi e contenuti. *

5.3 I processi di pianificazione integrata *

5.4 Le aree di priorità *

5.4.1 Responsabilità familiari e diritti dei minori e degli adolescenti *

5.4.2 Tutela delle persone anziane *

5.4.3 Tutela sociale dei disabili *

5.4.4 Contrasto della povertà *

5.4.5 Prevenzione e reinserimento sociale dei soggetti dipendenti e degli emarginati *

5.4.6. Indirizzi per i titoli di acquisto dei servizi *

6. LE RISORSE FINANZIARIE *

6.1. Sistema di finanziamento delle politiche sociali, livelli di assistenza e sussidiarietà tra Enti. *

6.2 Le risorse finanziarie nazionali e regionali *

6.2.1 Il quadro delle risorse nazionali da ripartire alle Regioni *

6.2.2 Il quadro delle risorse regionali 2001/2004, comprensive dei trasferimenti nazionali *

6.3 Finanziamenti europei *

6. 4 Verifica della spesa *

7. I RAPPORTI CON GLI ALTRI SOGGETTI DELLA RETE DEI SERVIZI SOCIALI: LE IPAB, IL TERZO SETTORE, IL VOLONTARIATO ED IL PRIVATO *

7.1 La trasformazione delle istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficienza: il decreto legislativo 4 maggio 2001, n. 207. *

7.2 I rapporti con il terzo settore *

8. GLI STRUMENTI PER MIGLIORARE IL SISTEMA DEI SERVIZI SOCIALI: La qualità sociale, il sistema informativo, la formazione continua *

8.1 La qualità sociale *

8.1.1 I requisiti essenziali per l’organizzazione ed il funzionamento *

8.2 La carta dei servizi sociali *

8.3 Il sistema informativo sociale *

8.4. Interventi formativi e formazione continua *

 

1. PREMESSA

 

LA SITUAZIONE DEMOGRAFICA E DEI SERVIZI IN LIGURIA.

 

Per analizzare a grandi linee la situazione dei servizi sociali in Liguria, si forniscono alcuni macro-dati sulla situazione demografica e sulla domanda/offerta nei servizi sociali elaborati dal sistema informativo sociale e dalla struttura di statistica regionale:

 

STRUTTURA DEMOGRAFICA DELLA POPOLAZIONE:

La Liguria ha una struttura "piuttosto omogenea" della popolazione, conseguente anche ad una altrettanto similare distribuzione territoriale con territori costieri/collinari/montani; si è ritenuto quindi di raggruppare i Comuni in aree intercomunali delle Conferenze dei Sindaci (ambiti AUSL) anche per una valutazione delle esigenze socio-sanitarie:

 

 

POPOLAZIONE ASSOCIAZIONI INTERCOMUNALI CONFERENZE DEI SINDACI (*)

 

 

Classi età

0-18

19-25

26-64

65-75

>75

Totale

Amb.1 Imperia

30.832

15.103

119.174

28.097

23.180

216.386

Amb. 2 Savona

35.970

19.170

154.801

37.536

32.284

279.761

Amb. 3 Genova

100.633

52.489

421.718

100.800

88.361

764.001

Amb. 4 Chiavari

19.406

10.122

81.325

19.439

17.040

147.332

Amb. 5 Spezia

29.304

15.346

118.988

28.199

26.553

218.390

Totali Regione

216.145

112.230

896.006

214.071

187.418

1.625.870

 

(*) Fonte dati : Sistema Informativo Sociale - popolazione Liguria all’ 1.1.2000 - classi di età stimate su classi di popolazione per Provincia

 

 

2. STIMA DEGLI UTENTI DEI SERVIZI SOCIALI SULLA POPOLAZIONE LIGURE

 

Popolazione di riferimento: 1.625.870

Numero complessivo utenti: 56.484 (*)

 

(*) Fonte Dati: Sistema Informativo Sociale – stime su utenti presenti nella banca dati – Anno 2000

 

 

3. CATEGORIE DI RIFERIMENTO DELLA DOMANDA (*)

Anziani 33,5%

Adulti 21,3%

Minori 20,4%

Handicap 11,6%

Malati psichici 5,9%

Tossicodip/ex-tossicodip./alcolisti 2,4%

Adulti - ex detenuto o con procedure penali 0,6%

Adulti - senza dimora 0,5%

Immigrati – extracomunitari 3,7%

Immigrati – comunitari 0,3%

(*) Fonte Dati: Sistema Informativo Sociale – stime su utenti presenti nella banca dati – Anno 2000

 

4. PROBLEMI SEGNALATI (*)

non autosufficienza/Sanitari

34,3%

Handicap

20,0%

Relazionali psicologici

21,9%

Relazionali familiari

6,6%

Scolastici/educativi

8,2%

Economici / lavoro

28,5%

Abitativi

9,3%

Dipendenze/alcoolismo

3,2%

(*) Fonte Dati: Sistema Informativo Sociale – stime su utenti presenti nella banca dati – Anno 2000

 

5. GRANDI AREE DI DISTRIBUZIONE DEGLI INTERVENTI (raggruppati per associazione intercomunale di Conferenza dei Sindaci) (*)

AREA ASL (Conf. Sindaci)

Prestazioni di supporto alla persona ed alla famiglia

Prestazioni per l'utilizzo di residenzialità o semiresid

Interventi per la promozione dell'istruzione, della formazione e del lavoro

Altro

Amb.1 Imperia

77,8%

11,8%

2,9%

7,5%

Amb. 2 Savona

66,2%

18,7%

2,6%

12,6%

Amb. 3 Genova

71,8%

16,1%

4,1%

8,0%

Amb. 4 Chiavari

60,5%

20,1%

5,5%

13,9%

Amb. 5 Spezia

62,3%

25,3%

7,0%

5,4%

Totali Regione

76,8%

13,9%

3,5%

5,8%

 

(*) Fonte Dati: Sistema Informativo Sociale – stime su utenti presenti nella banca dati – Anno 2000

 

 

 

6. RAPPORTO SPESA/FINANZIAMENTO REGIONALE (PER ZONA)

ZONE

Popolazione 31.12.1999

Reddito medio per ab.

Finanz. reg. spese correnti 1999

Spesa corrente 1999

Pro-capite finanz. Corrente

Pro-capite spesa

AREA ASL 1 - ZONA 1 - VENTIMIGLIESE

59.771

18.822

1.969.583.863

7.154.206.691

32.952

119.694

AREA ASL 1 - ZONA 2 - SANREMESE

85.210

22.766

2.158.243.753

18.231.345.017

25.329

213.958

AREA ASL 1 - ZONA 3 - IMPERIESE

71.405

23.503

2.465.222.992

8.969.492.873

34.525

125.614

AREA ASL 2 - ZONA 4 - ALBENGANESE

58.191

26.343

1.630.229.107

5.883.204.817

28.015

101.102

AREA ASL 2 - ZONA 5 - FINALESE

54.709

25.144

1.600.816.352

7.972.900.864

29.261

145.733

AREA ASL 2 - ZONA 6 - BORMIDE

40.824

21.938

1.550.060.205

4.263.047.101

37.969

104.425

AREA ASL 2 - ZONA 7 - SAVONESE

126.037

24.933

3.230.342.651

18.243.989.324

25.630

144.751

AREA ASL 3 - ZONA 1 - escluso GE

34.506

24.102

942.427.681

3.738.997.126

27.312

108.358

AREA ASL 3 - ZONA 3 - escluso GE

51.142

23.523

2.232.643.278

7.310.670.487

43.656

142.948

AREA ASL 3 - ZONA 5 - escluso GE

9.930

22.687

553.942.408

733.792.156

55.785

73.896

AREA ASL 3 - ZONA 6 - escluso GE

32.319

26.406

792.137.791

3.533.216.847

24.510

109.323

GENOVA

636.104

26.096

6.247.607.773

156.912.575.135

9.822

246.678

AREA ASL 4 - ZONA 1 - SESTRI LEVANTE

33.102

22.848

930.631.249

4.250.720.000

28.114

128.413

AREA ASL 4 - ZONA 2 - TIGULLIO

71.177

26.688

2.390.353.519

8.740.871.730

33.583

122.805

AREA ASL 4 - ZONA 3 - PORTOFINO

43.053

27.847

1.094.066.328

7.204.890.986

25.412

167.349

AREA ASL 5 - ZONA 1 - SPEZZINO

111.613

25.022

2.711.842.923

21.382.135.000

24.297

191.574

AREA ASL 5 - ZONA 2 - VAL DI MAGRA

66.800

21.442

2.952.011.536

10.241.288.394

44.192

153.313

AREA ASL 5 - ZONA 3 - RIVIERA VAL DI VARA

39.977

20.995

1.249.546.424

4.099.780.000

31.257

102.553

 TOTALE

1.625.870

24.800

36.701.709.833

298.867.124.548

22.574

183.820

 

NOTE :

Il finanziamento regionale spese corrente include i contributi per spese correnti che la Regione eroga a Comuni e Distretti sociali ai sensi della l.r. 30/1998, l. 162/1998 e l. 285/1997.

La spesa sociale corrente 1999 include la spesa sociale a consuntivo inviata dai Comuni stessi o desunta dai dati dei bilanci consuntivi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

7. PUNTI DI FORZA E DI CRITICITA’ RILEVATI DAL GRUPPO DI LAVORO REGIONE/ANCI/ZONE, costituito per analizzare l’andamento dell’esercizio associato delle funzioni sociali da parte dei Comuni, il raccordo delle zone con il sistema sanitario, i problemi della spesa sociale, anche in riferimento al rapporto con i finanziamenti regionali.

 

 

PUNTI DI FORZA

PUNTI DI CRITICITA’

Realizzazione a livello distrettuali di progetti per anziani, minori, handicap. Potenziamento di servizi in particolari situazioni, anche in piccole realtà: azioni capillari sul territorio. Lavoro di rete anche con le Agenzie sociali sul territorio.

Limitatezza risorse finanziarie da destinare ai servizi. Difficoltà di funzionamento dell’associazione intercomunale. Scarso coordinamento con la Conferenza dei Sindaci. Difficoltà di rapporto con i dirigenti dell’Azienda sanitaria.

Carenza progettazione politiche sociali.

Miglioramento del lavoro di gruppo e integrato con altre istituzioni. Varietà e completezza competenze e figure professionali. Collaborazione e collegamento tra operatori per progettazione.

Limitatezza di risorse umane con particolare riferimento alle attività di servizio sociale professionale e alle attività amministrative e contabili.

Omogeneità interventi e servizi sul territorio distrettuale. Omogeneità modalità operative e criteri di accesso

 

Progettazione comune di progetti di intervento sociale. Progettazione coordinata e integrata di servizi lasciando autonomia gestionale ai singoli enti locali

 

Razionalizzazione risorse finanziarie e umane. Economie di gestione con maggiore capacità di risposta ai bisogni.

 

Partecipazione / collaborazione / condivisione tra livello politico e tecnico della programmazione delle attività.

 

 

Conoscenza tempestiva problematiche emergenti. Erogazione tempestiva interventi primo livello.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Problemi derivanti da scarsa "cultura del distretto", ovvero del lavoro tra Comuni. Progettazione distrettuale non sempre pienamente condivisa. Difficoltà di partecipazione di tutti gli amministratori locali sui programmi distrettuali

 

Problemi di rapporto, o rapporto molto debole con l’AUSL.

 

Necessità di modello organizzativo idoneo alla zona ed ai rapporti zona/distretto sociale. Necessità di adeguare il modello organizzativo, anche sul piano amministrativo, alle a nuove disposizioni nazionali.

 

Necessità di definire meglio autonomia distrettuale e compiti del coordinatore tecnico di distretto. Flessibilità dei fondi distrettuali.

 

Mancanza di alcune specifiche strutture (disabili, minori, centri aggregazione giovanile, tempo libero anziani, ecc.)

 

Negativa l’erogazione di contributi regionali a singoli comuni per le difficoltà del Comune capofila ad ottenere compartecipazione spesa dagli altri Comuni e aumento delle attività burocratico-amministrative.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2. IL SISTEMA DEI SERVIZI E LE POLITICHE SOCIALI REGIONALI

 

 

2.1. Il quadro normativo e di pianificazione nazionale e locale. Il ruolo degli Enti Locali.

 

I provvedimenti nazionali di maggior rilievo per le politiche sociali:

D.lgs. 31 marzo 1998 n 112: "Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli Enti Locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n.59 ";

D.lgs. 18 febbraio 2000, n. 56: "Disposizioni in materia di federalismo fiscale, a norma dell’articolo 10 della Legge 13 maggio 1999, n. 133";

Legge 8 novembre 2000, n. 328: "Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali";

DPCM 14 febbraio 2001 "Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie";

D.lgs 4 maggio 2001 n. 207 "Riordino del sistema delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficienza, a norma dell’articolo 10 della legge 8 novembre 2000 n.328";

D.P.R. 3 maggio 2001 "Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2001-2003"

 

I provvedimenti regionali :

La legge regionale 9 settembre 1998 n. 30: "Riordino e programmazione dei servizi sociali e modifiche alla legge regionale 8 agosto 1994, n. 42 in materia di organizzazione efunzionamento delle Unità Sanitarie Locali", disegna il sistema dei Servizi Sociali della Liguria:

individuando il Comune (singolo o associato) come soggetto attuatore del sistema dei servizi, responsabilizzandolo anche sul piano della programmazione sociosanitaria;

articolando la territorializzazione e l’apparato organizzativo in Zone e Distretti sociali (le attuali articolazioni vedono zone con una media di 70/100.000 abitanti e distretti sociali con grandezze da 4.000 a 60.000 abitanti; questi ultimi per l’area metropolitana genovese)

individuando, oltre al sistema pubblico, anche l’apporto di soggetti privati no-profit e privato;

disciplinando modalità di riparto per popolazione, reddito e criteri geomorfologici.

 

 

 

Il Piano triennale dei Servizi Sociali per gli anni 1999/2001, approvato ai sensi dell’articolo 22 della l.r. 30/1998, con del.cons.reg. 44/1999 precisa ulteriormente:

 

il sistema organizzativo territoriale: Zone e Distretti sociali;

gli organismi politico gestionali: Conferenza di Zona e Conferenza dei Sindaci;

altri soggetti istituzionali: IPAB e Terzo Settore ;

criteri per il riparto dei fondi, sia per la parte corrente sia per il conto capitale;

requisiti minimi per alcune strutture sociali per l’infanzia e per gli anziani;

sistema informativo sociale e qualificazione delle risorse umane e professionali dei servizi;

otto Progetti Obiettivo riguardanti l’infanzia, gli anziani, i portatori di handicap, il disadattamento e l’esclusione sociale, le azioni per il reinserimento sociale dei tossicodipendenti, le fasce fragili e l’immigrazione, che vengono riconfermati come "linee guida" per i progetti di settore.

 

Le presenti modifiche del Piano triennale, intendono integrare ed arricchire in relazione alla legge di riforma dell’assistenza:

 

il ruolo strategico delle politiche sociali secondo il principio di sussidiarietà;

l’associazionismo intercomunale;

il ruolo degli organismi intercomunali (conferenze dei sindaci e di zona) per la programmazione sociale e socio-sanitaria.

 

Nel quadro sopra esposto gli Enti preposti alla programmazione e realizzazione del sistema sociale assumono profili di competenza ben delineati :

 

La REGIONE provvede, con il presente piano, al compito di programmazione, coordinamento e indirizzo degli interventi sociali di cui all’articolo 8 della l. 328/2000, in particolare alla definizione degli ambiti territoriali di cui alla lettera a) dello stesso articolo 8, per la realizzazione della rete integrata di interventi e servizi sociali e la erogazione dei livelli essenziali di assistenza, nonché ad indirizzare i piani di zona; attraverso il piano socio-sanitario, disciplina le politiche per la salute e le modalità di integrazione tra i due sistemi individuando in entrambe le pianificazioni il duplice ruolo (sociale e socio-sanitario) degli organismi rappresentativi dei Comuni (Conferenze dei Sindaci e di Zona).

 

E’ altresì compito della Regione individuare le connessioni ai precedenti piani per gli aspetti dell’istruzione e della formazione professionale e l’attivazione di una sistema di verifica sull’applicazione degli indirizzi di pianificazione, da parte degli Enti locali e delle Aziende sanitarie.

 

I COMUNI, titolari delle funzioni d’offerta di servizi sociali (scelta del DPR 616/1977, e del Dlgs 112/1998 e della stessa legge 328/2000), sono protagonisti della programmazione e realizzazione delle politiche sociali in ambito locale, attraverso l’erogazione di servizi e prestazioni economiche e le attività di autorizzazione, accreditamento e vigilanza dei soggetti erogatori. I Comuni concorrono alla programmazione regionale e partecipano al procedimento per l’individuazione degli ambiti territoriali.

 

Al Comune, nella sua forma singola o associata, quale ente che deve garantire l’esercizio dei diritti di cittadinanza, è affidata la "regia" della rete di protezione sociale in un’ottica di condivisione degli obiettivi con i cittadini e gli attori sociali presenti nel territorio di competenza.

 

Le COMUNITÀ MONTANE svolgono anch’esse un ruolo primario laddove i Comuni associati conferiscano con delega, tra le altre competenze, la gestione dei servizi sociali.

 

Le PROVINCE concorrono alla programmazione del sistema integrato dei servizi sociali e alla formulazione e attuazione dei piani di Zona. Affiancano altresì i Comuni con un sostegno tecnico alla raccolta di dati, indicazioni di carattere demografico e socio-economico; spetta, soprattutto alle Province, soggetti titolari della formazione, qualificazione professionale e avvio all’impiego, sostenere l’azione comunale nei programmi di reintegrazione sociale e lavorativa dei soggetti fragili e degli espulsi dal mercato del lavoro.

 

Le funzioni statali in materia di politiche sociali si limitano a compiti di indirizzo e coordinamento, mediante l’indicazione di standard e di ripartizione delle risorse del fondo sociale nazionale. La funzione di maggior rilevo è l’adozione del Piano nazionale degli interventi e servizi sociali che costituisce, insieme all’atto di indirizzo sui requisiti minimi strutturali e organizzativi delle strutture e dei servizi, nonché ai requisiti e ai profili per le professioni sociali, l’atto di programmazione di riferimento nazionale per i livelli essenziali ed uniformi delle prestazioni sociali.

 

Sul piano delle risorse istituzionali va menzionata anche l’Unione Europea che nei programmi dei Fondi strutturali 2000-2006, individua misure di intervento comunitarie a sostegno delle politiche sociali che favoriscano servizi alla persona e promuove le pari opportunità.

 

 

2.2 Il ruolo delle politiche sociali nella pianificazione regionale: linee strategiche

 

Le politiche sociali oggi, dopo l’approvazione della legge di riordino dell’assistenza 328/2000, hanno il ruolo di politiche universali, non rivolte ai cittadini in stato di povertà o disagio, ma alla generalità degli individui, senza alcun vincolo di appartenenza. Ovviamente, con la compatibilità finanziaria che accompagna gli interventi pubblici, accedono gratuitamente ai servizi sociali le persone fragili, con disagio sociale ed economico.

 

Con la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali si verifica un profondo cambiamento culturale nel modo di intendere la socialità, i servizi e le interrelazioni tra governo del sistema e società civile; la l. 328/2000 propone infatti un sistema in cui:

il cittadino non è solo utente;

le famiglie non sono solo portatrici di bisogni;

la rete dei servizi non ha un approccio riparativo;

l’assistenza non è solo sostegno economico.

 

Il sistema dei servizi è progettato e realizzato a livello locale:

prevedendo un sistema allargato di governo, più vicino alle persone;

promuovendo la progettualità verso le famiglie;

promuovendo la partecipazione attiva di tutte le persone;

incoraggiando le esperienze aggregative;

valorizzando le esperienze e le risorse esistenti, ivi compreso l’offerta del privato no-profit e profit;

valorizzando il Terzo settore, le funzioni dei Patronati e l’associazionismo a fini sociali e solidali;

favorendo la personalizzazione degli interventi;

valorizzando il sapere quotidiano;

assicurando livelli essenziali in tutte le realtà territoriali.

 

Le azioni di cambiamento: il sistema sociale deve svilupparsi secondo alcune direttrici di riforma così delineate:

da sistema risarcitorio a sistema attivo e promozionale, ovvero sussidiarietà in luogo di "sostituzione";

da welfare assistenziale a welfare delle responsabilità e opportunità;

da offerta settoriale a organizzazione sistemica per costruire l’offerta con interventi rivolti alle famiglie e alla persona;

promozione delle reti di solidarietà comunitaria e compartecipazione dell’intervento pubblico alle iniziative del singolo e della famiglia;

individuazione della cittadinanza anche come appartenenza sociale;

promozione della inclusione sociale attraverso politiche della "città": sicurezza, miglioramento ambientale, spazi attrezzati per bambini e anziani;

politiche per favorire tempi per la famiglia ed i minori;

il "sociale" come occasione di lavoro.

 

Il ruolo delle politiche sociali è quindi quello di "accompagnare" individui e famiglie lungo il percorso della vita sostenendo in particolare:

le fragilità che sorgono in relazione all’età e alle responsabilità familiari;

l’esigenza di conciliare le fragilità con le opportunità di integrazione sociale e di lavoro;

la promozione di capacità individuali e le reti familiari;

la costruzione di "comunità locali amichevoli" che favoriscano la cittadinanza attiva e le iniziative di auto e mutuo aiuto in una solidarietà organizzata.

 

Le politiche sociali devono tutelare il diritto a stare bene, a sviluppare e conservare le proprie capacità fisiche, a svolgere una soddisfacente vita di relazione, a riconoscere e coltivare le risorse personali, a essere membri attivi della società, ad affrontare positivamente le responsabilità quotidiane.

 

Con le politiche sociali, devono concorrere allo "stare bene" anche strategie di salvaguardia ambientale, di sicurezza dei minori e degli anziani, attivando forme di collaborazione anche con le istanze che tutelano l’ordine pubblico, la sicurezza dei quartieri, delle città e della viabilità, in una sinergia di azioni che consenta una migliore qualità di vita.

 

In coerenza con la l. 328/2000, il Piano regionale dei servizi sociali deve promuovere nel triennio 2001-2003 lo sviluppo del Welfare delle responsabilità, ovvero un Welfare plurale, perché costruito e sorretto da responsabilità condivise, in una logica di sistema allargato di governo (governance), che valorizza il federalismo solidale, in cui:

tutti livelli di governo, Regione, Comuni, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze, concorrono a formulare, realizzare e valutare le politiche sociali;

comunità locali, famiglie e persone sono soggetti attivi delle politiche sociali e svolgono un ruolo da protagonista nella realizzazione del sistema;

l’aggregazione e l’autoorganizzazione degli utenti, delle famiglie, delle persone è fattore di arricchimento della rete dei servizi;

tutti i soggetti no-profit e profit di cui ai commi 4 e 5 dell’articolo 1 della l. 328/2000, che partecipano al sistema di offerta dei servizi sociali.

 

La realizzazione del sistema di "rete" presuppone una complessa interazione tra i soggetti, pubblici e privati i quali, in relazione alle rispettive competenze, assumono un ruolo attivo, sia nella progettazione, sia nell’offerta di servizi con la piena attuazione del principio di sussidiarietà, in senso verticale e orizzontale (articolo 14 l.r. 30/1998 – articolo 1 l.328/2000).

 

 

2.3 L’accesso al sistema sociale regionale ed il concorso alla spesa

 

Ai sensi dell’articolo 2 della l. 328/2000 e dell’articolo 24 della l.r. 30/98, il diritto ad usufruire degli interventi e dei servizi sociali del sistema regionale è riconosciuto a tutti i cittadini liguri e, nel rispetto degli accordi internazionali e con le modalità e i limiti definiti dalle leggi vigenti, anche ai cittadini dell’Unione Europea ed i loro familiari, nonché ai cittadini non comunitari con regolare permesso di soggiorno.

 

In base all’articolo 2 della l. 328/2000, all’interno del sistema universale vengono selezionati in termini di priorità nell’offerta delle politiche sociali le persone e i nuclei familiari:

in condizione di povertà o con limitato reddito;

con forte riduzione delle capacità personali per inabilità di ordine fisico e psichico;

minori specie se in condizione di disagio familiare;

con difficoltà di inserimento nella vita sociale attiva e nel mercato del lavoro;

sottoposte a provvedimenti dell’autorità giudiziaria che rendono necessari interventi assistenziali.

 

Il criterio di accesso al sistema integrato di interventi e servizi sociali è la condizione di bisogno e, affinché le politiche sociali siano veramente accessibili, occorre sviluppare azioni informative ed eliminare "intoppi" burocratici che impediscano una conoscenza semplificata delle misure disponibili.

 

Tali azioni dovranno riguardare la messa a punto di:

strumenti di informazione adeguati;

modalità semplificate di lavoro sociale (attive e rispettose della dignità e della consapevolezza delle persone);

misure di accompagnamento che compensino le situazioni di fragilità e valorizzino le capacità delle persone e delle loro reti sociali e familiari.

 

La Regione promuove specifiche azioni, d’intesa con i Comuni, affinché coloro che hanno più bisogno e perciò più titolo ad accedere al sistema integrato non vengano esclusi o, comunque, non siano ostacolati da barriere informative, culturali o fisiche nell’acceso ai servizi e agli interventi loro dedicati.

 

Secondo il principio della sussidiarietà ed equità della spesa pubblica, persone e famiglie sono chiamate in base alle condizioni reddituali a concorrere al costo dei servizi sociali applicando i criteri dell’ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente) come previsto dall’articolo 25 della l. 328/2000 e dal DLGS 109/1998 modificato dal DLGS 130/2000. L’ISEE consiste in una modalità integrata di valutazione di elementi riguardanti la condizione familiare e la situazione economica del nucleo familiare che prendono come riferimento i seguenti parametri:

- reddito complessivo

- reddito agrario

- patrimonio mobiliare (depositi bancari, depositi postali, BOT e altri titoli di Stato, denaro affidato a società di investimento o di risparmio, quota di partecipazione azionaria, ecc.)

- valore dei cespiti costituenti il patrimonio immobiliare

- parametro sui numero dei componenti il nucleo familiare correlato al numero dei componenti, alla presenza di figli minori, di ultrasessantacinquenni e di portatori di handicap.

 

 

La Regione, per favorire l’accesso ai servizi delle categorie più deboli, indirizza i Comuni nell’applicazione dell’ISEE come sistema di accertamento della situazione economica del richiedente. A tale scopo - per salvaguardare l’esigenza di omogeneità e di equità nell’erogazione delle prestazioni sociali - provvede, d’intesa con le ZONE, ad azioni di formazione e informazione per il personale dei servizi e nei confronti dei cittadini, favorendo la diffusione delle esperienze più positive in corso di attuazione nelle zone della Regione.

 

 

3. I LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA, L’ASSETTO ORGANIZZATIVO DEL SISTEMA SOCIALE LIGURE E LE POLITICHE INTEGRATE CON SANITA’, SCUOLA E LAVORO PER LE FASCE FRAGILI.

 

3.1. Premessa ai livelli essenziali delle prestazioni sociali

 

Con la normativa dell’ultimo quinquennio: dai provvedimenti sul decentramento amministrativo (Bassanini) al federalismo fiscale (legge delega n. 133/1999) alla riformulazione del Titolo V della Costituzione, si assiste per i Comuni - destinatari delle funzioni sociali - ad una evoluzione istituzionale e delle modalità di imposizione fiscale rispetto al quadro tracciato dal DPR 616/1977; tale evoluzione, per gli aspetti di governo locale, trova il suo compimento nel Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti Locali, di cui al decreto legislativo n. 267/2000.

 

Per le politiche di settore, il Dlgs 502/1992 come modificato dal Dlgs 229/1999, ridisegnando la funzione delle Aziende Sanitarie come produttori di servizi per la salute, sottolinea il ruolo dei Comuni come soggetti di tutela della cittadinanza, anche in termini di salute, mentre la l. 328/2000, tenendo ancora come punto di riferimento la cittadinanza, disegna i contenuti delle politiche sociali e la loro integrazione con gli altri settori di servizi alla persona (sanità, scuola, lavoro), individuando – in termini anticipatori rispetto alle modifiche costituzionali – livelli essenziali di assistenza validi per tutto il territorio nazionale.

 

In particolare la l 328/2000, rimarcando la titolarità delle funzioni in materia di servizi sociali da parte dei Comuni, regolamenta le funzioni delle Regioni, delle Province e dello Stato, secondo il principio della sussidiarietà verticale. La stessa legge disciplina inoltre gli ambiti territoriali ottimali per realizzare la rete integrata di prestazioni e interventi sociali al fine di assicurare ai cittadini livelli essenziali di assistenza, individuando, altresì, le tipologie che vi accedono con priorità (comma 3, articolo 2)

 

Dalla lettura coordinata dei provvedimenti richiamati, si evidenzia una struttura del sistema sociale differente da quella emersa dal primo dettato costituzionale di assistenza e beneficenza pubblica, verso una rete di offerta di servizi sociali integrata, composta da prestazioni a favore della persona e della famiglia e da emolumenti economici nazionali e locali.

 

Un’ulteriore lettura coordinata della l. 328/2000 con la l.r. 30/1998 - anche senza il perfezionamento che si richiederà con l’applicazione delle modifiche costituzionali degli articoli 114/133 - consente già oggi con il presente piano, l’erogazione ai cittadini, con priorità per le fasce sopra richiamate (art. 2 comma 3 l. 328/2000), dei livelli essenziali di assistenza individuati all’articolo 24 della l.r. 30/1998.

 

Inoltre, il combinato disposto della l.r. 30/1998 con la l.r. 25/2000 permette anche l’applicazione dell’art. 8, comma 3, lettera a) della l. 328/2000, con l’individuazione già concertata tra Regione e Comuni, di ambiti territoriali per la programmazione e gestione dei servizi sociali (Zone e Distretti sociali), nonché la coincidenza della Zona sociale con il Distretto sanitario.

 

Con il presente Piano si intende consolidare e perfezionare le scelte effettuate con la l.r. 30/1998 e con gli indirizzi del piano triennale 1999/2001, focalizzando per il triennio 2002/2004, l’attenzione:

sul consolidamento del ruolo dei Comuni nel sistema organizzativo distrettuale e di zona per assicurare i livelli essenziali di assistenza e l’esercizio del diritto di soggettivo da parte dei cittadini per tali livelli;

sulla sussidiarietà per la costruzione della rete di servizi sociali, confermando oltre al ruolo di regia dei Comuni, anche un ruolo di partecipazione da parte dei soggetti della società civile: dalla famiglia, alle forme organizzate di mutuo-auto-aiuto, al volontariato, al privato no-profit e profit.

 

 

3.2 I servizi di cittadinanza: distretto sociale/sportello di cittadinanza

 

Nel sistema sociale e socio-sanitario ligure si verificano asimmetrie per la distribuzione della popolazione e la configurazione geomorfologica del territorio nei diversi Comuni: il 40% è al di sotto dei 1000 abitanti, il 33% al di sotto dei 4000 ed il 22% al di sotto dei 50.000, solo lo 0,5% è tra i 50.000 e i 100.000 abitanti (con una grande area urbana di oltre 600.000).

 

Per tale motivazione e per assicurare anche agli abitanti dei piccoli Comuni di ottenere prestazioni sociali di qualità, si richiedono scelte organizzative intercomunali (infracomunali solo per alcuni grandi Comuni), già definite in precedenti piani Distretti sociali di almeno 4000 abitanti, incentivando finanziariamente i Comuni inferiori a 1000 abitanti ad associarsi per assicurare i livelli essenziali di assistenza già richiamati in precedenza, definiti prestazioni di base o a carattere distrettuale (sub-zonale), mentre le prestazioni più complesse assumono il carattere sovradistrettuale o di zona. L’integrazione delle prestazioni erogate dai due livelli risponde pienamente al dettato dell’articolo 22 della l. 328/2000.

 

I Comuni del territorio che costituisce la zona e il distretto sociale si associano a norma degli articoli 11 e 13 della l.r 30/1998. I Comuni che non provvedono ad associarsi non sono destinatari degli incentivi economici regionali.

 

Sono definiti servizi di base, o distrettuali, le seguenti attività:

 

· informazione e comunicazione ai cittadini alle famiglie e alle organizzazioni sociali;

· consulenza sociale ("accompagnamento" verso i possibili percorsi risolutivi del problema) e orientamento sui problemi (selezione di indicazioni alla persona in assistenza per aiutarlo a rimuovere gli stessi);

· promozione dell’assistenza domiciliare in termini di aiuto domestico familiare, per le fasce fragili (anziani, disabili, minori, etc) e attivazione delle risorse sanitarie integrate, anche attraverso il rapporto con il medico di medicina generale (di seguito definito: MMG) e il pediatra di libera scelta;

· promozione degli interventi di affido e di sostegno familiare per i minori in difficoltà;

· ricoveri in strutture diurne e residenziali per minori e altri soggetti delle fasce fragili con problemi sociali che ne impediscono la permanenza a domicilio;

· promozione della solidarietà locale attraverso "servizi di prossimità e reciprocità" tra persone e nuclei familiari, volontariato, associazionismo, espresse con forme di auto-mutuo aiuto.

 

Per la distribuzione capillare dell’informazione sia sociale sia sanitaria (lettera b, comma 2 , articolo 13 della l.r. 30/1998), il Distretto sociale attiva lo sportello di cittadinanza, affidando allo stesso l’importantissima funzione di informazione/ orientamento e consulenza ai cittadini. Lo sportello fornisce, con il Distretto sanitario, anche informazioni sui servizi sanitari.

 

Lo sportello di cittadinanza è quindi un polo di accesso garantito ai cittadini liguri presso ogni Distretto sociale che - attraverso il segretariato sociale - ha momenti di presenza su tutti i Comuni del territorio distrettuale, provvedendo in prospettiva anche a collegamenti per via telematica, che consentano di ottenere informazioni a domicilio per chi ha difficoltà di spostamento.

 

L’operatore di accoglienza e di filtro è l’assistente sociale, nell’ambito delle sue funzioni di segretariato sociale, accoglienza e presa in carico del caso, di aiuto alla persona e alla comunità.

 

Le caratteristiche dell’attività di accoglienza, del segretariato sociale e della presa in carico, nel rispetto di quanto indicato all’articolo 25 della l.r.30/1998, si possono riassumere:

 

nella capacità di interpretare la domanda sociale e di organizzarla secondo le risorse dei servizi offerti dalla comunità locale (pubbliche e non);

nella capacità dei rapporti interpersonali operatore/utente/strumentazione telematica;

nella costruzione di connessioni tra bisogni e risorse;

nell’offerta della presa in carico "personalizzata", particolarmente mirata ai soggetti fragili, spesso anche svantaggiati dalla incapacità di accedere alle informazioni.

 

 

3.3 I servizi sovra-distrettuali o di zona

 

Ai servizi di base si aggiungono servizi sovradistrettuali o complessi di zona, che non vanno intesi come "sovraordinati" ai servizi distrettuali, ma come complementari sul piano della più ampia disponibilità di risorse (integrazione con altri comparti), difficilmente attivabili a livello dei territori distrettuali.

 

I servizi di zona intervengono, in particolare, sul piano delle funzioni integrate con la sanità relative a:

responsabilità familiari e problemi minorili e adolescenziali;

disabilità grave e lungo-assistenza;

residenzialità socio-sanitaria diurna e a ciclo continuativo per anziani, disabili e minori con limitazione temporanea o permanente dell’autonomia;

emarginazioni e povertà estreme;

emergenze sociali.

 

La caratteristica dei servizi di zona è la presa in carico più complessa, delle persone e delle famiglie, che richiede azioni integrate sia all’interno del sociale che del sanitario, o socio-sanitario e di altri comparti (scuola, lavoro etc.). Si svolgono a livello di zona anche azioni sociali che hanno elevata complessità organizzativa e richiedono investimenti economici di rilievo quali le attività residenziali.

 

Si individuano tra i servizi di zona (e distretto sanitario) i piani per l’infanzia, per gli adolescenti, l’adozione, anche quella internazionale, i servizi consultoriali per i minori, adolescenti e politiche per i giovani, i disabili, i tossicodipendenti e gli anziani non autosufficienti (ADI e Spedalizzazione territoriale).

 

Gli interventi indicati sono in oggi già avviati, con più o meno sistematicità e organicità; gravi carenze si registrano nell’integrazione socio-sanitaria per la disomogeneità di applicazione degli atti normativi in materia e per la lenta processualità di realizzazione degli interventi integrati, nonchè nella comunicazione tra i due comparti e soprattutto nell’efficace "ascolto" della domanda per orientare in maniera organica l’offerta. Nei successivi punti, proprio con l’intendimento di costituire una guida, il presente piano affronta in maniera dettagliata l’integrazione socio-sanitaria, recependo gli indirizzi del d.p.c.m. 14 febbraio 2001

I servizi sovra-distrettuali o complessi sono individuati dal Piano di Zona, che ne definisce la localizzazione, l’estensione territoriale (più distretti o zona), il Comune capofila, le modalità organizzative, di accesso e di finanziamento.

 

I servizi complessi o sovra-distrettuali sono gestiti da un Comune capofila, indicato dal distretto sociale. La progettualità del servizio è definita anche in collaborazione con i distretti sociali che insistono sul territorio della zona. Al Comune capofila verranno destinati i contributi regionali finalizzati a tale servizio. Il Piano di Zona definirà le modalità per la partecipazione ai costi del servizio da parte di tutti i Comuni fruitori, in relazione alla grandezza del Comune a alla quantità di prestazioni erogate a favore di utenti nello stesso residenti.

 

La Giunta regionale, entro 180 giorni dall’approvazione del presente Piano, fornisce appositi indirizzi sulle modalità di partecipazione alla spesa per il mantenimento dei servizi da parte dei Comuni fruitori e non erogatori diretti del servizio, basandosi sulle esperienze già in atto in Liguria, sugli indirizzi forniti dai precedenti piani e sull’apporto delle Conferenze di Zona.

 

In via transitoria si stabilisce che:

le spese generali relative al mantenimento del personale dei distretti sociali e delle segreterie tecniche, decurtate del contributo regionale, andranno suddivise tra i Comuni in percentuale rispetto alla popolazione residente (la base di partenza è di una quota minima pari al 5% della spesa sociale rilevata dal consuntivo dell’anno precedente);

le spese relative ai servizi erogati, decurtate di contributi regionali finalizzati alle stesse, verranno suddivise tra i Comuni prendendo a riferimento la popolazione residente e l’utenza che usufruisce del servizio.

 

Un aspetto particolare dei Piani di Zona è quello per la residenzialità protetta con particolare riferimento alla elevata integrazione sanitaria (Hospice, RSA, Comunità psichiatriche, istituzioni di riabilitazione e per tossicodipendenti). E’ indispensabile che la pianificazione di zona e il piano delle attività territoriali (PAT) del distretto sanitario individuino nel territorio zona/ distretto sanitario, i presidi territoriali in base ad una linea di gradualità assistenziale: da offerte di tipo protetto, a offerte di più elevata intensità sanitaria, privilegiando, per i soggetti bisognosi di assistenza sanitaria continuativa a bassa complessità assistenziale, iniziative domiciliari quali la spedalizzazione territoriale (ST) e l’ADI di particolare intensità (malati terminali).

 

Il Piano di Zona andrà a definire anche le responsabilità della "struttura professionale di servizio sociale" (unità operativa), che oltre a provvedere alle attività più complesse, risponde, per i servizi integrati, anche ai collegamenti con il sistema sanitario. Nel successivo capitolo si descrivono le funzioni del servizio sociale.

 

 

 

3.4 Il servizio sociale professionale

 

 

Il servizio sociale professionale assume all’interno dell’assetto voluto dalla l. 328/2000 (art.22), un ruolo di un intervento professionale proprio e di livello essenziale per osservare e gestire i fenomeni sociali, erogare prestazioni di informazione, consulenza, sostegno e aiuto personale, coordinandosi nei servizi integrati con le discipline e le attività svolte da altri operatori professionali dell’équipe distrettuale e all’interno delle unità di valutazione multidimensionali.

 

Il collegamento del ruolo di servizio sociale professionale ai livelli organizzativi del presente piano fa emergere tre performance nel profilo di tale servizio, che sono collegate alla distribuzione delle attività sociali nei diversi livelli territoriali (Comuni, Distretti, Zone) alle funzioni e al ruolo degli assistenti sociali rispetto alla tipologia degli interventi erogati:

 

segretariato sociale: con funzioni di informazione, sostegno psico-sociale, orientamento e indirizzi per la costruzione di progetti a favore del singolo e della famiglia, collaborazione, stimolo e attivazione dei soggetti del terzo settore e della solidarietà sociale, per la erogazione di prestazioni all’interno della rete dei servizi sociali. Attiva anche la collaborazione di soggetti del servizio sanitario con particolare riferimento al medico di medicina generale ed agli operatori dei servizi territoriali (U.U.O.O. anziani, disabili, minori, salute mentale e tossicodipendenze);

 

management sociale del "caso" (case manager), che contribuisce nell’ambito delle unità multiprofessionali dei servizi territoriali alla definizione dei problemi sociali dell’utente o della famiglia in base ad un’analisi del bisogno e formula proposte per la soluzione dello stesso, attivando tutti i soggetti che possono concorre alla rimozione degli ostacoli. Crea le condizioni per un lavoro integrato con altri sistemi, in particolare sanità, scuola e formazione, effettuando una tutela ed un monitoraggio del progetto di assistenza, verificando i risultati raggiunti (outcome);

 

osservazione, pianificazione, direzione e coordinamento delle politiche sociali con le aree integrate: svolgendo uno specifico ruolo nei processi di pianificazione e coordinamento della rete dei servizi sociali e sociosanitari, affidati alle segreterie tecniche delle Conferenze di Zona e delle Conferenze dei Sindaci. E’ richiesta un professionalità di livello elevato supportata anche da azioni formative.

 

I Comuni e le associazioni intercomunali, nell’applicazione dei presenti indirizzi di piano e nelle applicazioni contrattuali, valutano la corrispondenza dei ruoli ricoperti dagli operatori sociali, ai fini di raggiungere una omogeneità di funzioni e di trattamenti a livello regionale.

 

 

3.4.1 Intervento psicologico nel sistema dei Servizi Sociali

L’intervento psicologico assume un ruolo importante ed essenziale nel nuovo assetto normativo ed organizzativo dei servizi sociali. La presenza qualificata e specifica di psicologi all’interno dei servizi stessi, accanto agli altri operatori sociali, può permettere di realizzare in modo efficace, attraverso l’integrazione delle differenti professionalità, i fini e gli obiettivi stabiliti dalla l. 328/2000 con riferimento ai singoli, alle famiglie, alle istituzioni, ai gruppi ed alla comunità.

 

In particolare, gli interventi per l’infanzia, per gli adolescenti, i disabili, i tossicodipendenti, gli anziani si avvalgono, all’interno dei servizi integrati, anche del contributo professionale dello psicologo; rilevante e necessario appare poi l’apporto dello psicologo nel campo dei rapporti dei servizi sociali con l’autorità giudiziaria.

 

 

 

3.5. Le politiche sociali integrate

 

Le azioni di tutela, prevenzione e inclusione sociale a favore delle persone con limitazioni psico-fisiche, postulano un coordinamento con le politiche della salute, della scuola, della qualificazione professionale, del lavoro e del tempo libero. I punti di riferimento delle strategie di integrazione sono offerti:

 

dall’Atto di Indirizzo e Coordinamento per l’integrazione sociosanitaria, d.p.c.m. 14 febbraio 2001, richiamato al punto 2.1 che disciplina i servizi sociali a rilievo sanitario, i servizi sanitari a rilievo sociale, e tra questi quelli ad elevata integrazione sanitaria;

dalla legge 68/2000 e dal provvedimento regionale di attuazione della stessa che andrà a disciplinare per i disabili, il programma triennale di cui all’articolo 4 della l.r 52/1993, che disciplina i percorsi formativi e la promozione del diritto al lavoro delle fasce fragili.

 

L’atto di indirizzo per l’esercizio delle funzioni socio-sanitarie merita una particolare attenzione perché introduce modalità operative indispensabili anche alla tutela di anziani non autosufficienti, di disabili con elevata compromissione dell’autonomia, di persone con patologie gravi, degenerative ed in fase terminale, nonché per il recupero ai fini del reinserimento sociale di soggetti dipendenti.

 

Ai fini della programmazione distrettuale e di zona se ne riassumono le indicazioni fondamentali:

 

definizioni e processi: le prestazioni sociosanitarie si caratterizzano per la natura e complessità dei bisogni a cui si rivolgono, si connotano per la unitarietà di intervento, basato sul concorso di apporti professionali di tipo sanitario (medico, infermieristico, riabilitativo), di servizio sociale professionale e di prestazioni assistenziali, organicamente inseriti nel progetto personalizzato, la cui redazione è basata sulla condivisione di obiettivi, di responsabilità, di risorse umane e finanziarie. Il processo assistenziale avviene con l’osservanza delle seguenti procedure:

definizione della natura dei bisogni, in termini multidimensionali, di salute, autonomia funzionale di capacità di relazione, individuando la rimozione del danno attraverso azioni di prevenzione, cura e riabilitazione;

stesura di un progetto di salute personalizzato, indicando i fattori produttivi ed i servizi a cui gli stessi afferiscono, per realizzare le azioni più appropriate di riduzione del danno o di mantenimento delle migliori condizioni di vita per la permanenza nel proprio ambiente, o in ambiente protetto, qualora le persone siano portatrici di gravi disabilità non curabili a domicilio;

verifica delle azioni compiute sotto il profilo della qualità e degli esiti;

 

tipologia delle prestazioni: Il d.lgs. 229/1999 definisce all’articolo 3 septies le prestazioni sociosanitarie articolandole su due livelli: sanitarie a rilevanza sociale e sociali a rilievo sanitario;

 

prestazioni sanitarie a rilievo sociale: sono prestazioni dell’area medica, psicologica, infermieristica e riabilitativa che si strutturano nell’ambito domiciliare, extraospedaliero con particolare riferimento alle strutture diurne e residenziali. Tra esse sono ricomprese le prestazioni ad elevata integrazione sanitaria, per la rilevanza terapeutica e la prevalenza dei fattori produttivi allocati nel sistema sanitario, rispetto alle altre componenti del processo assistenziale. Sono aree ad elevata integrazione: l’area materno-infantile consultoriale, la tutela della salute degli anziani, dei disabili, dei portatori di patologie psichiatriche, di dipendenze da alcool droga e farmaci, di patologie per infezioni da HIV, di patologie cronico degenerative e in fase terminale. Per la sede di erogazione delle prestazioni e per i tempi di continuità assistenziale le prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione prevedono:

 

trattamenti intensivi, richiedenti un impegno clinico specialistico e complesso effettuato in sede ospedaliera, residenziale extraospedaliera, e laddove consentito a domicilio (Spedalizzazione territoriale), di tipo diagnostico, di cura e recupero, con tempi definiti, in cui sono prevalenti le funzioni terapeutiche e riabilitative;

trattamenti estensivi o intermedi, caratterizzati da un minor impegno terapeutico, effettuati a domicilio e in sede residenziale extraospedaliera che richiedono la presa in carico multiprofessionale, con elevata assistenza alla persona ai fini della prosecuzione del processo riabilitativo e di reinserimento sociale, con un programma assistenziale di medio/lungo periodo;

trattamenti di lungo assistenza, o mantenimento, in forma integrata o meno, per patologie cronico degenerative, caratterizzati da un costante impegno sociosanitario per limitare gli esiti del deterioramento, ai fini della miglior qualità di vita acquisibile, effettuati a domicilio e in sede residenziale extraospedaliera, a fronte di un programma di lungo periodo, verificabile in tempi definiti per modulare l’intensità delle prestazioni sanitarie, assistenziali e tutelari.

I trattamenti individuati alle precedenti lettere devono integrarsi organicamente nel processo assistenziale favorendone lo sviluppo e la miglior qualità esistenziale;

 

prestazioni sociali a rilievo sanitario: consistono in azioni atte alla rimozione di ostacoli di natura sociale e assistenziale, che impediscono l’ottimizzazione dei risultati di cura e riabilitazione. Sono prestazioni sociali a rilievo sanitario: il sostegno economico e sociale a favore dell’infanzia, dell’adolescenza, della famiglia, del disabile e dell’anziano; l’aiuto domestico familiare e le forme di sostegno alla domiciliarità, l’ospitalità di tipo "alberghiero" presso le strutture diurne e residenziali, ad eccezione delle strutture individuate all’articolo 26 della l. 833/1978, per persone con limitazione dell’autonomia non assistibili a domicilio, gli interventi di natura economica che si configurano come "facilitanti" l’inclusione sociale (nella vita quotidiana o in attività produttive) per fasce fragili e di emarginazione, per stimolare le risorse personali per il superamento delle criticità socio-economiche.

 

livelli di programmazione: La Regione nel piano sociale e socio-sanitario definisce gi indirizzi per la programmazione sociosanitaria. Tale programmazione, prevista sia nel Piano di Zona, sia nel Programma delle Attività Territoriali (PAT) di distretto sanitario, viene svolta in maniera congiunta dalla Conferenza di Zona e dal Distretto Sanitario e va a coincidere.

 

 

Allocazione della spesa: l’atto di indirizzo fissa anche i criteri di spesa:

 

sono a carico delle Aziende U.S.L. le prestazioni sanitarie a rilievo sociale e le prestazioni ad elevata integrazione sanitaria, in quanto ricomprese nei livelli essenziali di assistenza. Le AUSL individuano, in accordo con il Comitato dei Sindaci di Distretto, nella quota capitaria le aliquote da dedicare nel PAT alle prestazioni socio-sanitarie ;

sono a carico dei Comuni le prestazioni sociali a rilievo sanitario che, analogamente alle AUSL, individuano una quota capitaria all’interno dei piani di zona.

 

 

 

 

3.6 Le modalità operative per l’integrazione socio-sanitaria

 

I raccordi operativi tra servizi sociali di base e complessi ed i servizi sanitari e socio-sanitari avvengono secondo il seguente schema:

 

Raccordi operativi relativi al coordinamento di servizi sociali di base e servizi sanitari, in relazione ad un singolo utente, avverranno a livello di Distretto sociale e sanitario, attraverso il contatto diretto tra operatori sociali e operatori sanitari – medico di medicina generale e/o il pediatra di libera scelta.

Per l’attivazione e la gestione di servizi complessi di tipo sociosanitario, il collegamento tra distretti sociali e servizi territoriali dell’Ausl, avviene nell’ambito delle Unità di valutazione multidisciplinari, così come previsto all’ articolo 21 comma 2 e 3 l.r.30/1998

La processualità dell’integrazione vede come "regole" la progettualità condivisa tra operatori, utenti, caregiver ed erogatori, attraverso l’individuazione dell’operatore referente del caso, a garanzia della responsabilità progettuale, ma anche a sostegno delle potenzialità di chi fruisce del processo assistenziale. Il referente del caso (definito dall’organizzazione canadese e anglosassone case manager), si raccorda con gli altri operatori e soggetti della rete per la elaborazione del piano assistenziale e per favorire verso l’utente l’acquisto delle prestazioni più utili e meno costose per la soluzione e rimozione dei problemi.

Protocolli di cura e assistenza per le diverse patologie garantiscono l’adesione a regole di appropriatezza e adeguatezza dei percorsi di cura e riabilitazione.

La Programmazione sociosanitaria indica attraverso il PAT la dislocazione dei servizi socio-sanitari e le sedi di integrazione con il sistema sociale.

 

 

 

 

 

3.7 L’integrazione con le politiche della scuola e del lavoro

 

Le azioni prioritarie, descritte al capitolo 5.3, individuano nel dettaglio le prestazioni che favoriscono l’accesso alla scuola, alla formazione ed al lavoro per i soggetti fragili; in questa sede si sottolinea il ruolo di un monitoraggio interdipartimentale, Formazione, Lavoro, Servizi alla Persona e Programmazione sanitaria, attento a sviluppare un "linguaggio unico" teso ad omogeneizzare ed armonizzare la modalità di intervento da parte dei diversi soggetti istituzionali e non, preposti alle tutela delle fasce fragili, prevedendo in primo piano anche il coinvolgimento dei soggetti della produzione.

 

Il monitoraggio utilizza la rete degli operatori del sistema di mediazione al lavoro, voluto dalla Legge 68/2000, ovvero quei servizi pubblici e privati che hanno come obiettivo primario la riabilitazione e la risocializzazione dei soggetti presi in carico. Non si effettuano più inserimenti "formali" o imposti dallo svantaggio della persona disabile, ma utilizzando il metodo "dell’accompagnamento" ed il prevalere della logica di riconoscimento delle abilità rispetto alle disabilità, si traguarda al "ruolo produttivo" del lavoratore svantaggiato.

 

In questa ottica diventa prioritario, come del resto individuato dalla l. 68/2000, il ruolo degli operatori a cui è affidata la mediazione formativa-lavorativa, attribuendo ai diversi attori una specifica funzione:

 

le strutture formative costruiscono, con le aziende, i percorsi professionali e di avviamento al lavoro;

i servizi distrettuali sanitari offrono il supporto medico-psicologico e le prestazioni di mediazione familiare;

i servizi sociali provvedono alla rimozione degli ostacoli sociali e a supportare le azioni di inserimento.

 

 

Obiettivo regionale è anche la realizzazione di un sistema informativo che possa essere utilizzato dai soggetti locali attraverso la raccolta, la catalogazione e l’elaborazione delle seguenti informazioni:

 

legislazione comunitaria-nazionale-regionale;

dati quantitativi sul "target";

dati qualitativi (ricerche,studi etc.);

esperienze di orientamento, formazione, inserimento lavorativo di fasce fragili attuate dai servizi pubblici e/o privati convenzionati-accreditati.

 

Tale sistema informativo occuperà apposito "spazio" all’interno del sistema "io lavoro", con un aggiornamento costante ed un continuo confronto con le realtà del territorio, che operano per le fasce fragili. Questo, potrà diventare, oltre che strumento di comunicazione, anche punto di riferimento e di aggregazione costante per operatori e utenti.

 

Per consentire l’integrazione dei percorsi operativi tra servizi sociali, sanità e formazione/lavoro si procederà attraverso:

costituzione di un Gruppo di Lavoro interdipartimentale, come sopra menzionato (in cui confluiscono le competenze dei settori Lavoro e Formazione, Servizi Sociali e Sanità);

definizione del ruolo di supporto dell’Agenzia Liguria Lavoro per la realizzazione del sistema informativo;

creazione di una rete di informazioni e di opportunità utilizzabili per le azioni di formazione e inserimento al lavoro, da implementare nel sistema informativo attraverso la collaborazione dei servizi delle Province dei Comuni (zone) e delle Aziende sanitarie;

prodotto "operativo" finale, costituito da Linee Guida emanate dalla Giunta Regionale a favore delle fasce fragili, che supporti gli operatori e le realtà locali con modalità integrate tra formazione, lavoro, servizi sociali e servizi sanitari.

 

L’operatività integrata proposta in sede regionale deve trovare gruppi multidisciplinari anche a livello locale, considerando ottimale il territorio della zona che coincide con il distretto sanitario e di massima anche con il distretto scolastico.

 

 

 

3.7.1 Strategie comuni tra politiche del lavoro e servizi alla persona per progetti comunitari 2001/2006: collegamento tra politiche del lavoro e politiche sociali

 

 

In tutta Europa la sperimentazione di nuovi mix tra mercato del lavoro e occupazioni sociali è in atto: anche in Liguria il futuro dei servizi sociali è fortemente correlato con la possibilità di creare un’integrazione forte fra reti famigliari-parentali, azione volontaria-solidale e soggetti pubblici, del privato sociale, privati. Come si è detto negli indirizzi strategici, uno degli obiettivi delle politiche sociali è quello di promuovere e rafforzare le possibilità della comunità locale di auto-tutelarsi e auto-organizzarsi, mettendo tutte le risorse a sistema secondo un principio di sussidiarietà orizzontale.

La sfida principale appare quella di ampliare l’area della cittadinanza e di ridimensionare i processi di esclusione sociale, puntando sull’efficienza economica e facendo perno su una strettissima collaborazione tra pubblico e privato, utilizzando la formazione ed i percorsi integrati di inserimento lavorativo come strumento di inclusione sociale e di occupabilità. Gli atti di programmazione relativi ai progetti di seguito individuati, sono elaborati d’intesa tra i competenti Assessorati. Il quadro seguente offre una sintesi per la elaborazione di progetti con il concorso dei contributi europei per i quali si propone una forte interrelazione programmatoria tra i competenti settori regionali.

 

 

 

 

INTERVENTI DI INTERESSE SOCIALE nell’ambito del P.O.R. Liguria - Obiettivo 3 2000-2006

 

 

 

Misura

Titolarità

Destinatari

Azione

Progetto

B1 Inserimento lavorativo e reinserimento gruppi svantaggiati

Regione

Province

Persone portatrici di handicap fisici e mentali, detenuti ed ex detenuti, cittadini extracomunitari, nomadi, tossicodipendenti ed ex tossicodipendenti - sieropositivi, persone appartenenti a minoranze etniche, alcolisti ed ex alcolisti, persone inquadrabili nei fenomeni di nuova povertà - personale che opera nei servizi sociali (incluso terzo settore), formatori, operatori scolastici e dei centri per l’impiego - datori di lavoro, parti sociali, famiglie.

B1.2b Assistenza a strutture e sistemi:

Indagini e ricerche.

Formazione e riqualificazione del personale: sperimentazione e avvio del collocamento mirato dei disabili e svantaggiati.

B1.2c Misure di accompagnamento rivolte al contesto sociale e politico-programmatorio; azioni informative specifiche finalizzate alle utenze deboli; promozione dell’ autoimprenditorialità

"Progetti integrati per l’inserimento sociale e lavorativo delle fasce deboli",

anche in funzione della creazione d’impresa sociale.

D2 Adeguamento delle competenze della Pubblica Amministrazione

Regione

Province

Responsabili delle Segreterie tecniche ed altri Funzionari e operatori pubblici

D2.2b Assistenza a strutture e sistemi: Programmi di formazione volti a migliorare la qualità dei processi di programmazione, progettazione e gestione dei servizi pubblici

"Formazione finalizzata alla predisposizione di piani /patti sociali territoriali" (progettazione integrata territoriale)

D3 Sviluppo e consolidamento dell’imprenditorialità con priorità ai nuovi bacini d’impiego

Regione Province

Occupati e disoccupati giovani e adulti, piccole e medie imprese

D3.2a Aiuti alle persone:

Aiuti ed incentivi economici e azioni di accompagnamento per supportare la creazione d’impresa, l’autoimprenditorialità ed il lavoro autonomo, favorire l’emersione del lavoro nero e del sommerso; progetti integrati di creazione d’impresa; promozione e sviluppo dell’impresa sociale.

"Promozione e sviluppo dell’impresa sociale", anche in funzione dell’attivazione della sperimentazione sull’assegno servizi.

E1 Promozione della partecipazione femminile al mercato del lavoro e promozione delle pari opportunità

Regione, Province

Occupati, disoccupati, giovani e adulti, imprese, parti sociali

E1.2a Aiuti alle persone:

Percorsi integrati di creazione d’ impresa e lavoro autonomo; Sperimentazione di nuove forme di accesso al lavoro (AS)

E1.2c Misure di accompagnamento: Azioni di assistenza domiciliare delle persone a carico; Sperimentazione nuove figure professionali di sostituzione lavoratrici.

"Formazione di operatori e progettazione di servizi di aiuto domestico"

anche in funzione dell’attivazione della sperimentazione dell’assegno servizi.

 

 

4. GLI ORGANI DI GOVERNO DEL SISTEMA SOCIALE E LE CONNESSIONI CON IL SISTEMA SANITARIO E SOCIO-SANITARIO

 

 

I soggetti istituzionali derivati dalle leggi regionali 30/1998 e 25/2000, mantengono la loro attualità anche dopo le modifiche della legge 328/2000; la programmazione regionale provvede ad una loro rivisitazione in corrispondenza al d.lgs. 229/1999 e alla l. 328/2000, particolarmente per dare attuazione alla integrazione socio-sanitaria.

 

La Conferenza dei Sindaci, che con la pianificazione socio-sanitaria assume le caratteristiche del soggetto politico territoriale per le macro scelte di politica della salute e di politica sociale, si articola nelle Conferenze di zona, che data la coincidenza geografica con i distretti sanitari, possono esercitare anche le funzioni di Comitato dei Sindaci di distretto sanitario, quale organismo politico che riassume in sé le funzioni programmatorie per l’intervento sociale e socio-sanitario con la elaborazione dei piani di zona (PdZ) e del piano delle attività territoriali (PAT), con omogeneità di intenti e di indirizzi, sia per le azioni di piano che per gli aspetti finanziari da concordarsi tra Conferenze e Direttore dell’AUSL e del Distretto sanitario; per garantire negli Enti Locali, continuità e collegamento tra le politiche sanitarie e socio-sanitarie di livello regionale, di Unità Sanitaria Locale e di Zona/distretto sanitario, sarebbe preferibile che i Sindaci dei Comuni esprimessero la stessa delega per la Conferenza di Zona (o Conferenza di zona socio-sanitaria) e la Conferenza dei Sindaci.

 

Si riportano stralcio della disciplina inserita nella pianificazione sanitaria relativa agli organismi delle autonomie locali e al distretto sanitario:

 

 

Conferenza socio-sanitaria regionale delle Autonomie locali

1. Alla Conferenza socio sanitaria delle autonomie locali di cui all’articolo 2 della legge regionale 10 febbraio 1999, n. 5 (attribuzione agli Enti locali e disciplina generale dei compiti e delle funzioni amministrative conferite alle Regioni dal D. lgs. n. 112/1998 nelle materie "Tutela della salute", "Servizi sociali") sono attribuite le funzioni e i compiti previsti dall’articolo 2, comma 2 bis del d. lgs. 502/1992 e successive modificazioni e integrazioni.

2. La Conferenza, in particolare, esprime il parere su:

piano socio-sanitario regionale;

piano triennale degli interventi e servizi sociali;

criteri generali per la ripartizione delle risorse riguardanti il finanziamento delle politiche sociali;

atti regionali per l’integrazione degli interventi sanitari e sociali;

eventuali indirizzi emanati dalla Regione per l’elaborazione dei piani attuativi locali;

relazione annuale sullo stato sanitario della Liguria.

3. La Conferenza, in sede di programmazione degli interventi socio sanitari esprime, altresì, pareri e proposte sugli obiettivi, le funzioni e i criteri di erogazione delle prestazioni socio-sanitarie, ivi compresi i criteri di finanziamento.

4. La Conferenza, nominata dal Presidente della Giunta regionale, è presieduta dagli Assessori regionali alla Sanità e ai Servizi alla Persona ed è composta da:

Presidenti delle Province;

Presidenti delle Conferenze dei Sindaci;

Direttori generali delle Aziende Unità Sanitarie Locali (A.U.S.L.).

una rappresentanza dell’ANCI

5. La Conferenza svolge anche le funzioni di cui all’articolo 2, comma 2 quater del d. lgs. 502/1992 e successive modificazioni e integrazioni esprimendo pareri e proposte per il coordinamento delle attività delle strutture sanitarie operanti nell’area metropolitana quali l’emergenza e l’urgenza e l’accesso unificato alle prestazioni ambulatoriali e specialistiche. A tal fine la composizione della Conferenza è integrata con i rappresentanti delle Aziende ospedaliere, degli Enti ospedalieri e degli Istituti a carattere scientifico presenti nell’area metropolitana.

6. Le modalità di funzionamento della Conferenza sono disciplinate dalla stessa sulla base di uno schema di regolamento approvato dalla Giunta regionale.

 

 

Conferenza dei Sindaci

I Sindaci dei Comuni compresi nell’ambito territoriale di ciascuna A.U.S.L. sono costituiti in Conferenza ai sensi dell’articolo 3, comma 14 del d. lgs. 502/1992.

La Conferenza nomina nel suo seno il Comitato di rappresentanza che è composto dal Presidente della Conferenza e da quattro rappresentanti delle Conferenze di zona. Le modalità di funzionamento della Conferenza sono disciplinate dalla stessa sulla base di uno schema di regolamento predisposto dalla Giunta regionale.

La Conferenza è dotata di una segreteria tecnica come supporto tecnico-professionale, amministrativo ai Comuni e all’Azienda sanitaria.

I seguenti atti aziendali sono adottati previa intesa con la Conferenza dei Sindaci:

piano strategico triennale;

bilancio pluriennale di previsione, bilancio di previsione economica annuale, bilancio consuntivo di esercizio;

piano attuativo locale.

L’intesa si perfeziona con l’espressione dell’assenso da parte della Conferenza dei Sindaci.

Qualora l’intesa non sia raggiunta entro 45 giorni dalla trasmissione degli schemi di provvedimento alla Conferenza, il Direttore generale dell’A.U.S.L. informa la Regione e provvede con deliberazione motivata.

La Conferenza dei Sindaci provvede, altresì a:

determinare d’intesa con il Direttore generale dell’A.U.S.L., i Distretti sanitari che coincidono con le zone sociali;

verificare l’andamento generale dell’attività, trasmettendo le proprie valutazioni e proposte al Direttore Generale;

esprimere alla Regione il parere previsto dall’articolo 3 bis, comma 6, del d. lgs. 502/1992 per la conferma del Direttore generale dell’A.U.S.L.;

richiedere alla Giunta regionale, con decisione assunta a maggioranza qualificata, alla Regione di revocare il Direttore generale dell’A.U.S.L. ovvero di non disporne la conferma, ove il contratto sia già scaduto, nel caso di manifesta inattuazione nella realizzazione del PAL;

adottare linee di indirizzo per l’integrazione delle attività sanitarie e sociosanitarie con gli interventi sociali, promuovendo forme di coordinamento e di intesa;

garantire che gli accordi per l’esercizio delle attività socio-sanitarie abbiano copertura economica per la quota parte rispettivamente a carico dei Comuni e dell’A.U.S.L.

 

 

 

 

 

 

 

Comitato dei Sindaci di Distretto

La Conferenza di zona di cui all’articolo 12 della l.r. 30/1998 coincide con il Comitato dei Sindaci di Distretto di cui al comma 4, dell’articolo 3 quater del d. lgs. 502/1992 e successive modificazioni e integrazioni.

Il Programma delle attività territoriali è approvato dal Direttore generale previa intesa con la Conferenza; a tal fine, la Conferenza esprime il proprio assenso entro 45 giorni dal ricevimento della proposta di Programma.

Nel caso in cui entro tale termine non sia raggiunta l’intesa, il direttore generale approva con atto motivato il Programma delle attività territoriali limitatamente alle attività e ai servizi sanitari e sociosanitari a totale carico dell’A.U.S.L.

 

Funzioni del Distretto Sanitario

 

1. L’organizzazione distrettuale garantisce l’erogazione delle attività e delle prestazioni di cui all’articolo 3 quinquies del d. lgs. 502/1992 nel rispetto dei seguenti principi:

unicità di accesso per i cittadini e semplificazione delle procedure;

erogazione di prestazioni e servizi assicurando la continuità e l’integrazione dei processi e dei percorsi assistenziali;

sviluppo di programmi assistenziali in continuità di cura a remunerazione forfettaria;

coordinamento e integrazione dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta con le strutture e i servizi che erogano prestazioni sanitarie;

supporto organizzativo, informatico e di segreteria ai medici di medicina generale e ai pediatri di libera scelta promuovendone forme di collaborazione e di associazionismo.

2. Le A.U.S.L. e gli Enti locali garantiscono l’integrazione su base distrettuale delle prestazioni sanitarie, socio sanitarie e sociali, garantendo l’integrazione dei diversi processi assistenziali.

3. Il Programma delle attività territoriali:

definisce la localizzazione dei servizi di cui all’articolo 3 quinquies del d. lgs. 502/1992 prevedendo processi e percorsi assistenziali integrati;

assicura l’integrazione tra i servizi di assistenza primaria, i servizi e le prestazioni a elevata integrazione sociosanitaria e le altre prestazioni sociosanitarie;

determina le risorse per l’integrazione sociosanitaria e le quote rispettivamente a carico dell’A.U.S.L. e dei Comuni.

4. Le prestazioni sociosanitarie di competenza e a carico in quota parte della A.U.S.L. e dei Comuni devono trovare preventiva copertura economica e patrimoniale nel Programma delle attività territoriali o nei Piani di Zona di cui all’articolo 19 della l. 328/2000 ovvero in apposite intese o accordi a tal fine conclusi tra l’A.U.S.L. e i Comuni.

 

 

 

 

 

La tabella seguente, elenca in sintesi le funzioni degli organi di governo regionale e locale e le competenza tecniche del sociale per le connessioni con la sanità:

 

ORGANI DI GOVERNO

FUNZIONI PROGRAMMATORIE

 

OBIETTIVI PER IL RACCORDO SOCIO-SANITARIO

CONFERENZA SOCIO-SANITARIA REGIONALE

(Composta da Assessori regionali sanità e servizi alla persona, Presidenti Confe-renze dei Sindaci, delle Province e Direttori ASL)

Valuta ed esprime parere sulla pianificazione sociale, sanitaria, socio-sanitaria e su particolari progetti integrati e criteri di ripartizione delle risorse finanziarie.

Lavoro coordinato tra i settori Promozione sociale e interventi per la Famiglia e Programmazione sanitaria e livelli di Assistenza, per l’emanazione di atti coerenti con l’integrazione

CONFERENZA DEI SINDACI (esprime un Comitato di rappresentanza, composto dai Presidenti di Zona)

Deve provvedere alle macro linee del piano sociale, e al piano di salute dell’A.U.S.L, compreso i servizi socio sanitari.

Deve essere dotata di supporto tecnico, con Coordinatore amministrativo e due esperti: uno in materia sanitaria, uno in materia sociale. Spetta all’Esecutivo dei Sindaci la designazione dell’esperto tecnico sociale.

E’ da consolidarsi la figura dell’esperto sociale con funzioni di coordinamento della materia sociale all’interno della Conferenza e per i rapporti con l’assetto direzionale dell’AUSL per i servizi integrati.

E’ prevista specifica formazione.

CONFERENZA DI ZONA (coincide con il Comitato dei Sindaci di Distretto Sanitario)

Le zone individuano i distretti sociali e formulano i piani sociali di zona e individuano l’allocazione dei servizi sociali "complessi" (sovradistrettuali e sovracomunali).

Con il nuovo piano sanitario devono poter formulare anche i piani socio-sanitari del distretto sanitario in accordo con l’AUSL.

Le zone sociali sono dotate di segreteria tecnica che provvederà

anche al socio-sanitario

E’ da stabilizzarsi il ruolo delle segreterie tecniche per provvedere oltre che alla programmazione sociale di zona e al raccordo con i Programmi delle attività territoriali socio-sanitarie (PAT).

E’ prevista specifica formazione.

ASSOCIAZIONE INTERCOMUNALE DI DISTRETTO SOCIALE (per i piccoli Comuni può essere agita anche attraverso le Comunità Montane)

I responsabili dei distretti sociali, attraverso la segreteria tecnica allargata partecipano alla programmazione sociale e socio-sanitaria dei Piani di Zona e dei Programmi delle attività territoriali (PAT).

L’ erogazione dei servizi sociali di base e complessi, gestiti in forma diretta o indiretta, è assicurata dall’équipe di distretto sociale, che, per i servizi socio-sanitari si interfaccia con gli operatori del distretto sanitario.

 

L’associazionismo intercomunale.

 

E’ l’elemento portante per consentire la realizzazione della rete assistenziale. Per i distretti sociali e per le zone, è regolamentato da indirizzi e linee guida da emanarsi, da parte della Giunta Regionale, entro 120 giorni dall’approvazione del presente Piano, i cui principi fondamentali, di seguito sintetizzati, traggono origine dal capo V (forme associative) del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti locali: Dlgs 18 agosto 2000 n.267.

 

L’associazionismo intercomunale può concretizzarsi anche attraverso forme associative in essere, quali le Comunità Montane.

 

Le forme associative: sono disciplinate dagli articoli 30, 31, 32, 33 e 34, del testo unico sopra citato; l’oggetto e le finalità dell’associazione definiscono meglio anche le modalità associative da adottare: convenzione, consorzi, unione di comuni, esercizio associato di funzioni e servizi, accordi di programma. Per lo svolgimento della materia sociale secondo l’organizzazione illustrata, la più idonea è la forma individuata dall’articolo 33: "esercizio associato di funzioni e servizi", che può essere utilizzata per associazione distrettuale e per la zona; le convenzioni possono essere utilizzate dal comune capofila per la fruizione di servizi da parte di altri comuni e gli accordi di programma ed i protocolli di intesa (per i progetti sovracomunali e distrettuali con il Comune capofila e per i piani integrati con le AUSL o altri Enti).

 

I principi e criteri direttivi da prendere in considerazione e da inserire negli atti per l’esercizio delle funzioni gestionali o programmatorie associate sono così riassunti:

 

Finalità e ambito di applicazione dell’intesa;

Territorio di competenza e sedi di erogazione dei servizi;

Organi, funzioni e compiti dell’associazione intercomunale;

Regolamento per l’organizzazione e il funzionamento dei servizi sociali, definizione delle prestazioni da erogare in forma associata;

Atti per consentire l’operatività comune: intese, convenzioni, etc;

Definizione della struttura professionale e sua localizzazione per lo sportello di cittadinanza (distretto sociale) e la zona (ruolo dei servizi svolti da determinati comuni a favore di altri, ruolo della segreteria tecnica di zona, ruolo e compiti del comune capofila, etc.);

Modalità di accesso alle prestazioni;

Modalità di applicazione del concorso alla spesa da parte degli utenti (con le deroghe);

Modalità di elaborazione dei piani di distretto sociale e di zona;

Modalità di coordinamento tra servizi sociali e sanitari con particolare riferimento ai medici di medicina generale e alle unità operative socio-sanitarie dell’AUSL..

 

 

5. LA PROGRAMMAZIONE DEL SISTEMA SOCIALE: AREE DI PRIORITA’

 

 

 

5.1. Aspetti generali e riferimenti per la programmazione

 

Alla programmazione del sistema di interventi e servizi sociali provvedono gli Organi istituzionali e intervengono anche, a sostegno, i soggetti della società civile (con particolare riferimento agli organismi del Terzo Settore, del volontariato e del privato) già indicati nelle linee strategiche regionali di politica sociale e socio-sanitaria. Per correlare gli indirizzi di programmazione alla domanda della popolazione e all’evoluzione dei bisogni è necessario ricorrere alle tecniche e alle metodologie dell’empowerment per coinvolgere nella programmazione e nell’operatività, anche tutte le istanze della cittadinanza.

 

Gli atti ed i documenti di riferimento per la pianificazione sociale:

 

Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali emanato a norma della l. 328/2000

Atti di indirizzo nazionali a norma della l. 328/2000 relativi ai rapporti con il terzo settore ed i requisiti minimi delle strutture residenziali

Piano triennale dei Servizi Sociali 2002/2004 comprendente gli indirizzi ai piani di Zona, le modifiche al Piano triennale 2001 e gli indirizzi tecnici dei progetti obiettivo allegati alla del.cons.reg. 44/1999

Piani di Zona relativi ai comprensori intercomunali di zona e raccordati per l’integrazione socio-sanitaria con i Piani A.U.S.L. delle attività territoriali (PAT)

 

Il Piano di Zona deve rispondere in termini generali ai principi e alle finalità indicate agli articoli 1 della l. 328/2000 e della l.r. 30/1998.

I documenti per predisporre la pianificazione locale vanno letti contestualmente al dettato legislativo degli articoli 24 e 25 della l.r. 30/1998 e dell’articolo 22 della l. 328/2000, dove si individuano i servizi essenziali che coordinati con le priorità dei piani, devono costituire per il piano di zona i punti di riferimento per offrire ai cittadini liguri un sistema sociale che sostenga e promuova le responsabilità familiari e risponda ai bisogni delle fasce fragili.

 

Come precisato in altre parti del piano, la programmazione dei servizi deve corrispondere a sostenibilità della spesa. Il principio ha valore anche per gli interventi integrati socio-sanitari in cui la Conferenza di zona, che provvede anche come Conferenza di Distretto sanitario, deve individuare le priorità a cui attendere in tema di integrazione e di spesa sociale a rilievo sanitario, sanitaria a rilievo sociale e ai livelli essenziali di assistenza.

 

Per migliore i contenuti ed i livelli di programmazione, la Regione nel procedere a verifiche sui servizi, provvederà anche alla diffusione di "best-practice" e all’utilizzo dello strumento di benchmarking per la qualità e le forme di gestione dei servizi, ivi compreso gli aspetti relativi ai costi.

 

 

5.2 I Piani di Zona: requisiti preliminari, obiettivi e contenuti.

 

L'articolo 19 della l. 328/2000 specifica quali sono le precondizioni da verificare sul territorio perché tutti i comuni, attraverso l’associazione intercomunale di zona, possano predisporre il piano delle politiche sociali di Zona:

 

Costituzione dell’associazione intercomunale, o decentramento dei grandi comuni, negli ambiti di cui all'articolo 11 della l.r.30/1998, Zone, coincidenti con il Distretto sanitario;

intesa con le Aziende Sanitarie Locali;

Individuazione delle risorse disponibili, di carattere finanziario e umano, pubbliche e accreditate (terzo settore, privato, etc.) nonché l’apporto del volontariato, dell’associazionismo e delle organizzazioni non lucrative. I finanziamenti regionali sono sussidiari rispetto alle risorse che ciascun Comune deve rendere disponibili per il funzionamento della rete dei Servizi Sociali;

Esistenza di obiettivi e priorita’ regionali di riferimento che i Piani di Zona devono riprendere per localizzarli nel territorio di competenza;

Promozione della partecipazione delle amministrazioni provinciali alla definizione e attuazione dei piani di zona.

 

Gli obiettivi del Piano di Zona

L'articolo 19 della l.328/2000 contiene, inoltre, elementi di dettaglio per puntualizzare gli obiettivi anche operativi che un Piano di Zona deve avere:

 

favorire la formazione dei sistemi sociali integrati, promuovendo risorse di solidarietà e di auto-aiuto;

responsabilizzare i cittadini e le strutture nella programmazione, nella co-progettazione e nella verifica dei servizi;

qualificare la spesa con un impiego coerente delle risorse finanziarie e con l'adozione di procedure efficienti di spesa e di controllo della stessa;

promuovere iniziative di formazione e altre azioni di sistema, per consentire la crescita delle competenze professionali delle risorse umane impegnate nella promozione e nell'attuazione del Piano di Zona, ma anche per supportare la costituzione di una struttura organizzativa dedicata e coerente con il complesso di azioni da realizzare;

consolidare, attraverso intese progettuali, i rapporti istituzionali tra Comuni, Azienda Sanitaria (Distretto sanitario), scuola, soggetti della formazione professionale e terzo settore;

programmare servizi polifunzionali, la cui tipologia di carattere sovracomunale presenta aspetti di complessità, innovazione ed eccellenza, anche utilizzando a riferimento gli indirizzi tecnici dei Progetti Obiettivo di cui alla del.cons.reg. 44/1999;

consolidare e stabilizzare, all’interno del sistema sociale, le esperienze innovative ed i servizi sperimentali che hanno dato esiti positivi (articolo 27 – l.r. 30/1998).

 

I contenuti del Piano di Zona

L'articolo 19 della l. 328/2000 illustra in dettaglio i contenuti che un Piano di Zona deve avere, le aree di priorità regionali di seguito illustrate individuano contenuti e azioni che la Zona deve programmare; la struttura del Piano deve quindi prendere in considerazione:

 

rilevazione dei dati sui principali fenomeni sociali e sull'offerta di servizi e prestazioni della zona, secondo quanto prevede il Sistema Informativo Sociale, che nella pianificazione regionale ha superato la logica dell’osservatorio sull’infanzia introdotto dalla l.285/1997, per divenire un sistema informativo capace di orientare scelte ed indirizzi operativi;

obiettivi strategici;

priorità di intervento;

modalità organizzative della struttura amministrativa e tecnico-gestionale per l'attuazione degli interventi previsti, nonché le azioni di sistema necessarie per sostenere gli attori pubblici e privati nella implementazione dei nuovi modelli organizzativi, di procedure semplificate e di metodi di lavoro più flessibili e rispondenti alla domanda;

risorse finanziarie, strutturali ed umane necessarie per realizzare gli obiettivi;

modalità di integrazione tra i comparti, che non riguarda solo il sociale con il sanitario, ma anche il comparto sociale al proprio interno: si pensi ai servizi sociali con i servizi educativi e si pensi alla introduzione della logica di caso, per cui occorre fornire una risposta complessiva a bisogni differenziati che riguardano lo stesso individuo o la stessa famiglia, come per esempio nel caso di servizi complessi quali l'ADI per anziani non autosufficienti. Si dovrà arrivare alla affermazione del case management come metodo di lavoro per la costruzione e il radicamento sul territorio si un sistema integrato di servizi;

modalità di collaborazione tra i servizi pubblici, il Terzo Settore e le istanze di solidarietà sociale;

accordi con l'Azienda Unità Sanitaria Locale e con i Distretti sanitari per l’integrazione socio-sanitaria;

requisiti di qualità, con riferimento agli standard essenziali per i servizi residenziali e diurni, e alla qualità delle prestazioni sociali e socio-sanitarie alla persona e al domicilio;

modalità di partecipazione all'accordo di programma (o all’intesa) da parte di tutti i soggetti interessati, non limitata ai soggetti pubblici, ma anche i soggetti del Terzo Settore e le altre istanze di solidarietà sociale.

 

 

Il processo di programmazione nel Piano di Zona

Per avviare il processo di programmazione ai sensi degli articoli 19 della l. 328/2000 e dell’articolo 11 della l.r. 30/1998 che porta alla stesura del Piano di Zona e degli impegni reciproci che tutti i soggetti devono assumersi per attuare gli interventi programmati, va prestata la massima attenzione ad alcune fasi di riflessione e di lavoro che fanno parte integrante del percorso di concertazione tra gli attori sociali che deve essere avviato. In particolare va effettuata l’analisi:

 

del contesto socio-economico, che deve essere rivolta ai fattori che producono domanda (la struttura demografica dei comuni, le criticità sociali cioè tutte le aree di disagio e di emarginazione, le fasce fragili, le condizioni di povertà e le altre condizioni di non autosufficienza) ed ai fattori che determinano l'offerta (i servizi esistenti, la domanda non evasa o per scarsa capienza dei servizi esistenti oppure per la presenza di esigenze diverse per le quali occorre offrire altro tipo di servizi, le assenze di risposte);

delle ipotesi da realizzare, in termini di nuova offerta, di riconversione di strutture e servizi, di modalità organizzative per i processi integrati, prendendo a riferimento uno scenario finale verso cui far muovere tutte le azioni che saranno poste in essere e rispetto alle quali vanno specificati e quantificati, ove possibile, i risultati attesi;

del piano finanziario: quantità di risorse disponibili messe a disposizione dagli attori sociali pubblici e accreditati e a quali realizzazioni risultano dedicate;

degli indicatori di risultato da raggiungere a breve, medio e lungo periodo, non solo rispetto ai destinatari finali degli interventi (in termini di risultati diretti e di impatto) ma anche rispetto alla struttura di gestione e quindi ai risultati interni e alle attività svolte;

degli strumenti di verifica delle azioni e dei risultati, riflettendo sul tipo di monitoraggio che si vuole attivare, sulle strategie e le azioni da adottare per affrontare le eventuali criticità, e quindi per esempio prevedere le azioni da compiere per riprogettare gli obiettivi e gli interventi previsti nel Piano di Zona;

dei livelli di qualità che si intende raggiungere, determinando protocolli o linee guida per le caratteristiche strutturali, per la qualità delle prestazioni e dei servizi anche in rapporto con le aspettative degli utenti; prevedendo anche azioni per la verifica della qualità e le responsabilità dei diversi soggetti rispetto a tali verifiche;

delle forme di partecipazione dei soggetti sociali, cioè come si avvia il partenariato sociale e come si agisce il rapporto per la progettazione degli interventi, per l’ attuazione degli stessi e per la loro valutazione.

 

 

5.3 I processi di pianificazione integrata

 

Per schematizzare i percorsi operativi collegati alla stesura dei progetti, particolarmente per quelli complessi come possono essere i piani di zona o i progetti integrati, si fornisce una schematizzaione del processo di: PROGETTAZIONE, MISURAZIONE, VERIFICA e VALUTAZIONE.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

5.4 Le aree di priorità

 

Le politiche sociali sono state individuate come "collante" dei rapporti tra rete dei servizi pubblici, persone e società civile; la pluralità dei soggetti erogatori ed i riscontri culturali di questa strategia possono sintetizzarsi con il concetto che l’obiettivo primario delle politiche sociali "rivisitate" dalla normativa nazionale, europea e dagli indirizzi regionali è un atteggiamento inclusivo, delle emarginazioni, proprio di una comunità solidale, che deve concretizzarsi con il sostegno al nucleo primario della società: la famiglia, a cui deriva anche il sostegno a tutti i soggetti fragili.

 

L’evoluzione della domanda dei servizi alla persona, anche per i cambiamenti della struttura sociale e produttiva, è estremamente rapida; è quindi necessario fissare alcuni servizi essenziali con la riorganizzazione dell’offerta (pubblica e privata) attraverso una concreta "architettura" di rete che preveda:

 

 

alcuni servizi per la cittadinanza, flessibili e finalizzati a sostenere le persone, la famiglia e le condizioni di fragilità, diffusi in maniera omogenea sul territorio regionale;

incentivi economici per le zone disagiate e montane;

sostegno alla domiciliarità, con forme di Welfare leggero e complesso, anche mettendo in atto interventi innovativi di "acquisto dei servizi";

promozione diffusa della reciprocità tra cittadini, mutuo-auto aiuto, attenzione e apertura al mercato delle reti solidali già attivate dalla società civile e dalle organizzazioni no-profit;

residenzialità protetta per i cittadini più fragili.

 

All’interno della rete i Comuni singoli e associati, in relazione alle loro dimensioni territoriali e in base a quanto previsto dall’articolo 22 della l. 328/2000: prevedono un’offerta di prestazioni che risponde alle seguenti aree prioritarie:

sostegno all’associazionismo intercomunale e all’assetto organizzativo dei servizi

sostegno alle responsabilità familiari e diritti dei minori e degli adolescenti

tutela delle persone anziane

tutela sociale dei disabili (particolarmente i gravi)

garantire efficaci forme di contrasto della povertà

incentivare la prevenzione e il reinserimento sociale dei soggetti dipendenti e degli emarginati

promuovere con le politiche attive del lavoro, l’inserimento e il reinserimento nel sistema produttivo di inoccupati e disoccupati di lungo periodo

 

Per ciascuna delle aree si indicano di seguito i principi, gli interventi e gli obiettivi che devono supportare l’elaborazione dei Piani di Zona.

 

 

 

5.4.1 Responsabilità familiari e diritti dei minori e degli adolescenti

 

Aspetti generali di una politica per la famiglia, l’infanzia e l’adolescenza

Il mutamento della struttura familiare, il progressivo invecchiamento della popolazione, l’evoluzione del mercato del lavoro, hanno ripercussione sulla condizione genitoriale, sulla funzione della maternità e paternità e quindi sulla condizione dei minori, con una ricaduta sulla "domanda" di servizi per la famiglia e per l’infanzia e l’adolescenza. La l. 328/2000 precisa (articolo 22, comma 1, lettera c) che gli interventi per la promozione dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, nonché gli interventi a sostegno dei minori in situazione di disagio, rientrano nel "livello essenziale delle prestazioni sociali erogabili sotto forma di beni e servizi". La legge precisa inoltre che gli interventi del sistema integrato sono realizzati secondo le finalità della l. 285/1997 (diritti ed opportunità per l’infanzia e l’adolescenza) che nelle sue finalità, si ispira alla convenzione ONU sui diritti del fanciullo.

La libera assunzione di responsabilità da parte degli individui nei confronti dei più piccoli e dei più deboli, è eticamente e socialmente, un fatto positivo. Le politiche regionali intendono quindi agevolare la famiglia per sostenere carichi familiari.

 

Il peso delle responsabilità genitoriali e, soprattutto, le difficoltà a conciliare lavoro e famiglia condizionano in modo significativo sia le scelte della coppia anche nel numero dei figli, sia la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Per le fasce con basso reddito la normativa nazionale prevede l’assegno di maternità (l.448/98) e la l. 328/2000 introduce anche l’assegno di cura e altri interventi di sostegno alla maternità e alla paternità. Per i genitori con reddito medio-basso, alcuni Comuni, forniscono anche attraverso gli interventi della l. 285/1997, forme di sostegno per poter fruire di congedi opzionali in presenza di figli piccoli. Tali servizi, devono essere generalizzati per consentire maggior agio alle famiglie per affrontare la genitorialità.

 

E’ utile, inoltre, per completare il quadro delle norme a favore della famiglia, citare la legge 8 marzo 2000 n.53 (disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città), sulle opportunità che la stessa offre di contemperare tempi di vita, di accudimento dei figli con i tempi di lavoro, nonché con forme di miglior fruizione dei servizi pubblici introducendo flessibilità degli orari e accordi con le aziende per facilitare servizi anche intra-aziendali (es.nidi, mense, etc).

 

Giova anche richiamare, a sostegno dei problemi della genitorialità e delle responsabilità familiari, le agevolazioni fiscali e tariffarie individuate a carico dei Comuni e dello Stato dal comma 5 dell’articolo 16 della l. 328/2000.

 

Oltre agli interventi pubblici nel contesto delle misure adottate dalle famiglie per la cura e la tutela dei minori e degli anziani, è anche da citare il largo ricorso alla rete di aiuti informali. E’ abbastanza abituale che le famiglie, particolarmente dove la donna lavora, si avvalgano per accudire i bambini dei nonni o di membri della famiglia "allargata" così come di servizi privati, che, oltre ad avere costi scarsamente controllati, spesso non offrono la qualità richiesta, sia per la cura dei minori che degli anziani.

 

E’ in questa occasione che le politiche attive del lavoro (province) devono promuovere attività formative che possano favorire il reingresso nel lavoro anche di donne oltre i 40 anni, ai fini di acquisizione di competenze professionali, anche semplici, tali da offrire tranquillità a chi usufruisce dell’aiuto domestico familiare.

 

All’interno delle politiche di sostegno alle responsabilità familiari, specifica attenzione deve essere dedicata alle famiglie che, di fronte alle responsabilità genitoriali, si trovano in condizioni di particolare difficoltà promuovendo a loro favore lo sviluppo di servizi (anche domiciliari) che sostengano le carenze familiari e, quando queste misure non sono sufficienti a garantire la sicurezza e lo sviluppo dei minori, prevedere anche forme di sostegno esterne alla famiglia, quali il ricorso all’affido temporaneo.

 

Gli interventi per infanzia ed adolescenza vanno comunque inquadrati in una logica di costruzione di opportunità per la famiglia e non come sua sostituzione, anche se si rivolgono a situazioni di disagio conclamato e di disadattamento. E’ per tale motivo che più che progettazione di singoli interventi o prestazioni per infanzia e adolescenza, si deve tendere da parte delle comunità locali della progettazione di politiche organiche alla propria comunità sociale, che tengano conto delle esigenze delle nuove generazioni in una logica promozionale e preventiva di sostegno, sostenendo anche gli adulti in una maggior vicinanza ai figli.

 

Va inoltre evidenziato che la convenzione ONU sui diritti del fanciullo del 20 Novembre 1989 ratificata dall’Italia e divenuta valida con la Legge n.176 del 27 Maggio 1991, fa parte dell’Ordinamento giuridico italiano. In base ad essa l’intera società e tutti i suoi organi istituzionali sono tenuti a predisporre dei programmi per il miglioramento della qualità della vita dei bambini e degli adolescenti, di cui devono promuovere e tutelare i diritti.

Questa convenzione non si limita a vietare i comportamenti illeciti, ma promuove anche le misure positive, non si limita ai bambini con particolari problematiche o patologie, ma prende in esame anche i bambini assolutamente normali il cui sviluppo va sostenuto.

 

Va infine richiamata la nuova normativa sull'adozione internazionale (Legge 476/98) " Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale (Aya, 29 maggio 1993)", che è espressione di una solidarietà sociale nei confronti di soggetti in gravi difficoltà e rientra in un più ampio quadro di interventi di aiuto e sostegno, tendenti alla promozione di migliori condizioni di vita del bambino straniero, un bambino che innanzitutto dovrebbe essere aiutato, se possibile, a rimanere nel suo ambiente. La Giunta regionale predispone apposite linee guida per la materia.

 

Per i servizi della prima infanzia nidi e altri servizi integrativi si propone di valutare innanzitutto la qualità dello sviluppo dei bambini, richiamandosi alla psicologia del "ciclo di vita" per la continuità tra tutte le tappe evolutive dell’arco della vita umana e per la notevole plasticità intraindividuale. In questa prospettiva va analizzata l’influenza che, esperienze e opportunità di cui l’individuo beneficia, esercitano sulle fasi successive del suo sviluppo, insieme ai percorsi evolutivi delle singole persone, con i loro rapidi miglioramenti e con gli eventuali problemi o disfunzioni che si possono strutturare. Questo consente anche di individuare il più precocemente possibile i profili dei bambini a rischio, diversificando gli interventi a loro favore.

 

Particolare rilevanza in quest’ottica assumono i periodi critici di transizione, punti di snodo dello sviluppo in cui l’individuo realizza una riorganizzazione sul piano cognitivo, affettivo, relazionale, che comporta cambiamenti qualitativi nel modo di affrontare la vita. In sintesi, è necessaria una specifica attenzione al processo dell’apprendimento e ai meccanismi della costruzione della conoscenza, non solo ai suoi risultati, ma nella consapevolezza di creare i "prerequisiti" sui quali si fondano successivamente gli apprendimenti scolari.

 

Pertanto, un’area di intervento privilegiata nei servizi della prima infanzia sarà quella dello sviluppo comunicativo e linguistico, stimolando, in particolare, le abilità comunicative e linguistiche, che influenzano in modo significativo l’intera organizzazione cognitiva e affettiva del bambino.

 

In tal senso la Regione, avvalendosi anche dell’Università di Genova, (Dipartimento di Scienze Antropologiche, Sezione di Psicologia) prevede iniziative sperimentali, affiancate da progetti di ricerca e da attività di formazione, rivolte agli operatori delle istituzioni della prima infanzia, mirate alle fasi di transizione dalla prima alla seconda infanzia (particolarmente per gli ultimi anni del nido e per le scuole materne), anche con l’obiettivo di favorire la realizzazione di un’effettiva integrazione tra i diversi servizi educativi, finalizzata ad un sano sviluppo del bambino. Tutto questo presuppone una stretta integrazione operativa con le strutture dell’azienda sanitaria che si occupano dell’area materno-infantile-adolescenziale.

 

Le attività a favore dell’adolescenza devono vedere in prima istanza la collaborazione degli Enti locali con i servizi scolastici, per costruire spazi comuni per ascoltare i giovani e promuoverne la realizzazione della personalità. La chiusura del primo ciclo scolastico deve coincidere con opportunità offerte all’adolescente e alla famiglia di orientarsi sulla futura formazione e sui diversi settori di potenziale occupazionalità. La forte integrazione tra scuola, famiglia, agenzie giovanili per lo sviluppo della personalità dell’adolescente, devono facilitare anche l’assunzione di responsabilità nei confronti delle dipendenze.

 

Il collegamento con i servizi di prevenzione delle tossicodipendenze dell’Azienda Unità Sanitaria Locale e in particolare con i Centri per l’adolescenza, potrà promuovere attività preventive congiunte tra Comuni, scuole e agenzie giovanili, per la conoscenza delle criticità emergenti nelle comunità adolescenziali.

 

 

Sulla devianza minorile è necessario un sistematico e persistente coordinamento tra i Servizi della Giustizia Minorile ( USSM) ed i servizi Sociali degli Enti Locali (Commissione ex articolo 13 del d.lgs. 272/1989). La positività di tale coordinamento è individuata anche nelle disposizioni del nuovo codice di Procedura Penale Minorile (DPR..448/1988) che, rispetto all'attuazione delle misure penali previste per i minorenni, pone quale aspetto centrale e qualificante dell'intervento socio-psico-educativo rivolto al minore, l'integrazione tra i due sistemi di Servizi.

 

Rispetto l’integrazione tra sistema della giustizia minorile e servizi locali, va sottolineato che il Centro Giustizia Minorile è uno dei firmatari degli accordi di programma previsti dalla l. 285/1997, ed è quindi inserito in molti progetti elaborati dai Comuni singoli e associati sulla realizzazione delle finalità previste dalla stessa legge.

 

 

Obiettivi

 

In base agli aspetti generali descritti, gli obiettivi prioritari delle politiche familiari, infantili e adolescenziali, da raggiungere nella triennalità del Piano da parte delle Zone, sono così riassunti:

 

promuovere e sostenere le responsabilità familiari e valorizzare le capacità genitoriali;

realizzare un progetto educativo nei nidi e nei servizi integrativi per la prima infanzia, con la finalità di monitorare la qualità dello sviluppo dei bambini, e facilitare l’esercizio della responsabilità genitoriali;

attivare forme di coinvolgimento e partecipazione degli adolescenti alla vita della comunità locale, per rappresentare le proprie istanze e condividere i processi di crescita comunitaria;

promuovere, facilitare e sostenere spazi di socializzazione per i gruppi giovanili, anche in collaborazione con gli Istituti scolastici e con le organizzazioni e istituzioni sociali;

promuovere da parte delle zone la valutazione della qualità dei servizi per l’infanzia e per l’adolescenza, con la messa a punto di procedure che consentano di adottare il miglioramento continuo della qualità dei servizi erogati.

 

Indirizzi ai Piani di Zona:

 

misure di sostegno alle responsabilità genitoriali (consulenza e sostegno alle famiglie attraverso mediazione famigliare in collaborazione con le attività consultoriali e promozione di gruppi di auto e mutuo aiuto).

forme di sostegno per la conciliazione tra responsabilità familiari e lavoro, particolarmente per le madri (promozione di servizi scolastici integrati, incentivi e cooperazione con le imprese per l’adozione di "orari funzionali"), anche in collegamento con la l. 53/2000;

agevolazioni e misure di sostegno economico a favore delle famiglie con figli e disagio economico (politiche tariffarie e abitative);

forme di agevolazione e sostegno delle famiglie con figli minori che presentano particolari carichi di cura (famiglie con un solo genitore e con minori con handicap grave);

realizzazione di servizi per la prima infanzia, attraverso lo sviluppo e la qualificazione di nidi d’infanzia e di servizi ad essi integrativi che consentano una risposta qualificata e flessibile a bisogni sociali ed educativi diversificati;

offerta di spazi di gioco di libero accesso per i bambini da 0 a 3 anni, con genitori, nonni, ecc., anche con la presenza di operatori di supporto alle funzioni genitoriali;

luoghi di gioco "guidato", accessibili anche ai bambini residenti in zone ad alta dispersione, mirato a favorire la socializzazione, la tolleranza, il rispetto e un rapporto positivo con se stessi e con il mondo circostante;

misure di incentivazione dell’affido familiare nei confronti di minori in situazione di forte disagio familiare e per i quali è impossibile, anche solo temporaneamente, rimanere presso la propria famiglia;

servizi di tipo prescolastico, a completamento della rete di scuole per l’infanzia, gestiti con la partecipazione dei genitori;

servizi di sostegno, cura e recupero psico-sociale di minori adolescenti e donne vittime di abusi, maltrattamenti e violenze, anche sessuali, attraverso interventi integrati tra i settori sociale, sanitario, giudiziario e scolastico;

sostegno psicologico e sociale per nuclei famigliari a rischio di comportamenti violenti e maltrattamenti, attraverso interventi di prevenzione primaria a forte integrazione sociosanitaria;

realizzazione di strutture di accoglienza a carattere famigliare per minori e donne (almeno una ogni due zone).

 

Per gli interventi a favore degli adolescenti è da considerarsi prioritario:

 

consolidare e dare più organicità agli interventi preesistenti rivolti a bambini e ragazzi, valutando costantemente la loro appropriatezza e adeguatezza;

promuovere idee ed iniziative sperimentali per conoscere nuovi bisogni della fascia giovanile attivando anche interventi innovativi che rispondano alle esigenze delle nuove generazioni;

servizi di supporto per gli studenti con difficoltà di apprendimento, anche come aiuto alla famiglia nel seguire il percorso scolastico del figlio;

offerta di spazi e stimoli ad attività di particolare interesse da parte degli adolescenti, con la presenza di operatori qualificati, per assicurare l’inclusione sociale;

percorsi sperimentali di formazione ed inserimento lavorativo per assecondare capacità, creatività e positive aspirazioni dei giovani, soprattutto di quelli a rischio di devianza;

luoghi di ascolto immediatamente accessibili, anche interni o attigui ai luoghi abitualmente frequentati dai giovani (discoteche, spazi collettivi giovanili) con operatori "esperti" sul piano psicologico-relazionale;

programmazione di campagne informative e di consulenza sulle dipendenze e sulle possibilità di affrancamento dalle stesse, utilizzando anche gruppi di auto-mutuo aiuto ed "educatori di strada";

soluzioni abitative comunitarie, di tipo familiare per adolescenti, privi di validi supporti familiari, con educatori che possano accompagnare i giovani nel percorso di autonomizzazione.

 

I Piani di Zona sono costruiti secondo gli indirizzi dei piani territoriali della l. 285/1997 (articolo 2, comma 2). Le Zone devono fare riferimento alle esperienze e agli attori che hanno partecipato ai piani territoriali consolidandone gli obiettivi e la metodologia, e perfezionando la qualità degli interventi.

 

 

 

 

5.4.2 Tutela delle persone anziane

 

Considerazioni generali

La dinamica demografica pone la Liguria tra le aree geografiche a più alta percentuale di anziani. Le persone in età superiore ai 65 anni sono circa il 25% e si attestano al 12% quelle di oltre 75 anni. L’allungamento dell’aspettativa di vita (sono stati aggiunti più di trent’anni alla vita media dall’inizio del XX secolo), insieme alla riduzione del tasso di fecondità totale (il numero di nati per donna in età feconda è inferiore all’1, tra i più bassi al mondo) ha portato la Liguria ad essere una regione in cui la popolazione degli ultra sessantacinquenni ha largamente superato quella dei giovani con meno di 15 anni.

 

Dall’indagine multiscopo dell’Istat sulle condizioni di salute emerge che nel 1999 i disabili sono il 5% della popolazione con età superiore a 6 anni e tra le persone con disabilità, il 73,2%, sono anziani per i quali il rischio di malattie, in particolare di quelle invalidanti, aumenta esponenzialmente con il passare degli anni.

 

L’invecchiamento della popolazione, sta modificando fortemente le reti familiari e l’insieme dei bisogni cui esse tradizionalmente facevano fronte. Le famiglie con almeno un anziano sono (secondo l’indagine Multiscopo dell’Istat a livello nazionale) il 34,8% del totale (con un solo anziano nel 22,9% dei casi, con due o più anziani nell’11,9% ). Gli anziani che vivono soli sono il 27% e tra questi, l’81% sono donne.

 

Da dati nazionali, il 24% degli anziani soli riceve aiuti informali e (soltanto) il 5% riceve aiuti dal Comune o da altri enti ed istituzioni.

 

Va però affermato che contestualmente aumenta il numero di persone anziane che contribuiscono attivamente alla vita sociale o che offrono un sostegno (aiuto) informale alla famiglia. Il 58% dei nonni – pari a circa 6,3 milioni di persone – ha almeno un nipote con meno di 14 anni e l’84,2% dei nonni si prende cura dei nipoti almeno in qualche occasione.

 

L’invecchiamento è un processo naturale che si sviluppa in modo differenziato secondo i contesti sociali, economici, culturali e familiari nei quali esso avviene. Non si tratta di un processo omogeneo e lineare: le condizioni che esprimono la vecchiaia sono diverse, come sono diversi i bisogni ad essa correlati. E’ ovvio che influiscono sulle modalità di invecchiamento anche le condizioni occupazionali dell’età adulta, lavori usuranti o di particolare gravosità possono modificare le condizioni psico-fisiche dell’individuo per affrontare la terza età in termini di "salute". Dal punto di vista funzionale ci sono situazioni di totale autonomia e situazioni di totale dipendenza. Rispetto ai legami con la comunità, e quindi ai meccanismi di appartenenza sociale, mentre aumentano le persone anziane che contribuiscono alla vita sociale permangono situazione di debolezza e fragilità dipendente dall’indebolimento dei ruoli sociali.

 

La centralità della famiglia nella cura della non autosufficienza è un dato consolidato. Per valorizzare le azioni di tutela e di sostegno che i figli possono offrire ai genitori anziani, è necessario predisporre servizi e aiuti, destinati ad integrare il lavoro di cura (quotidianamente o per periodi di sollievo), sostenere psicologicamente e con iniziative parallele la persona che si prende cura di un non autosufficiente per aiutarla a far fronte ai maggiori impegni.

 

Il sostegno e l’affiancamento delle famiglie in cui siano presenti anziani non autosufficienti e particolarmente delle famiglie mononucleari che sono in Liguria oltre il 20% può essere reso concreto solo attraverso un effettivo sviluppo della rete dei servizi e delle prestazioni, che deve poter disporre di strumenti, professionalità e strutture sufficienti a garantire flessibilità funzionale ed organizzativa, adeguata alle diverse esigenze delle famiglie. Tali esigenze vanno considerate a partire dalla possibilità, per le famiglie, di entrare in comunicazione con il sistema dei servizi, di veder accolte e considerate le proprie proposte nella ricerca di soluzioni rispetto ai problemi che si trovano ad affrontare, di poter fruire di programmi individualizzati che tengano conto della trasformazione nel tempo delle condizioni di bisogno.

 

La necessità di differenziare i servizi rivolti alla popolazione anziana nasce non solo dalla carenza di risorse in rapporto al sempre crescente numero di potenziali utenti, ma anche dalla coscienza di restituire alle persone anziane una sorta di potere di autodeterminazione, cioè di scegliere tra i servizi possibili quello più rispondente alle proprie preferenze.

 

Il complesso di fenomeni legati ai mutamenti demografici e sociali richiede una forte innovazione e diversificazione nell’offerta di servizi e interventi nonché nella creazione di sinergie e collaborazioni tra servizi, reti familiari, associazioni di auto e mutuo aiuto, volontariato. Richiede anche di guardare alla famiglia in modo "attivo", prestando attenzione alle risorse e alle potenzialità disponibili al suo interno, valorizzando e sostenendo in parallelo le associazioni e i gruppi e le forme di solidarietà inter ed intra-generazionali.

 

 

Obiettivi

 

Partendo dalle premesse illustrate, le politiche sociali della Liguria per gli anziani si pongono due obiettivi prioritari:

 

sostenere le famiglie con anziani bisognosi di assistenza a domicilio

incrementare e innovare l’offerta di servizi, introducendo forme di welfare leggero quali i titoli di acquisto dei servizi

 

Indirizzi ai Piani di Zona

 

Tali obiettivi sono in sinergia con politiche nazionali, particolarmente quelle fiscali che riconoscono tra le detrazioni le spese per l’adeguamento delle abitazioni alle esigenze degli anziani e le spese per l’aiuto domestico familiare. Quali indicatori del potenziamento dell’offerta di servizi per la popolazione anziana, i Piani di Zona dovranno prevedere:

 

la diffusione dell’assistenza domiciliare, in tutte le associazioni intercomunali che costituiscono il distretto sociale, con l’aumento del 3% nel triennio, pari ad una media del 1% per ciascun anno di vigenza del Piano, al fine di raggiungere, nel 2004, una risposta pari al 4,5% degli ultrasettantacinquenni che corrisponde al 60% circa della media europea di assistenza domiciliare pari al 7,5-8% degli ultrasettantacinquenni.

E’ ricompresa nell’assistenza domiciliare anche la dotazione di sistemi di telesoccorso. A tale scopo, Comuni e Aziende Sanitarie, nel Piano di Zona e PAT partecipano alla spesa ripartendosi i costi al 50% secondo quanto previsto dall’Atto di Indirizzo sull’integrazione socio-sanitaria di cui al d.p.c.m. 14/02/2001, recepito nel precedente capitolo 3.

l’attivazione di almeno un centro diurno (possibilmente integrato con prestazioni sanitarie fornite dal distretto sanitario per l’assistenza agli anziani con patologie degenerative) in ciascuna Zona;

sviluppare un’offerta di residenzialità sociale, assistita da prestazioni sanitarie di carattere medico e riabilitativo (laddove necessario), che preveda anche l’attivazione di forme residenziali di tipo comunitario familiare (comunità alloggio, alloggi protetti) per offrire una ulteriore disponibilità nel triennio del 1,8 per mille (circa 700 posti);

potenziare servizi di sollievo per sostenere, anche d’intesa con l’A.U.S.L., gli anziani non autosufficienti e le famiglie che li assistono.

 

La realizzazione delle sopraindicate attività è opportunamente sostenuta dai finanziamenti regionali ex l.r. 30/1998 e da quelli derivati dalla l.328/2000.

 

In termini di indirizzo alle Zone vengono individuati anche obiettivi collaterali a quelli prioritari:

 

istituzione di servizi civili, a cui partecipano le persone anziane per valorizzarne le esperienze e competenze;

servizi a sostegno della domiciliarità, trasporti adeguati che permettano una sufficiente mobilità e l’autonomia nelle attività quotidiane;

ospitalità temporanea, da un giorno a un massimo di tre mesi, nelle strutture residenziali, in posti associati ai centri diurni, per le necessità familiari urgenti;

affidamento di anziani a famiglie selezionate anche sulla compatibilità reciproca relativa ad abitudini di vita e ad ambito territoriale di appartenenza;

promozione di attività di volontariato o di utilità sociale favorendo lo sviluppo dell’auto-mutuo aiuto per sostenere le piccole esigenze dell’anziano nella vita quotidiana;

apertura delle strutture residenziali e diurne alla comunità locale nella quale sono inseriti e promozione di incontri intergenerazionali in particolare tra minori, giovani e anziani;

soggiorni marini o in altre località, anche per persone ricoverate in strutture residenziali.

 

 

5.4.3 Tutela sociale dei disabili

Dall’indagine multiscopo dell’Istat sulle condizioni di salute, effettuata a livello nazionale, emerge che nel 1999 i disabili sono il 5% della popolazione superiore ai 6 anni. Le persone con disabilità sono prevalentemente concentrate tra ultrasessantacinquenni (73,2%). Possono essere considerati disabili gravi il 2,8% della popolazione.

 

Anche se le indagini prenatali e la pratica della prevenzione influiscono positivamente sull’incidenza quantitativa dell’handicap, va contemporaneamente sottolineato che il trend complessivo della disabilità è in aumento sia in Italia che in Liguria in quanto – proprio per la maggior tutela sanitaria e socio-sanitaria dell’età perinatale e neonatale – molti minori (o giovani adulti) che precedentemente erano portati a soccombere nelle età primarie, registrano in oggi un aumento della vita media. A questo si aggiungono i progressi della medicina, con particolare riferimento al campo della genetica, che consentono, con supporti terapeutici e farmacologici, anch’essi un prolungamento della vita. Entrambe le condizioni richiedono comunque il potenziamento di azioni sanitarie e di misure per l’inclusione sociale mirate e continuate nel tempo.

 

Considerando i diversi livelli di disabilità, quello più grave è rappresentato dall’isolamento della persona derivato da livelli di autonomia pressoché nulli e dalla permanenza in casa per impedimento fisico o psichico, dalla incapacità di assumere farmaci autonomamente, di gestire moneta e servizi quali il telefono, i mezzi di trasporto. La stessa indagine individua come isolati in casa il 2,2% delle persone di età superiore ai 6 anni e per le persone con più di 80 anni la percentuale raggiunge il 24%. Le famiglie con almeno un disabile grave sono il 6,6% delle famiglie italiane.

 

Dai dati evidenziati si può comprendere che anche per la tutela dei disabili, come per gli anziani, esiste una centralità della famiglia. Il sostegno e l'affiancamento delle famiglie in cui siano presenti disabili totalmente non autosufficienti può divenire "concreto" solo con uno effettivo sviluppo della rete dei servizi e l’integrazione delle prestazioni sociali, sanitarie e dell’istruzione.

 

La rete dei servizi deve poter disporre di strumenti, professionalità e strutture sufficienti a garantire l'attivazione di forme di supporto flessibili a soddisfare innanzitutto le esigenze organizzative e psicologiche della famiglia, che possono richiedere, nei diversi momenti e nelle diverse situazioni, forme di sostegno, di affiancamento o di sostituzione dei carichi assistenziali, fermo restando il compito dell’AUSL di provvedere alle funzioni di cura e riabilitazione con forme ambulatoriali, domiciliari, residenziali diurne.

 

Alle attività ordinarie, vanno aggiunti "ricoveri e assistenze di sollievo" laddove si verificano riacutizzazioni delle condizioni psico-fisiche o sono necessari momenti di riposo per il nucleo familiare.

 

In tutte le zone della Regione, nella maggioranza dei Distretti sociali, con i finanziamenti erogati con il fondo sociale, ed in maniera specifica sull’handicap attraverso la legge 162/98, sono stati messi in atto interventi per la disabilità, particolarmente per quella grave, che si possono così sintetizzare:

 

aiuto alla persona e sostegno alla famiglia;

supporti, in beni e servizi, per facilitare e consentire la permanenza a domicilio, promuovendo forme di sostegno all’autonomia sociale del disabile e per favorirne il suo mantenimento;

interventi di "sollievo" alle cure familiari, soprattutto per i gravissimi sostenendo tempi familiari di assistenza nelle giornate festive e prefestive;

attività di socializzazione attraverso interventi personalizzati di accompagnamento e partecipazione alla vita sociale, anche attraverso centri diurni;

attività per promuovere e supportare l’inserimento nella scuola, nella formazione professionale e nel lavoro (es: borse di lavoro o altre forme di sostegno all’inserimento in attività produttive);

promozione, anche secondo le politiche comunitarie, dell’accessibilità allo sport e al tempo libero

 

Obiettivi

 

Nell'ambito del Programma di Azione per le politiche dell'handicap 2000-2003, adottato dal Consiglio dei Ministri nel luglio 2000 e nel quadro del processo di integrazione dei servizi sociali e di quelli sanitari, per favorire una piena tutela dei disabili e delle loro famiglie e promuovere opportunità di integrazione, assumono particolare rilievo alcuni obiettivi che la Regione Liguria fa propri per la presente pianificazione e che sono i seguenti:

 

sostenere e sviluppare l’autonomia e le capacità possibili delle persone non autosufficienti,

rimuovere gli ostacoli che aggravano la condizione di disabilità,

creare condizioni di pari opportunità per i disabili per il loro accesso ai servizi riabilitativi di cui al capitolo 3, punto 5, "prestazioni sanitarie a rilievo sociale", con particolare riferimento alla presa in carico delle unità di valutazione multidisciplinare nella fase di mantenimento per le misure riabilitative, educative e scolastiche;

sostenere e sollevare, con interventi integrati socio-sanitari di tipo domiciliare e diurno, le famiglie con disabili gravi, al fine di limitare il ricorso all'istituzionalizzazione;

promuovere un progetto sperimentale di assistenza domiciliare per i cerebrolesi gravi.

Indirizzi ai Piani di Zona

 

Con riguardo agli obiettivi sopra indicati, in relazione alle disponibilità finanziarie assegnate e tenuto anche conto di quanto le Zone ed i Comuni, d’intesa con le Aziende sanitarie, hanno attivato attraverso i finanziamenti della l.162/1998 per sostenere e sviluppare l'autonomia delle persone disabili nonché per supportare le famiglie con disabili gravi, anche in collegamento con l’Azienda sanitaria, i Piani di Zona dovranno prevedere le seguenti azioni:

 

individuazione di soluzioni abitative adeguate alla disabilità fisica, anche grave, favorendo la ristrutturazione delle abitazioni degli interessati secondo la legge 13/89 (disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati) e le leggi regionali applicative, l’utilizzo di patrimoni comunali finalizzati a interventi sociali o di edilizia popolare, la dotazione di tecnologie adeguate;

sviluppo di servizi di assistenza a domicilio per favorire la permanenza dei disabili presso la propria abitazione anche quando privi di sostegno familiare, per sollevare la famiglia (quando presente) e per permettere al disabile un soddisfacente uso del tempo libero;

sviluppo di piani di apprendimento o recupero di capacità nella gestione della vita quotidiana, anche in vista del "dopo di noi", cioè del momento in cui la famiglia non è più in grado di assistere il disabile;

misure volte a consentire al disabile grave una vita di relazione e sociale il più possibile piena e indipendente (garantendo efficaci mezzi di trasporto, promuovendo programmi di accesso ai servizi per il tempo libero, favorendo la pratica sportiva, ecc.);

previsione di soluzioni residenziali di emergenza o di sostegno domiciliare per necessità temporanee o imprevedibili;

sviluppo di centri diurni a sostegno della permanenza in famiglia di persone con handicap grave;

misure di sostegno all’inserimento scolastico e lavorativo per disabili di non elevata gravità, attraverso adeguati servizi individuati dalla zona per sostenere ed attivare funzioni di autonomia e valorizzare lo sviluppo delle capacità del disabile, prevedendo azioni di "accompagnamento" tra scuola, formazione e riabilitazione, coinvolgendo le famiglie dei disabili e le loro associazioni, i soggetti del terzo settore, quali parti attive del processo di acquisizione di autonomia;

sperimentazione di programmi di assistenza, anche in forma indiretta ed autogestita, per la vita indipendente delle persone non autosufficienti.

 

 

Gli indicatori per valutare l’ applicazione degli indirizzi sopra illustrati sono:

 

attivare o potenziare, laddove esistente, almeno un centro socio-riabilitativo (ad integrazione sanitaria) per ciascuna Zona;

attivare per ciascun territorio corrispondente alle Conferenze dei Sindaci (ambito AUSL) una comunità alloggio secondo i progetti del "Dopo di noi";

potenziare l’assistenza domiciliare e forme di sostegno ai disabili gravissimi (in oggi pari allo 0,8%) incrementando l’offerta di almeno il 3% secondo le indicazioni del piano nazionale che prevede una stima di servizi domiciliari per i disabili di almeno il 3% rispetto alla domanda inevasa;

sostenere con incentivi mirati (borse di lavoro) l’applicazione della l. 68/2000.

 

La Regione, per verificare la dimensione della domanda sociale relativa alla disabilità grave (ivi compreso la domanda sommersa), promuove all’interno del sistema informativo sociale, in collaborazione con le Zone, con le associazioni per i disabili e con la Consulta Regionale per l’handicap, un censimento ed un’analisi della domanda dei disabili, al fine di valutare l’accessibilità ai servizi, di orientare e potenziare l’offerta di servizi.

 

 

5.4.4 Contrasto della povertà

 

Il contrasto alla povertà e all’esclusione sociale è uno degli obiettivi strategici ripetutamente indicati dal Consiglio Europeo, in particolare da quello del 17 dicembre 1999 e quello del marzo 2000 a Lisbona, e ancora nell’accordo sull’agenda sociale europea approvata a Nizza nel novembre 2000. In occasione del Consiglio Europeo di Lisbona si è concordato che ciascun paese metterà in campo un piano di azione nazionale di contrasto alla povertà, in cooperazione con la Commissione Europea per restituire alle persone che versano in stato di povertà, le capacità di condurre una vita con dignità. E’ fatta esplicita menzione negli indirizzi europei sulla necessità di coinvolgere come soggetti particolarmente attivi degli interventi nei confronti della povertà, e particolarmente per le povertà estreme, le associazioni non lucrative.

 

In Liguria 10.000 nuclei familiari hanno un reddito inferiore a L. 600.000 mensili, soglia della povertà assoluta, perché legata alla impossibilità di soddisfare bisogni essenziali. La percentuale (1,8%) è ben minore di quella italiana che è 4,8%. Si trovano invece nella fascia di povertà relativa (che significa un consumo procapite inferiore alla metà del consumo medio procapite) 13.000 nuclei, che hanno un reddito di L. 1.500.000 mensili con una percentuale di circa il 2,4% rispetto al dato italiano dell’11,9%.

 

La maggioranza dei nuclei familiari citati si riferisce a singoli o coppie anziane, dove la povertà incide anche sulle condizioni più generali di tutela della salute.

 

Gli interventi di contrasto alla povertà, laddove rivolti a persone giovani e adulte, devono riguardare innanzitutto le politiche attive del lavoro e di sviluppo locale e politiche formative. Anche le misure di sostegno economico alla crescita dei figli costituiscono una forma di prevenzione e contrasto della povertà, in quanto correggono la potenziale inadeguatezza del reddito familiare rispetto al numero di persone che da questo dipendono.

 

Anche se un'occupazione remunerata è il mezzo più idoneo per contrastare la povertà, non sempre in un momento e in un contesto dato, esiste una domanda di lavoro sufficiente a coprire l’offerta, e, non sempre chi si trova in condizioni di povertà è immediatamente in grado di accettare una eventuale occupazione (per formazione inadeguata, per fragilità fisica o psichica, per gravosità del carico familiare, etc.); è quindi compito delle Amministrazioni locali e dei servizi sociali attivare tutti quegli interventi collaterali per consentire a chi è povero di rimuovere la propria condizione.

 

Come hanno mostrato molte ricerche italiane e straniere, i motivi per cui si entra in povertà sono diversificati, così come lo sono le risorse per uscirne. Di questa diversificazione devono tenere conto le politiche locali per essere efficaci, non tanto per l’aspetto relativo al sostegno economico temporaneo (o permanente, laddove non sono rinvenibili possibilità di occupazione, per vecchiaia o per inadeguatezza psico-fisica), ma soprattutto, per quanto attiene le misure di accompagnamento sociale ed i "patti" che si stipulano con i beneficiari del sostegno economico.

 

In questa ottica la l.328/2000, all’articolo 23 stabilisce che, un ulteriore provvedimento legislativo, estenda a tutto il territorio nazionale il Reddito Minimo di Inserimento, RMI, attualmente in corso di sperimentazione nel Comune di Genova, come misura di sostegno al reddito e di integrazione sociale rivolta a chi si trova al di sotto della soglia di reddito della povertà assoluta.

 

In assenza dell’allargamento della misura nazionale di sostegno al reddito, i Piani Zonali dovrebbero prevedere, in alternativa al sussidio economico, modalità di intervento similari, anche a titolo sperimentale, per indurre nuove risposte alla povertà che non siano frammentarie e occasionali, commisurando i sistemi di assistenza economica ad uniformità e chiarezza dei criteri di accertamento del reddito, con riferimento al bisogno e non all’appartenenza a categorie "svantaggiate", valorizzando le capacità e potenzialità dei soggetti da assistere e sviluppando forme di accompagnamento sociale in collaborazione tra soggetti pubblici, e soggetti del Terzo Settore o privati presenti sul territorio, anche con l’inserimento di queste attività nei piani di sviluppo locale.

 

Affinchè le misure di contrasto alla povertà siano efficaci, devono accompagnarsi ad esse politiche di sostegno e incentivazione alla formazione (per i giovani) e alla riqualificazione (per gli adulti), a facilitare l’accesso all’abitazione per le famiglie a basso reddito (anche in collegamento con le misure nazionali di sostegno abitativo per i non abbienti), favorendo anche l’utilizzazione dei servizi sanitari per chi si trova in condizioni di particolare vulnerabilità.

 

Infine, tra coloro che si trovano in situazione di grave disagio economico e di rischio di esclusione sociale, un’attenzione specifica va prestata alle povertà estreme e persone senza dimora (articolo 28 l. 328/2000). A queste persone vanno dirette specifiche misure sia per favorirne l’inserimento e il re-inserimento nei servizi (inclusi quelli sanitari), sia per accompagnarle in un percorso di recupero delle capacità personali e relazionali, sia infine per affrontarne i bisogni di sopravvivenza fisica.

 

In questa prospettiva, la legge quadro ha indicato le persone senza dimora tra i beneficiari prioritari del RMI a regime, nel suo duplice aspetto di sostegno al reddito e di accompagnamento sociale e ha allocato un finanziamento ad hoc per due anni che ha visto nel 2000 un finanziamento privilegiato alle aree metropolitane (Comune di Genova) e che è intenzione regionale allargare ad altre sedi del levante e del ponente particolarmente critiche (spezzino, albenganese, ventimigliese-sanremese) per sollecitare le zone ad attivare una gamma articolata di misure e servizi specifici privilegiando i servizi di pronto intervento o accoglienza e i servizi "di strada".

 

Obiettivi

Gli obiettivi delle politiche di contrasto alla povertà sono così sintetizzabili:

Promozione di interventi per l’accesso al lavoro da parte delle categorie più fragili attraverso piani di sviluppo locale e misure formative per le fasce dell’esclusione sociale (immigrati, ex detenuti, emarginati);

Prevenzione dei rischi di esclusione sociale, attivando percorsi di accompagnamento in collaborazione con Terzo Settore e volontariato;

Azioni mirate a favore dei più vulnerabili: povertà estreme, persone senza fissa dimora;

Coordinamento dei diversi attori sociali che operano nel settore.

 

Indirizzi ai Piani di Zona

 

In relazione agli obiettivi sopra indicati i Piani di Zona dovranno prevedere le seguenti azioni e interventi:

 

rilevazione delle condizioni di povertà a livello zonale con evidenziazione di aree critiche comunali;

forme di collaborazione tra scuola e servizi sociali per prevenire l’evasione scolastica e di sostenere la frequenza dei soggetti "a rischio";

sviluppo di servizi di accompagnamento sociale per le persone fragili come prevenzione all’esclusione sociale;

razionalizzazione delle forme di sostegno al reddito esistenti, individuando misure sistematiche per affrontare la povertà assoluta, quali il reddito minimo di inserimento, già sperimentato in sede nazionale, che prevede una soglia di reddito minima a persona, di L. 600.000=;

sperimentazione di "pacchetti" contro la povertà, anche alternativi, a favore delle famiglie e degli individui in condizione di povertà, quali: integrazione del reddito, accesso gratuito ai trasporti, aiuti economici per il pagamento delle utenze e per l’acquisto di alcuni beni di consumo;

sperimentazioni di "contratti di inserimento" in applicazione anche a misure europee sull’inclusione sociale dei beneficiari delle misure economiche contro la povertà in percorsi formativi e di inserimento al lavoro "guidati" in collaborazione con le organizzazioni sociali e con i soggetti della produzione presenti sul territorio.

 

 

Per quanto attiene i "senza dimora" e le povertà estreme si individuano i seguenti interventi primari:

 

attivare e sostenere sul territorio servizi e azioni che consentano di prendere contatto con tali persone, offrendo loro condizioni di riduzione del danno e percorsi di recupero

istituzione di almeno un servizio a bassa soglia e di un centro di prima accoglienza nell’area dei Comuni di ciascuna Conferenza dei Sindaci, ubicandoli nelle zone più critiche

sviluppare attività di accoglienza e di accompagnamento presso gli sportelli di cittadinanza

avviare e sostenere iniziative di collaborazione tra servizi sociali, sanitari, volontariato per consentire il progressivo re-inserimento di individui e famiglie nel contesto sociale.

 

 

 

5.4.5 Prevenzione e reinserimento sociale dei soggetti dipendenti e degli emarginati

 

I settori cui rivolgere particolare attenzione a livello locale per favorire l’inclusione sociale degli emarginati, oltre alla lotta nei confronti della povertà, si estendono anche ad azioni nei confronti della popolazione immigrata ed alla prevenzione e reinserimento sociale dei soggetti dipendenti da droga e alcool e soggetti entrati nel circuito penale.

 

 

Politiche per l’immigrazione

 

Le misure volte a favorire l’inclusione degli immigrati sono definite dalla l. 40/1998, il presente Piano richiama dalla del.cons.reg. 44/1999, gli obiettivi fondamentali del Progetto "Tutela della qualità della vita delle popolazioni immigrate".

 

Obiettivi

 

la realizzazione dei diritti di cittadinanza anche per le popolazioni ad immigrazione regolare, con l’adozione di misure a favore dello sviluppo e della scolarizzazione dell’infanzia e dell’adolescenza, fermo restando che i centri di prima accoglienza sono a carico dello Stato ai sensi della stessa l. 40/1998;

favorire la possibilità di interazione e scambio culturale con le popolazioni immigrate e il resto della popolazione.

 

Le Zone, con i finanziamenti derivati dalla stessa l 40/1998, operano già da un biennio attraverso interventi messi in atto dai Comuni con maggior criticità di immigrazione. Le azioni riguardano soprattutto l’estensione agli immigrati dell’accesso e dell’uso dei Servizi Sociali, sanitari scolastici, culturali, abitativi, come evidenziato nella tabella seguente:

 

Progetti in atto da parte delle Zone

 

 

ZONE

PROGETTO

Ventimigliese

 

 

1 - Interventi di prima accoglienza e assistenza a persone in zona di frontiera

3 - Integrazione e promozione di pari opportunità per immigrati stanziali (apertura sportello informazioni e orientamento, corsi di alfabetizzazione, borse lavoro, supporto a residenzialità

Sanremese

 

 

1 - Offerta formativa attività multiculturale

e interculturale

2 - Multicolore (accoglienza minori, mediazione cuturale e linguistica

3 - Supporto scolastico per immigrati stranieri (inserimento scolastico di minori )

Imperiese

 

.

1 - Ristrutturazione alloggi

2 - Accoglienza immigrati curdi

3 - Inserimento sociale (lavoro,abitazione) di cittadini curdi

Albenganese

1 – Programmi di accoglienza per extracomunitari

Finalese

1 - Pronta accoglienza e inserimento abitativo

presso i comuni della zona ( reperimento alloggi )

Delle Bormide

1 - Istituzione di sportello per l’orientamento e l’informazione

Savonese

 

 

1 - Attività a favore di minori immigrati

(accoglienza, progetti di mediazione culturale, ricongiungimenti con famiglie )

2 - Centro polivalente per il sostegno e la pronta accoglienza di minori extracomunitari, con annesse attività di mediazione culturale

Genova

1 - Gestione comunità per minori extracomunitari e interventi di prima accoglienza

2 - Centri di prima accoglienza per minori, per adulti senza fissa dimora, per donne oggetto di protezione sociale.

3 - Progetti rivolti alla multiculturalità

e all’informazione ( formazione di mediatori culturali, formazione di operatori)

4 - Prosecuzione e ampliamento dei precedenti progetti

Tigullio Orientale

 

 

1 - Interventi a favore dell’immigrazione

(segretariato sociale, supporto giuridico, integrazione, ricerca strutture di prima accoglienza e di alloggi)

2- Insieme per una società multietnica. Ampliamento del precedente progetto ( diritto allo studio, alfabetizzazione, mediazione culturale, affidi, sostegni alle famiglie)

Tigullio

1 - Supporto scolastico a minori extracomunitari

Tigullio

1 - Politiche migratorie: iniziative del territorio, integrazione sociale, istruzione, sostegno educativo in collaborazione con il volontariato

2 – Progetti di accoglienza di nuclei famigliari con minori

Spezzino

1 - Intercultura e scuola ( integrazione dei bambini stranieri nella scuola )

2 - Ristrutturazione centro di prima accoglienza in accordo con Diocesi e attivazione servizio di prima accoglienza

4 – "Pronto soccorso" linguistico, accoglienza immigrati adulti e nuclei familiari

Val di Magra

1 - Sportello multietnico

2 - Prima accoglienza di minori

 

 

 

Indirizzi ai Piani di Zona

 

Gli indirizzi per i Piani di Zona in materia di immigrazione sono pertanto:

 

sostenere e consolidare le azioni intraprese;

realizzare l’integrazione tra culture diverse per trasformare l’immigrazione da problema a risorsa;

facilitare agli immigrati l’accesso ai servizi valutando la condizione di bisogno, piuttosto che la extraterritorialità, particolarmente in ordine ai problemi dei minori, della famiglia e dell’abitazione;

favorire l’accoglienza e l’integrazione scolastica dei minori e corsi di alfabetizzazione degli adulti per agevolare l’inserimento occupazionale;

rinforzare gli interventi in atto e promuoverne lo sviluppo nelle zone con consistente presenza di immigrati (area metropolitana e zone di frontiera);

lavoro in rete tra enti pubblici e organizzazioni del terzo settore che si occupano di immigrati, promuovendo con gli attori sociali ed i soggetti della produzione formazione agevolata e politiche dell’occupazione;

agevolare la fruizione da parte degli immigrati delle prestazioni preventive e di cura.

 

 

Prevenzione e reinserimento sociale dei soggetti dipendenti

 

Obiettivi

 

Le politiche sociali a favore dei soggetti dipendenti attengono in particolare l’atteggiamento culturale che viene posto in essere nei confronti dell’uso di droghe. Le evidenze scientifiche internazionali, gli studi di bioetica, le indicazioni delle principali organizzazioni mondiali per la promozione e la tutela della salute della persona indicano, ormai concordemente che l’uso delle sostanze stupefacenti è da considerarsi dannoso per la salute dell’individuo, intendendo con tale termine il suo benessere fisico, psichico e sociale nella sua inscindibile globalità.

 

Condividendo tali principi la Regione Liguria ha adottato con deliberazione del Consiglio regionale 31 luglio 2001 n.34 le "Linee di indirizzo su prevenzione, cura e riabilitazione delle dipendenze., preceduta dalla Linea Guida per l’istituzione dei Dipartimenti per le Dipendenze, in cui si riuniscono, all’interno di un assetto dipartimentale dell’azienda sanitaria anche i soggetti del privato sociale che gestiscono Comunità di Accoglienza e recupero dei tossicodipendenti. A tali documenti si rinvia per gli aspetti di dettaglio, in questa sede si precisano le azioni da inserire nei Piani di Zona per consentire, innanzitutto, una politica di prevenzione della tossicodipendenza.

 

Indirizzi ai Piani di Zona

 

caratterizzare il ruolo di promozione dei Comuni nelle azioni di inclusione sociale per i soggetti dipendenti, attraverso i progetti di cui alla l.. 45/1999, operando in stretto coordinamento con i Dipartimenti delle Dipendenze;

formazione e informazione per sostenere e valorizzare le responsabilità personali dell’adolescente e del giovane nel considerare gli stupefacenti pericolosi alla salute e al processo di crescita personale e sociale;

sostegno alla famiglia e alla scuola per le azioni educative e preventive per evitare l’uso di droghe;

interventi di informazione sugli effetti nocivi dell'uso delle sostanze stupefacenti, e delle droghe sintetiche nei luoghi collettivi frequentati dai giovani (es. discoteche);

promozione di interventi che coinvolgono la popolazione giovanile sull’adozione di "modelli di comportamento" che rifiutino il ricorso a droghe, sostanze stupefacenti o abuso di alcool;

interventi di riqualificazione del tessuto urbano e sociale e creazione, per i giovani, di opportunità di aggregazione, promozione di attività sportive e di partecipazione alla vita comunitaria;

misure volte a costruire relazioni di fiducia fra le generazioni, a supportare le motivazioni e le capacità dei giovani, a sviluppare il senso di appartenenza all'ambiente di vita attraverso la promozione della loro diretta partecipazione a costruire politiche giovanili.

 

Gli interventi di prevenzione e di reinserimento sociale dei tossicodipendenti rientrano tra le politiche integrate socio-sanitarie; in tal senso i Piani di Zona dovranno essere coordinati con i programmi delle attività territoriali (PAT) del Distretto sanitario e quindi, vedere una stretta collaborazione in termini di azioni strategiche e prestazioni integrate, tra operatori dei servizi comunali e operatori dei SERT.

 

 

Reinserimento sociale dei soggetti entrati nel circuito penale

 

Obiettivi

 

Le persone che si sono trovate in conflitto con la legge devono essere disincentivate dal compiere ulteriori violazioni attraverso anche opportune misure di politiche sociali; è quindi indispensabile avviare adeguati processi di inclusione mirati a favorire il reinserimento nella società e nella vita lavorativa di questi soggetti onde evitare che essi, trovatisi in situazioni di emarginazione, siano esposti al pericolo di recidive.

 

Indirizzi ai Piani di Zona

 

E’ opportuno incentivare progetti di formazione professionale interni al carcere o esterni destinati a chi è stato ammesso a misure alternative, al fine di agevolare il loro reale e concreto reinserimento lavorativo e favorire la loro risocializzazione; le Amministrazioni dello Stato, gli Enti locali, il privato sociale, il volontariato e il Terzo Settore in genere, grazie all’intervento della Regione, dovranno essere messi in grado di collaborare strettamente per la individuazione e realizzazione di misure utili a consentire il raggiungimento di tali obiettivi, anche proseguendo o partecipando a iniziative che hanno portato buoni risultati.

In questo senso occorre anche avviare un processo di revisione del protocollo d’intesa tra il Ministero della Giustizia e la Regione Liguria, siglato nel Settembre 1997, per adeguarlo al nuovo quadro costituzionale (modifica del titolo V della Costituzione) e alla normativa socio-sanitaria successivamente entrata in vigore, rivalutando nel frattempo e riattivando i cosiddetti "gruppi territoriali". In questo quadro, mediante l’allestimento di un idoneo tavolo tecnico potranno essere ridefiniti i ruoli e le responsabilità nel rapporto Stato-Regione-Enti locali, in riferimento a specifici progetti che vedano coinvolti detenuti all’interno e all’esterno del carcere consapevoli che le "pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità" e devono tendere alla rieducazione del condannato e che rieducare il condannato significa aiutarlo a reinserirsi positivamente nella società come peraltro ribadito dall’art.81 delle Regole Minime dell’ONU del 1955 e del Consiglio d’Europa del 1973, dalla raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa del 1987, nonché dalla vigente normativa regolamentare carceraria.

5.4.6. Indirizzi per i titoli di acquisto dei servizi

 

La l. 328/2000 all’articolo 17 fissa i principi per i titoli di acquisto dei servizi e l’articolo 8, della stessa legge alla lettera i) attribuisce alla Regione la definizione dei criteri per la concessione di tali titoli.

 

La Regione Liguria - consapevole della necessità di collegare l’allargamento dell’offerta dei servizi sociali alle politiche occupazionali coniugando il potenziamento e l’articolazione dei servizi sociali con la promozione di nuova occupazione particolarmente per la mano d’opera femminile - intende per il biennio 2002/2003 introdurre e realizzare una sperimentazione coordinata in sede regionale, definita Progetto Assegno-Servizi, considerando tale progetto "qualificante", anche per l’integrazione socio-sanitaria e per il potenziamento delle attività domiciliari. I criteri generali del progetto sono così riassunti:

 

scopo dell’assegno servizi è quello di sostenere le persone non autosufficienti, sia sotto il profilo sociale che sanitario, e le loro famiglie nell’attività complessiva di assistenza, offrendo una risposta unitaria e di qualità integrando i diversi interventi di carattere assistenziale, socio-sanitario e sanitario, con l’obiettivo di evitare il ricovero rispondendo comunque a forme di assistenza continuativa. Il 5% della sperimentazione è riservato a minori con gravi e temporanee difficoltà di cura familiare.

Per definire compiutamente l’utilizzo di tale strumento, si conviene, con gli Enti locali, con le forze sociali e le Organizzazioni sindacali di realizzare una sperimentazione della durata di un biennio 2002/2003 nei quattro comuni capoluogo e in due distretti sociali del levante (Lavagna) e ponente (Loano), estendibile ad altre sedi al termine del primo anno di sperimentazione.

Nella sperimentazione, pur tenendo come riferimento l’unitarietà dell’intervento, si terrà conto delle diverse competenze attribuite a sanità, assistenza e politiche del lavoro, tenendo conto della natura delle prestazioni che l’assegno andrà a coprire, valutando, in relazione alla normativa in atto, le attribuzioni dei diversi Enti sul piano delle competenze amministrative e di spesa.

 

Da un’approfondita disamina, effettuata nel corso del 2001 e ancora in atto, sulle variabili che intervengono nella concessione di un titolo di acquisto dei servizi, flessibile, ma finalizzato a precisi scopi, sono stati enucleate le seguenti caratteristiche che dovranno guidare la sperimentazione e costituire indirizzi di riferimento per i Comuni che vorranno attuare i "titoli di acquisto" dei servizi:

 

L’assegno è una misura aggiuntiva, rispetto alle prestazioni in vigore, elaborata per rispondere a tutti i cittadini, e non solo a coloro che versano in stato di povertà e comunque con limitato reddito; l’assegno, in quanto strumento di una strategia di potenziamento degli interventi domiciliari, si propone di offrire anche una risposta alternativa a forme di assistenza residenziale. L’assegno parte da un valore di 1,5 milioni fino a 10 milioni.

 

In via sperimentale si è previsto che l’assegno sia erogato a completo carico dei fondi regionali al 25% dei destinatari, (cittadini sulla soglia di povertà relativa, con reddito inferiore ai 17 milioni) mentre al restante 75% si richederà una compartecipazione al valore dell’assegno erogato, esclusivamente per la componente assistenziale (non per le azioni sanitarie).

 

Il piano finanziario della sperimentazione, con riferimento al bilancio 2001 è di 14 miliardi, costituiti da finanziamenti del fondo sociale ex l.r. 30/1998 (2 miliardi progetti sprimentali), della l 328/2000 (4 miliardi) e da fondi finalizzati sanità (6 miliardi), nonché da finanziamenti comunali (riconversione di spesa) che vengono così articolati:

6 miliardi per la componente di assistenza sociale di aiuto domestico familiare;

4 miliardi (fondi finalizzati della sanità) per erogare assistenza tutelare a casi complessi, particolarmente persone in lista di attesa R.S.A. e R.P (esercizio 2001);

2 miliardi (ancora provenienti da fondi sanitari) dedicati all’assistenza sanitaria ed erogati direttamente alle Aziende Sanitarie che erogano, anche attraverso soggetti accreditati, le prestazioni infermieristiche e riabilitative, utilizzando modalità analoghe alla Spedalizzazione Territoriale (S.T.);

2 miliardi a carico dei Comuni di Genova, la Spezia, Savona, Imperia, distretto di Loano e distretto di Lavagna proporzionalmente ai casi seguiti e secondo i parametri individuati dalla sperimentazione. Tali Comuni metteranno a disposizione i finanziamenti di competenza a valere sul bilancio 2002. Specifiche quote saranno calcolate in maniera analoga per i distretti inseriti nella sperimentazione nel 2002 e nelle annualità successive.

 

La distribuzione dei casi, individuando l’avvio operativo della sperimentazione a gennaio 2002, è valutabile, in circa 4500 casi, con la maggior distribuzione a Genova e quindi ai comuni capoluogo di Imperia, Savona e La Spezia ed infine, per una percentuale più ridotta, ai distretti di Lavagna e di Loano allargando la sperimentazione dall’aprile 2002 ai distretti di Ventimiglia e Rezzoaglio. I Comuni sono tenuti a scegliere un’area "definita" che consente un maggior "controllo" della casistica. Nel rispetto della loro autonomia sulla scelta dell’area, sono comunque vincolati al budget assegnato ed ai criteri di erogazione dell’assegno convenuti nel protocollo di sperimentazione.

 

Le prestazioni che possono essere acquistate con l’assegno servizi da parte del cittadino sono:

aiuto domestico familiare: con operatore di riferimento l’assistente familiare (figura che trova riscontro nella nuova pianificazione 2000/2006 dell’obiettivo 3).

assistenza tutelare per non autosufficiente con operatore di riferimento OSS, OTA, OSA ovvero figure con qualificazione professionale per l’assistenza socio-sanitaria alla persona.

assistenza educativa: con operatori di riferimento al governo della casa o di tutela educativo-assistenziale: assistente familiare o baby sitter o personale di sostegno all’azione educativa (educatore)

Le prestazioni di cui ai punti 1 e 3, sono a completo carico della componente finanziaria sociale.

 

I finanziamenti sono concentrati in unico fondo presso uno stesso Istituto di credito che assicuri una distribuzione capillare delle sedi di offerta e che assicuri un "adeguato" sostegno finanziario anche agli aspetti promozionali e strutturali della iniziativa.

 

La Giunta regionale ha emesso un avviso per reclutare un soggetto della Formazione professionale in grado di assicurare un seminario di 25 ore per l’orientamento alle attività di aiuto domestico familiare, a 800 persone. I Centri per l’Impiego provederanno ad avviare gli iscritti nelle liste di collocamento a tali attività, che saranno peraltro aperte anche a collaboratori familiari che già operano nelle famiglie.

 

Le attività di orientamento per gli assistenti familiari saranno ripetuti periodicamente nel corso della sperimentazione per consentire un più ampio accesso anche a coloro che ne vengano a conoscenza a sperimentazione avviata.

 

E’ privilegiata l’erogazione delle prestazioni di aiuto domestico familiare e di assistenza tutelare socio-sanitaria, ad opera di organismi della cooperazione o imprese sociali che saranno accreditati in lista regionale, secondo criteri di professionalità, qualità ed esperienza nel settore.

 

L’assegno è erogato con elevata semplificazione amministrativa a favore dei cittadini e delle famiglie che potranno rivolgersi ad un unico punto di accesso (sportello di cittadinanza) individuato dai Comuni sedi della sperimentazione, con il seguente sistema di erogazione:

una presa in carico da parte dei Comuni per coloro che sono in condizioni di povertà e che non concorrono finanziariamente all’assegno, previa verifica della tipologia del bisogno di assistenza e dei requisiti per l’accesso all’assegno.

una presa in carico tramite progetto socio-sanitario per i casi più complessi, che richiedono prestazioni miste di tutela della persona, cure nfermieristiche e riabilitative, attivata su segnalazione del Medico di Medicina Generale (M.M.G.) e/o Assistente Sociale del Comune, con valutazione da parte dell’Unità di Valutazione multidimensionale (UVG).

 

La Regione provvederà d’intesa con i Comuni e con la banca a cui sono assegnati i fondi della sperimentazione, alla elaborazione di un SOFTWARE, che gestisca ON LINE i flussi finanziari della sperimentazione stessa, al fine di consentire agli Uffici regionali e ai Comuni il monitoraggio della sperimentazione e la valutazione in "tempo reale" dell’andamento di spesa.

 

 

 

 

 

 

 

 

6. LE RISORSE FINANZIARIE

 

 

6.1. Sistema di finanziamento delle politiche sociali, livelli di assistenza e sussidiarietà tra Enti.

 

L’articolo 24 della l.r.30/1998 anticipa i livelli essenziali di assistenza indicati all’articolo 22 della l. 328/2000: correlando il disposto di tali articoli con il sistema di finanziamento delle politiche sociali si evidenzia in entrambe le leggi un collegamento tra livelli di assistenza e risorse economiche nazionali e regionali. La l. 328/2000 dispone al comma 4 dell’articolo 4 che il Fondo nazionale delle politiche sociali sia finalizzato a sostenere le priorità del Piano nazionale (richiamate al precedente capitolo) e i Piani di Zona.

 

Anche la l.r 30/1998, all’articolo 31, prevede che il finanziamento regionale sia finalizzato agli obiettivi del piano regionale ed in particolare a sostenere: il riequilibrio dei Servizi Sociali tra le Zone, le forme associative intercomunali, l’assistenza domiciliare e l’integrazione sociale di disabili e anziani, lo sviluppo di progetti sperimentali e azioni pilota, il potenziamento dell’Osservatorio Sociale anche per valutare la spesa dei Comuni e l’utilizzo dei finanziamenti regionali.

 

Si può osservare, pertanto, che entrambe le leggi fissano questi principi:

a) i Comuni, titolari delle funzioni in materia di servizi sociali, (articolo 6 l. 328/2000) provvedono in via prioritaria alla spesa sociale

b) lo Stato e la regione concorrono a sostenere in via sussidiaria la spesa sociale per obiettivi qualificati (livelli essenziali) e per lo sviluppo delle reti di servizi sociali in ambiti territoriali definiti.

 

Per la Regione Liguria, come precisato al capitolo 3 del presente Piano, l’ambito territoriale "ottimale" per la gestione dei servizi essenziali è il Distretto sociale e per le attività complesse di carattere sovradistrettuale la Zona che provvede per la sua coincidenza con l’ambito territoriale sanitario (distretto sanitario), alla programmazione della rete sociale e socio-sanitaria.

 

Nel sistema di finanziamento nazionale e regionale è applicato il principio della "sussidiarietà verticale", tra Istituzioni pubbliche, dove "l’esercizio delle responsabilità pubbliche deve, agire di preferenza sulle autorità più vicine ai cittadini" (articolo 4 della Carta Europea); spetta quindi in prima istanza ai Comuni l’organizzazione delle risposte a favore dei cittadini in stato di bisogno, predisponendo nel proprio bilancio finanziamenti atti a soddisfare la domanda sociale.

 

Quanto indicato al capitolo 3 sulla dimensione dei Comuni liguri, porta alla considerazione, che molti di essi in oggi, possono rispondere, solo a limitate richieste, più vicine all’assistenza pubblica, che a servizi sociali per i quali si richiede professionalità e tecnologia e consistenti costi di personale qualificato (assistenti sociali, educatori, psicologi, sociologi, operatori socio-assistenziali domiciliari, personale amministrativo-contabile,etc.). Questo, unito al disposto legislativo di "garantire" negli ambiti intercomunali associati, livelli essenziali di assistenza porta a privilegiare i finanziamenti regionali e locali a favore di tali ambiti, riconducendo alla loro competenza anche lo svolgimento di attività per singoli cittadini (es: ricovero di minori o disabili) che hanno alti costi e richiedono progetti integrati con il servizio sanitario.

 

In base al principio della sussidiarietà le politiche sociali, non sono finanziate solo da enti pubblici, ma è noto, che organismi e formazioni sociali (quali famiglie, associazioni, volontariato , organizzazioni no-profit,ecc) sostengono, molte attività della rete dei servizi sociali e ad essi va riconosciuta, nel sistema di solidarietà sociale, piena garanzia sulla libertà di iniziativa, promuovendo le loro potenzialità nella risposta ai bisogni sociali attraverso l’istituto dell’accreditamento, del contratto e del partenariato societario. Resta in capo alle istituzioni pubbliche il ruolo di garanti della risposta assistenziale, (comma 3, articolo 1 l. 328/2000).

 

In un quadro solidaristico che preservi le funzioni degli Enti locali e la corretta applicazione del principio di sussidiarietà si deve conservare e rafforzare il ruolo delle istituzioni pubbliche in due direzioni:

sostegno e costante promozione delle iniziative dei corpi sociali intermedi (comma 4, articolo 1, l 328/2000) e dei legami solidaristici,

sorveglianza sul sistema di offerta complessivo, garanzie di qualità, organicità e completezza della rete degli interventi e dei servizi presenti nel territorio.

 

Alla luce dei principi esposti, fondo nazionale e regionale devono finanziare i livelli di assistenza, le priorità di piano e la struttura organizzativa che sostiene la rete dei servizi sociali, come risorse finanziarie sussidiarie ai fondi già stanziati dai Comuni e con lo scopo di potenziare gli interventi in atto in ogni distretto sociale ed in ogni Zona, attivando politiche sociali innovative rispondenti alla domanda di servizi del terzo millennio. La strategia sottesa al riparto dei finanziamenti, anche secondo quanto concordato con le Zone, è così sintetizzata:

 

a) Considerare in termini unitari le risorse provenienti dal bilancio regionale e dai trasferimenti statali;

b) Sostenere con le risorse regionali l’associazionismo intercomunale e l’organizzazione dei servizi per erogare prestazioni sociali ricomprese nei livelli essenziali e nelle priorità del piano nazionale e regionale;

c) Trasferire le risorse finanziarie, individuando un "budget" di zona, che consenta il potenziamento dei servizi distrettuali e sovradistrettuali;

d) Offrire ai Comuni un quadro preventivo triennale delle risorse per consentire i piani di zona come indicato alla lettera c);

e) Impegnare i Comuni negli stanziamenti di bilancio in rapporto alle potenzialità delle entrate fiscali, per potenziare l’offerta sociale;

f) Individuare sperimentazioni realmente innovative a valenza regionale, quali i titoli di acquisto dei servizi illustrati al precedente punto 6 del capitolo 5, quale progetto integrato servizi/formazione/lavoro.

 

 

 

6.2 Le risorse finanziarie nazionali e regionali

 

6.2.1 Il quadro delle risorse nazionali da ripartire alle Regioni

 

Tabella 1

Legge di riferimento

Settore d'intervento

2001

2002

2003

2004 (1)

284/1997 (art. 3, c. 2)

Handicap: somma da corrispondere alle regioni

12.000.000.000

12.000.000.000

12.000.000.000

12.000.000.000

162/1998

Handicap: somma da corrispondere alle regioni

59.000.000.000

59.000.000.000

59.000.000.000

59.000.000.000

309/1990

Lotta alla droga: fondo nazionale lotta alla droga

247.705.000.000

247.705.000.000

247.705.000.000

247.705.000.000

285/1997 (art.1)

Infanzia: somma da corrispondere alle regioni (al netto della l. 53/2000 sui congedi parentali)

287.000.000.000

287.000.000.000

287.000.000.000

287.000.000.000

40/1998 (art. 43, c. 1)

Immigrazione: fondo nazionale per le politiche migratorie

81.000.000.000

81.000.000.000

81.000.000.000

81.000.000.000

328/2000 - art. 20

Integrazione del Fondo per le politiche sociali

761.500.000.000

922.500.000.000

922.500.000.000

922.500.000.000

328/2000 - art.28

Senza fissa dimora

20.000.000.000

20.000.000.000

=

=

388/2000 - art.81

Fondo contro l'abuso sessuale

20.000.000.000

TOTALE

1.488.205.000.000

1.629.205.000.000

1.609.205.000.000

1.609.205.000.000

 

(1) I dati del 2004, non presenti nel Piano Nazionale Sociale 2001/2003, sono stati inseriti come stima, in relazione al finanziamento 2003.

 

I criteri di riparto:

 

I finanziamenti derivati dalla l. 328/2000 sono stati ripartiti tra le regioni con un criterio prevalentemente basato sulla consistenza demografica, corretto da pesi che hanno tenuto conto del numero delle famiglie, dei minori, del tasso di disoccupazione, del numero di anziani ultrasettantacinquenni, del numero dei disabili (6 per mille popolazione), del numero degli immigrati e della popolazione tossicodipendente.

 

 

6.2.2 Il quadro delle risorse regionali 2001/2004, comprensive dei trasferimenti nazionali

 

Tabella 2

Annualità

2001

2002

2003

2004 (1)

Finanziamenti regionali

Fondo ex L.r.30/98

L.31.900.000.000

L.31.900.000.000

L.31.900.000.000

L.31.900.000.000

Conto capitale (l.30/98)

L.9.000.000.000

L.9.000.000.000 (2)

L.9.000.000.000 (2)

L.9.000.000.000

Progetti sperimentali (L.R. 30/98 - assegno servizi)

L.2.000.000.000

L.2.000.000.000

L.2.000.000.000

L.2.000.000.000

Trasferimenti statali

Fondi finalizzati (Leggi di settore)

L.13.777.184.197

L.13.777.184.197(3)

L.13.177.184.197(3)

L.13.177.184.197

Fondo indistinto (L. 328/2000)

L.23.937.178.045

L.28.998.091.591(3)

L.28.998.091.591(3)

L.28.998.091.591

Conto capitale (l.328/2000)

L.5.000.000.000

L.5.000.000.000(3)

L.5.000.000.000(3)

L.5.000.000.000

Totale finanziamenti L.r.30/98 L.328/2000

L. 85.614.362.242

L. 90.675.275.788

L. 90.075.275.788

L. 90.075.275.788

Note alla tabella 2 :

 

(1) Le risorse per l’anno 2004 riportano una stima sui valori dell’anno precedente in quanto il Piano Nazionale Sociale individua le risorse finanziarie del fondo nazionale per le politiche sociali (articolo 20 della l. 328/2000) per il triennio 2001-2003 e il bilancio pluriennale regionale vigente è riferito agli anni 2001-2003;

(2) Stanziamento definito annualmente con legge di bilancio;

(3) Gli stanziamenti nel bilancio pluriennale per i fondi ex legge 328/2000, di cui al DPR r maggio 2001 ("Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2001-2003), verranno inseriti nel bilancio pluriennale 2001-2003 in sede di assestamento del bilancio 2001.

Il fondo indistinto 2002-2004 della L. 328/2000 per le politiche sociali, è frutto di una stima relativa all’incremento del fondo nazionale del 2002 rispetto al 2001 (da L.761.500.000.000 a L.922.500.000.000)

I fondi finalizzati subiscono una diminuzione nel 2003 in quanto non sono finanziati i programmi dei "senza fissa dimora".

I fondi di parte corrente regionali (comprensivi dei trasferimenti nazionali) sono ripartiti secondo un budget di zona e assegnati al comune capofila di distretto (fatto salvo le determinazioni assunte dalla zona per i Comuni che non abbiano ancora costituito il distretto) per garantire i livelli essenziali di assistenza e le priorità di piano, secondo quanto indicato nei piani di zona per:

 

1. garantire un sostegno all’associazionismo intercomunale e all’assetto organizzativo dei servizi;

2. sostenere le responsabilità familiari e i diritti dei minori e degli adolescenti

3. sostenere la tutela delle persone anziane

4. sostenere la tutela sociale dei disabili

5. garantire efficaci forme di contrasto alla povertà

6. incentivare la prevenzione ed il reinserimento sociale dei soggetti dipendenti e degli emarginati

7. promuovere, con le politiche attive del lavoro, l’utilizzo dei contributi U.E. per l’inserimento e reinserimento al lavoro

 

I parametri di riparto, per concertazione con le zone, si differenziano nell’esercizio 2001 rispetto al triennio 2002-2004 come indicato nelle successive tabelle. Si assegna un elevato valore alla "struttura demografica" (popolazione totale e popolazione obiettivo), valori più contenuti sono assegnati alla potenzialità delle entrate fiscali, valutando i dati per ciascun Comune. Un ulteriore valore è assegnato alla densità di popolazione per "premiare" le zone montane meno densamente popolate. E’ effettuato un accantonamento regionale per finanziare progetti a rilevanza regionale e attività di studio e ricerca.

 

Le scelte indicate sono motivate da una serie di considerazioni, scientifiche, tecniche e di aderenza al dettato dell’articolo 32 della l.r. 30/1998. Innanzitutto, esiste ampio consenso scientifico sul fatto che le caratteristiche socio-demografiche della popolazione (età, genere, tipo e dimensione della famiglia di appartenenza, ecc.) costituiscono il più importante indicatore (e predittore) di bisogno, cui le politiche sociali devono fare riferimento. Inoltre, il fattore "popolazione" è determinante anche per significare "le concentrazioni urbane", spesso, anche segno di concentrazione dei problemi sociali.

Il riparto per il 2001, anno di transizione con la pianificazione in atto, viene effettuato secondo la successiva tabella 3, mentre per il triennio 2002/2004 il riparto dei finanziamenti derivati dalla l.r. 30/1998 e dai trasferimenti nazionali della l. 328/2000, si articolerà in "quote capitarie" pesate, da ripartire ai distretti per le attività già individuate per l’esercizio 2001, secondo i piani di zona. Per attività di studio e programmi a rilievo regionale è accantonata una quota pari al 2,5% della dotazione finanziaria complessiva. La quota capitaria è sussidiaria rispetto agli stanziamenti comunali ed è costruita, come da richiesta delle Zone, come segue:

 

Criteri di riparto dei fondi di Parte Corrente 2002/2004:

 

a) 60% fondi nazionale e regionale, ripartiti per zona in base al numero degli abitanti (popolazione totale);

b) 10% in base alla popolazione ultrasettantacinquenne;

c) 15% in base a un indice inversamente proporzionale alle potenzialità fiscali rilevate dai dati ISTAT per l’annualità più recente disponibile

d) 15% in base ad un indice inversamente proporzionale alla densità di popolazione (per premiare i distretti dei Comuni montani con minore densità di popolazione)

 

 

 

Le risorse in conto capitale, devono essere utilizzate per favorire:

 

la residenzialità protetta a ciclo diurno e a tempo pieno

servizi giovanili e di socializzazione

servizi per la prima infanzia (asili nido e servizi integrativi)

I finanziamenti in conto capitale sono assegnati, indicando preventivamente alle zone, soggetti principale della programmazione sociale e socio-sanitaria, un budget. Il riparto è effettuato ai Comuni o altri Enti dagli stessi indicati, che realizzano i progetti. I budget di zona sono calcolati assegnando un alto valore alla popolazione residente e alla popolazione dei minori 0-3 anni e ultrasettantacinquenni, e un valore più contenuto per le entrate fiscali (ICI) e per la densità di popolazione.

 

Le zone devono individuare con priorità le strutture da finanziare, sia in base alle esigenze dei Comuni montani e dei territori intercomunali, che secondo il principio di distribuzione dei servizi nei territori carenti, nonché secondo le priorità regionali così individuate:

 

Completamento e messa a norma di opere già esistenti

Interventi edilizi per attivazione di nuove strutture, ivi compresi: ampliamento, ristrutturazione, restauro, risanamento conservativo finalizzati all’adeguamento ai requisiti per la messa a norma.

Acquisto attrezzature per servizi della prima infanzia

 

Nell’individuare i progetti da finanziare le zone compilano per ciascun progetto una scheda di valutazione del progetto (già in atto con la del.cons.reg. 44/1999) e ne motivano la collocazione assegnata nella graduatoria dei progetti di zona. La Regione si riserva una valutazione di conformità sull’operato delle zone in rapporto a quanto precedentemente esposto.

 

Criteri di riparto del Conto capitale 2002/2004:

 

a) 60% in base alla popolazione residente

b) 10% in base alla popolazione ultrasettantacinquenne

c) 10% in base alla popolazione 0-3 anni

d) 10% in base a un indice inversamente proporzionale all’entrate ICI (calcolato come per la parte corrente)

e) 10% in base ad un indice inversamente proporzionale alla densità di popolazione (calcolato come per la parte corrente)

 

 

Finanziamento e riparto 2001

successiva tabella 3 si illustra la distribuzione dei finanziamenti 2001 derivati dai trasferimenti statali ex l. 328/2000 e dai fondi finalizzati collegati a leggi di settore, con criteri di riparto concertati con Zone e Anci:

 

Tabella 3

Priorità

Tipologia di Attività

Dotazione finanziaria

Modalità di riparto

1.Sostegno associazionismo intercomunale e assetto organizzativo dei servizi sociali

Sostegno alla struttura professionale dei servizi di distretto: sportello di cittadinanza e segretariato sociale.

L.1.857.000.000

(L. 328/2000)

I Comuni associati sono ripartiti in due fasce:

1a FASCIA: da 4.000 abitanti a 10.000 : L.15.000.000

2a FASCIA: da 10.001 a 40.000 abitanti: L.25.000.000

 

Per i Comuni oltre i 40.000 abitanti compresa l’area metropolitana, è incentivato il decentramento con una quota di 38 milioni per distretto (minimo di 20.000, massimo a 60.000 abitanti, riferendo la grandezza maggiore per l’area metropolitana).

 

Sostegno alla organizzazione della zona (Segreterie Tecniche di Zon ed esperto della Conferenza dei Sindaci)

L.1.710.000.000

(L. 328/2000)

Assegnazione a ciascuna zona di un budget di L.90.000.000 per consolidamento segreteria tecnica di zona e dotazione di esperto sociale alla Conferenza dei Sindaci. Quota forfettaria è assegnata alle zone del comune di Genova. Quota parte è assegnata ai Comuni presenti nelle zone in cui vi è parte del Comune di Genova.

2.Responsabilità familiari e diritti minori e adolescenti

Servizi di sostegno ai nuclei familiari e alle famiglie con persone in stato di emarginazione

L.4.500.000.000

(L. 328/2000)

60% in base al criterio demografico

40% in base al numero di nuclei familiari

 

L.285/97 – minori

L.3.086.418.778

80% popolazione minori

15% in relazione alla popolazione totale del distretto.

5% estensione territoriale

 

 

L.388/2000 – fondo abuso sessuale

L.402.322.767

Da accorpare alla L. 285/97 con espressa indicazione di progetti in materia.

 

 

L.388/2000 – iniziative sperimentali di informazione per le famiglie e telefonia per anziani

L.563.756.227+

L.92.592.593

Budget per Conferenza dei Sindaci con predisposizione progetti da parte delle Zone

3.Tutela delle persone anziane

Assistenza domiciliare

L.5.000.000.000

(L. 328/2000)

80% in base al criterio demografico-anziani

10% in base al criterio della densità e

10% in base al criterio delle entrate fiscali (ICI)

 

Potenziamento centri diurni

L.3.000.000.000

(L. 328/2000)

Ripartiti come sopra

 

Progetti sperimentali e innovativi (sperimentazione assegno servizi)

L.2.000.000.000 (l.r.30/98)

L.4.000.000.000 (L.328/2000)

Finanziamento ripartito per numero stimato di casi, nelle sei sedi di sperimentazione (Genova, Savona, La Spezia, Imperia e distretti sociali di Lavagna e Loano)

4.Tutela sociale dei disabili

Progetto sperimentale integrato socio-sanitario

L.1.000.000.000

(L. 328/2000)

Riparto è effettuato su casistica stimata per Zone. Progetto regionale per il supporto domiciliare/familiare ai cerebrolesi gravi, predisposto, d’intesa con associazioni dei disabili e con Aziende Sanitarie.

 

L.104/92 e L.162/98- handicap

L.1.638.888.889

80% popolazione disabile: secondo indicatore ministeriale (6 per mille popolazione residente)

20% estensione territoriale

 

L.284/97 – ciechi

L.338.253.736

Progetto nazionale, seconda quota (Istituto Chiossone)

6.Prevenzione e reinserimento sociale dei soggetti dipendenti e degli emarginati

D.Lgs 286/98 – politiche migratorie

1.720.093.951

Popolazione extracomunitaria residente al 31.12.1998

 

D.P.R. 390/90 (legge 45/99) Lotta alle tossicodipendenze e progetti di recupero

L.5.447.711.570

Riparto per Conferenza dei Sindaci e articolazione in zone in relazione a numero tossicodipendenti. Progetti elaborati d’intesa con il Dipartimento delle Dipendenze dell’AUSL e gli Enti ausiliari accreditati

Promozione Lavoro

Promozione di politiche integrate per agevolare l’inserimento al lavoro

 

Elaborazione di programmi concertati con Politiche attive del lavoro per utilizzo contributi U.E.

Attività di interesse regionale

· Attività di studio e di supporto regionale al sistema dei servizi sociali;

· Sistema informativo Sociale e Osservatorio;

· Attività assistenziali di particolare rilievo e progetti di eccellenza

 

L.1.357.323.731 (L.328/2000)

 

Soggetti no profit che operano nel campo della disabilità riconosciuti e convenzionati

· Progetti di interesse regionale per la riorganizzazione e adeguamenti strutturali per la qualità sociale in strutture per disabili

L. 800.000.000

Riparto in base alla presentazione di progetti e alla dimensione del servizio svolto dai soggetti richiedenti.

 

 

 

La procedura complessiva di finanziamento, a regime di piano approvato può essere così sintetizzata:

 

Entro il 31 luglio di ciascun anno sono individuate dalla Giunta regionale le risorse da assegnare alle Zone. In prima applicazione del presente piano Zone e Distretti predispongono i Piani entro 120 giorni dall’approvazione dello stesso. Annualmente sono previsti aggiornamenti dei piani, in base alle attività svolte, alle risorse impegnate e ai risultati raggiunti, entro il 28 febbraio di ciascun anno.

Al termine di ciascun esercizio annuale, le Zone predispongono una relazione che valuta l’andamento della domanda e dell’offerta, la spesa e gli outcome delle interventi attivati. E’ data pubblicizzazione della relazione al Consiglio regionale, alla popolazione e agli organismi sociali.

La Giunta regionale valuta i piani finanziari e di attività predisposti dalle zone (comprendenti anche le attività distrettuali), la capacità di gestione e di spesa delle stesse nell’organizzazione dell’offerta sociale e può predisporre "penalizzazioni" fino al 10% secondo modalità concordate con l’ANCI, per le zone che non hanno raggiunto gli obiettivi indicati negli indirizzi del presente piano e per i Comuni che non si sono associati nel distretto sociale. Le eventuali penalizzazioni sono ripartite alle zone con i migliori indicatori di offerta nelle priorità di piano;

Per il conto capitale le Zone scelgono in base alle priorità individuate dalla Regione e predispongono le schede di progetto già in vigore con il precedente Piano.

 

 

 

 

6.3 Finanziamenti europei

 

Con l’assistenza del Dipartimento per le politiche sociali e previdenziali, la Regione promuove progetti per ottenere finanziamenti europei, che, individuano nei programmi 2001/2006 particolari misure per supportare i servizi alla persona, azioni di inclusione delle fasce fragili e sviluppo di professionalità, sia sul piano dell’organizzazione dei servizi (operatori delle zone e front-office) che della promozione di professioni che possono agevolare i processi di integrazione della famiglia e delle donne (es: misure per l’aiuto domestico familiare). Il capitolo 3, illustra nel dettaglio le progettualità. Sono inoltre previsti attraverso l’obiettivo 2 anche finanziamenti legati al settore degli investimenti e ristrutturazioni immobiliari, nonché sostegno alle imprese sociali e attraverso l’obiettivo 3, finanziamenti di supporto ad azioni per l’inserimento di disoccupati e inoccupati in attività produttive.

 

 

6. 4 Verifica della spesa

 

Attraverso il sistema informativo sociale si provvede anche ad azioni di controllo sull’utilizzo dei finanziamenti e sui rapporti tra stanziamenti comunali e contributi regionali. La predisposizione delle schede in conto capitale consente anche un controllo sugli investimenti, ferme restando le prerogative della regione di effettuare specifici controlli campione sulle opere edilizie.

 

7. I RAPPORTI CON GLI ALTRI SOGGETTI DELLA RETE DEI SERVIZI SOCIALI: LE IPAB, IL TERZO SETTORE, IL VOLONTARIATO ED IL PRIVATO

 

 

7.1 La trasformazione delle istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficienza: il decreto legislativo 4 maggio 2001, n. 207.

 

Il decreto legislativo 4 maggio 2001, n. 207 (riordino del sistema delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficienza a norma dell’articolo 10 della l. 328/2000) introduce una profonda trasformazione di tali istituzioni e decreta, dopo 110 anni, il superamento della disciplina Crispi sulle IPAB, prevedendone:

 

L’inserimento a tutti gli effetti nel sistema integrato di interventi e servizi sociali;

l’"aziendalizzazione", per la maggioranza delle istituzioni assistenziali a favore di anziani o disabili, considerandoli, Aziende pubbliche di Servizi alla persona;

l’esclusione dalla trasformazione di cui al punto 2, per le istituzioni che operano nel campo della scuola e dei minori, che possono continuare la loro funzione come istituzioni di diritto privato.

 

E’ intendimento della Regione disciplinare la materia entro 180 giorni dall’approvazione del presente piano.

 

Non saranno trasformate in aziende di servizi quelle IPAB che presentano uno spiccato carattere associativo, che sono promosse o amministrate da privati o, infine, hanno una precisa ispirazione religiosa. Le prime sono quelle costituite per iniziativa volontaria di soci o promotori privati e governate dagli stessi, che forniscono inoltre anche prestazioni volontarie. Si ritengono amministrate da privati le IPAB che hanno un patrimonio prevalentemente costituito da beni originari o conseguiti in forza all’attività istituzionale. Infine, hanno ispirazione religiosa le IPAB che hanno indirizzi religiosi e sono collegate a una "confessione".

 

7.2 I rapporti con il Terzo Settore

 

La legge di riforma introduce rispetto al tema della esternalizzazione dei servizi sociali rilevanti novità, definendo le diverse funzioni svolte dagli enti pubblici e dal privato sociale, riconoscendo espressamente al privato sociale un ruolo in termini di co-progettazione dei servizi e di realizzazione concertata degli stessi.

Coerentemente a questa impostazione, e riconoscendo una grande crescita del Terzo Settore, gli enti locali dovranno ricorrere a forme di aggiudicazione dei servizi che "consentano ai soggetti operanti nel Terzo Settore di esprimere pienamente la propria progettualità". Questo significa privilegiare, ove possibile e funzionale, il ricorso all’appalto concorso, lo strumento che più di ogni altro consente la progettualità dei partecipanti e la possibilità di valutare la qualità delle prestazioni offerte e del personale che si propone di impiegare.

 

Sono considerati soggetti del terzo settore, le organizzazioni di volontariato, le associazioni e gli enti di promozione sociale, gli organismi della cooperazione, le cooperative sociali, le fondazioni, gli enti di patronato, altri soggetti privati non a scopo di lucro (articolo 2 DPCM 30/3/2001).

 

L’apporto del terzo settore diventa quindi "non occasionale" e ciò permette, oltre che allargare il ventaglio di offerta, di disporre di servizi flessibili e più adattabili alle esigenze della domanda, promuovendo, contemporaneamente un’occasione di lavoro, specie per la mano d’opera femminile che ha in Liguria alta percentuale di disoccupazione.

I servizi sociali diventano, in tal senso, un’opportunità in più, come avviene nella media dei Paesi europei che vede un’occupazione nel campo dei servizi alla persona del 14,7%: questa percentuale scende in Italia a meno del 6% e in Liguria è inferiore al 5%.

 

Il ricorso al Terzo Settore, o all’impresa sociale, non è acritico e deve tendere a:

promuovere l’offerta, il miglioramento della qualità e l’innovazione dei servizi e degli interventi anche attraverso la definizione di specifici requisiti di qualità e il ruolo riconosciuto degli utenti e delle loro associazioni ed enti di tutela;

favorire la pluralità di offerta dei servizi e delle prestazioni, nel rispetto dei principi di trasparenza e semplificazione amministrativa;

favorire l’utilizzo di forme di aggiudicazione o negoziali che consentano la piena espressione della capacità progettuale e organizzativa dei soggetti del terzo settore;

favorire forme di coprogettazione promosse dalle amministrazione pubbliche interessate che coinvolgano attivamente i soggetti del terzo settore per l’individuazione di progetti sperimentali ed innovativi al fine di affrontare specifiche problematiche sociali;

definire adeguati processi di consultazione con i soggetti del terzo settore e con i loro organismi rappresentativi riconosciuti come parte sociale.

 

I Comuni per l’erogazione di servizi socio-sanitari integrati predispongono, d’intesa con l’Azienda USL progetti individuali di assistenza ovvero l’erogazione di interventi nell’ambito di percorsi assistenziali attivi per l’integrazione o la reintegrazione sociale.

 

I Comuni, ai fini della selezione dei soggetti del Terzo Settore presso cui acquistare o ai quali affidare l’erogazione dei servizi alla persona di cui alla l. 383/2000, fermo restando quanto stabilito dall’articolo 11 della stessa Legge valutano l’offerta qualitativamente ed economicamente più vantaggiosa tenendo conto in particolare dei seguenti elementi:

 

la formazione, la qualificazione e l’esperienza professionale degli operatori coinvolti;

le modalità adottate per il contenimento del turn over degli operatori;

gli strumenti di qualificazione organizzativa del lavoro;

la conoscenza degli specifici problemi sociali del territorio e delle risorse sociali della comunità.

 

Quanto affermato per la selezione dei soggetti del Terzo Settore si applica anche al privato, particolarmente per quanto attiene la formazione e la qualità degli operatori nonché l’assetto organizzativo.

 

E’ indispensabile che nei piani di zona per i servizi intercomunali sia individuato triennalmente (con aggiornamenti annuali):

 

il fabbisogno di servizi;

un elenco di fornitori di servizi autorizzati ai sensi dell’articolo 11 della l. 328/2000, che si dichiarino disponibili ad offrire i servizi richiesti secondo tariffe e caratteristiche di qualità concordate;

le modalità di selezione dei soggetti fornitori, tenuto conto dell’offerta qualitativamente ed economicamente più vantaggiosa.

 

La Giunta regionale, anche attraverso la processualità propositiva delle zone, entro 180 giorni dall’approvazione del presente piano, adotta "linee guida" per disciplinare il rapporto tra Comuni e terzo settore, tenendo conto delle norme nazionali (DPCM 30 marzo 2001) di quelle comunitarie e dei principi di pubblicità e trasparenza dell’azione della pubblica amministrazione, nonché della libera concorrenza tra i soggetti privati, privilegiando procedure di aggiudicazione negoziate che permettono di valorizzare e valutare gli elementi di qualità che il Comune intende ottenere dal servizio appaltato.

 

 

Per affrontare specifiche problematiche sociali, i Comuni indicono, tra l’altro, ai sensi del d.p.c.m. 30 marzo 2001, istruttorie pubbliche per la co-progettazione dei relativi interventi, valorizzando e coinvolgendo attivamente, nello spirito della riforma dell’assistenza, i soggetti del terzo settore anche sul piano della co-progettazione.

 

All’istruttoria pubblica di cui al comma precedente, partecipano i soggetti del terzo settore attivi nel territorio di riferimento sulle problematiche sociali individuate, le organizzazioni sindacali e, tra gli altri, le associazioni di tutela degli utenti del territorio di riferimento, nonché i cittadini interessati.

 

Nelle linee guida citate verranno individuate anche modalità di indizione e funzionamento delle istruttorie pubbliche.

 

Rispetto al tema della valorizzazione dell’apporto delle organizzazioni di volontariato e delle associazioni di promozione sociale, nell'erogazione dei servizi, la legge di riforma non innova rispetto a quanto previsto dalla l. 266/1991 e dalla l. 383/2000, che non prevedono che le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale traggano profitto dalla erogazione di servizi in un regime di convenzionamento che leghi la qualità delle prestazioni ad un corrispettivo.

Nell’affidamento alle organizzazioni di volontariato e alle associazioni di promozione sociale di interventi o servizi, l’ente locale dovrà dunque prevedere nel contratto (o convenzione) una modalità di rimborso spese coerente con le caratteristiche di gratuità e solidarietà che caratterizzano le organizzazioni di volontariato.

L’ente locale potrà evidentemente anche erogare contributi alle organizzazioni di volontariato e alle associazioni di promozione sociale, regolarmente iscritte nei relativi registri regionali.

L’apporto delle organizzazioni di volontariato e delle associazioni di promozione sociale, anche in relazione a quanto previsto dalle L. n. 266/91 e 383/2000 e dalla l.r. 15/1992 è particolarmente dedicato ai servizi e alle prestazioni di carattere promozionale e complementari a servizi che richiedono una organizzazione complessa.

 

I Comuni e le loro Associazioni stabiliscono forme di collaborazione con le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale, avvalendosi dello strumento della convenzione di cui alla l. 266/1991 e 383/2000.

 

Registri e albi regionali: Le strutture sociali del privato sociale, autorizzate e accreditate, sono ricomprese dalla normativa sociale in essere sull’autorizzazione, accreditamento, volontariato e cooperazione in registri e albi regionali; la sinergia ed il coordinamento voluto dalla legge 328/2000 tra tutti i soggetti del terzo settore, impegna la regione a razionalizzare sul piano normativo albi e registri, prevedendone l’unificazione a fini di uno strumento più snello e funzionale.

 

 

8. GLI STRUMENTI PER MIGLIORARE IL SISTEMA DEI SERVIZI SOCIALI: La qualità sociale, il sistema informativo, la formazione continua

 

8.1 La qualità sociale

 

Costruire un sistema di qualità nei Servizi Sociali, significa predisporre un insieme di regole, procedure, incentivi e controlli atti ad assicurare che gli interventi e i servizi sociali siano orientati alla qualità, in termini di adeguatezza ai bisogni, efficacia dei metodi e degli interventi, uso ottimale delle risorse impiegate, sinergie con servizi e risorse del territorio, valutazione dei risultati e "outcome", apprendimento e miglioramento continuo.

 

Il sistema di qualità richiede punti di partenza omogenei per tutto il territorio regionale che attengono innanzitutto a:

 

regole e requisiti per l’autorizzazione ed il funzionamento delle strutture (già in essere)

livelli di professionalità nei servizi e nelle strutture "tendenzialmente" omogenei

programmi e piani di formazione e di incentivazione per sostenere l'applicazione delle norme e dei requisiti essenziali, consentendo agli operatori in servizio di ottenere titoli professionali riconosciuti a livello regionale e nazionale

coerenza tra politiche formative ed esigenze occupazionali

adozione di strumenti di valutazione della qualità dei servizi (manuali, protocolli, linee guida)

osservanza della funzione di controllo e vigilanza sul funzionamento delle strutture.

La definizione del "sistema qualità" nel sociale può essere così sintetizzata:

Raccolta sistematica di informazioni su uno o più servizi in merito a: attività e prestazioni fornite (output), risultati conseguiti (outcome), con modalità che permettono una valutazione esterna, quantificabile o quanto meno condivisibile da parte di soggetti diversi dagli erogatori del servizio stesso.

 

Adottare un sistema di qualità significa analizzare i processi di INPUT e di OUTPUT secondo alcune modalità sequenziali applicabili sia a servizi residenziali che territoriali (domiciliarità, segretariato sociale, etc.) come semplificato nello schema illustrato.

 

La qualità sociale viene rilevata dal Sistema Informativo Sociale Regionale e per le rispettive funzioni in ambito di autorizzazione, accreditamento e vigilanza, dai Comuni e dalle Zone.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

8.1.1 I requisiti essenziali per l’organizzazione ed il funzionamento

 

La del.cons.reg. 44/1999 al punto 6 disciplina i requisiti delle strutture di residenza e accoglienza sociale, ivi comprese le strutture in cui sono integrate le prestazioni sanitarie (residenza protetta). Ai sensi dell’articolo 11 della l. 328/2000 lo Stato ha emanato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 maggio 2001, n. 308, il regolamento concernente "Requisiti minimi strutturali e organizzativi per l’autorizzazione all’esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale, a norma dell’articolo 11 della l. 328/2000".

 

In ordine ai contenuti del citato regolamento, correlati con i requisiti di cui alla del.cons.reg. 44/1999, si adottano per le autorizzazioni i seguenti principi e criteri direttivi:

 

l’obbligo di autorizzazione al funzionamento di cui alla l. 328/2000 riguarda le strutture e i servizi già operanti e quelli di nuova istituzione, gestiti dai soggetti pubblici o dai soggetti di cui all’articolo 1, commi 4 e 5 della l. 328/2000 che sono rivolti a:

minori per interventi socio-assistenziali ed educativi integrativi o sostitutivi della famiglia;

disabili per interventi socio-assistenziali e socio-educativi-riabilitativi finalizzati al mantenimento e al recupero dei livelli di autonomia della persona e al sostegno della famiglia;

anziani per interventi socio-assistenziali o sociali a rilievo sanitario (residenze protette) finalizzati al mantenimento e al recupero delle residue capacità di autonomia della persona e al sostegno della famiglia;

cittadini con problematiche psico-sociali che necessitano di assistenza continua e risultano privi del necessario supporto familiare, o per i quali la permanenza nel nucleo familiare sia temporaneamente o definitivamente impossibile o contrastante con il progetto individuale.

 

Per strutture di nuova istituzione si intendono le strutture che alla data di vigenza del presente piano hanno in corso progetti edilizi non ancora autorizzati dal Comune.

 

Nulla è innovato rispetto alle disposizioni adottate in attuazione della l. 45/1999 in materia di strutture e servizi destinati al recupero e alla riabilitazione della tossicodipendenza, così come per le strutture socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria, rispetto al D.P.R. 14 gennaio 1997 e alla l. r. 20/1999.

 

I Comuni attraverso la procedura prevista dalla l.r. 20/1999 rilasciano autorizzazione all’esercizio dei servizi e delle strutture a cicli diurno e residenziale a seguito della verifica del possesso dei requisiti minimi strutturali e organizzativi.

In relazione all’entrata in vigore del presente piano le strutture sociali di cui all’articolo 7 della l.r. 20/1999 predispongono, entro 90 giorni dalla vigenza dello stesso, un progetto in cui sia precisata la permanenza dei requisiti minimi collegati all’autorizzazione provvisoria e la compatibilità con i requisiti di cui al presente piano, da realizzarsi in tempi congrui indicati nel progetto stesso e valutati dai Comuni, a fini autorizzativi.

 

Le associazioni intercomunali a livello di Zona:

individuano strumenti e modalità per l’attività istruttoria, di controllo e di vigilanza;

inseriscono le strutture o i servizi in appositi elenchi da trasmettere al sistema informativo sociale ai fini di quanto previsto dalla l. r. 20/1999;

individuano i necessari interventi formativi e informativi rivolti ai soggetti interessati alle attività istruttorie, di controllo e di vigilanza.

 

Il combinato disposto dei requisiti di cui alla del.cons.reg. 44/1999 con le disposizioni di cui al d.p.c.m. 308/2001 definisce per le strutture a ciclo residenziale diurno o continuativo i seguenti requisiti:

ubicazione in luoghi abitati o comunque facilmente raggiungibili con l’uso di mezzi pubblici per facilitare l’integrazione sociale degli ospiti e facilitare le visite agli ospiti delle strutture;

dotazione di spazi destinati ad attività collettive e di socializzazione distinti dagli spazi destinati alle camere da letto, organizzati in modo da garantire l’autonomia individuale, la fruibilità e la privacy;

presenza di figure professionali qualificate, in relazione alle caratteristiche ed ai bisogni dell’utenza ospitata e presenza di un coordinatore responsabile della struttura e, laddove è prevista l’erogazione di prestazioni sanitarie, anche di un referente delle attività sanitarie (Medico di medicina generale) ivi compreso personale sanitario in relazione ai bisogni e alle caratteristiche degli ospiti;

adozione di un registro degli ospiti e predisposizione per gli stessi di un piano individualizzato di assistenza e, per i minori, di un progetto educativo individuale;

il piano individualizzato ed il progetto educativo individuale devono indicare in particolare: gli obiettivi da raggiungere, i contenuti e le modalità dell’intervento, il piano delle verifiche;

organizzazione delle attività nel rispetto dei normali ritmi di vita degli ospiti;

adozione di apparecchi telefonici a disposizione degli ospiti e possibilità, per gli ospiti, costretti a letto, di utilizzare campanelli di chiamata;

l’adozione, da parte del soggetto gestore, di una carta dei servizi sociali, secondo quanto previsto dall’articolo 13 della l. 328/2000.

In relazione alla classificazione delle strutture già adottate dalla del.cons.reg.. 44/1999, si indica in sintesi la "mission" delle strutture residenziali, introducendo l’equiparazione delle tipologie previste dalla citata del.cons.reg. 44/1999 con quelle individuate dal regolamento approvato dal d.p.c.m. 308/2001:

strutture a carattere comunitario;

strutture a prevalente accoglienza alberghiera;

strutture protette;

strutture a ciclo diurno.

 

Le strutture a carattere comunitario sono caratterizzate da bassa e media intensità assistenziale, bassa e media complessità organizzativa, destinata ad accogliere utenza parzialmente non autosufficiente, priva del necessario supporto familiare o per la quale la permanenza nel nucleo familiare sia temporaneamente o definitamente contrastante con il piano individualizzato di assistenza.

Sono ricomprese le comunità alloggio, le comunità educativo-assistenziale, i presidi di ospitalità collettiva protetta.

 

Le strutture a prevalente accoglienza alberghiera sono caratterizzate da bassa e media intensità assistenziale, media e alta complessità organizzativa in relazione al numero di persone ospitate, destinate ad accogliere anziani autosufficienti o parzialmente non autosufficienti.

Sono ricomprese le residenze sociali.

 

Le strutture protette sono caratterizzate da media e medio/alta complessità organizzativa (anche con componente sanitaria) destinate ad accogliere anche utenza non autosufficiente senza necessità di assistenza sanitaria continuativa e ad elevata intensità.

Sono ricomprese le residenze protette.

 

Le strutture a ciclo diurno sono caratterizzate da diverso grado di intensità assistenziale in relazione ai bisogni dell’utenza ospitata e possono trovare collocazione autonoma all’interno o in collegamento alle strutture sopra indicate. I requisiti essenziali dei centri diurni sono i seguenti:

articolazione in moduli di 25/30 utenti. Nel caso di demenze di tipo degenerativo (es. Alzheimer) il modulo non può superare le 15 persone;

spazi per la socializzazione con ateliers creativi;

spazi per svago, relax e riposo;

sala da pranzo con superficie congrua in relazione al numero degli ospiti;

cucina a norma se la ristorazione è effettuata in sede; se la ristorazione è esternalizzata devono essere previsti spazi adeguati per la veicolazione dei cibi;

personale educativo, di animazione e di assistenza in numero congruo al numero degli ospiti e alla loro gravità

personale medico, infermieristico e della riabilitazione e consulenze psicologiche, laddove necessario, a carico del S.S.N.

 

La Giunta regionale, entro 90 giorni dalla data di approvazione del presente Piano, provvede con apposito regolamento, da emanarsi previo parere della competente Commissione consiliare, alla disciplina dei requisiti per l’autorizzazione, coordinando i requisiti indicati ai precedenti punti 1-6 – che recepiscono i principi del d.p.c.m. 308/2001 – con gli standard indicati al capitolo 6 della del.cons.reg. 44/1999, in ordine anche alle indicazioni in materia di autorizzazione della l.r. 20/1999. Nell’individuazione dei requisiti dovrà essere valutata l’incidenza dei costi di adeguamento agli stessi da parte delle strutture residenziali.

 

La Giunta regionale provvede, altresì, con apposito regolamento, previo parere della competente Commissione consiliare, alla disciplina della residenzialità socio-sanitaria ad elevata integrazione sanitaria.

 

Per stabilire criteri e percorsi di accreditamento sarà promosso, d’intesa con le Zone e con le Aziende sanitarie, entro i primi sei mesi di vigenza del Piano, un apposito gruppo di lavoro che stabilisca strumenti, modalità e criteri per l’accreditamento delle strutture sociali, secondo quanto già previsto dalla l.r. 20/1999 e dal d.p.c.m. 308/2001. Il gruppo predisporrà gli elaborati, anche acquisendo i pareri degli organismi rappresentativi dei soggetti di gestione no-profit e profit, nonché degli organismi di tutela dei cittadini e delle organizzazioni sindacali.

 

 

 

 

 

 

 

8.2 La carta dei servizi sociali

 

La carta dei servizi sociali è intesa come strumento per l’esercizio di "cittadinanza attiva" nella logica dei diritti e dei doveri sociali, attraverso la descrizione dell’organizzazione e del funzionamento della rete dei servizi alla persona, individuandone le modalità di accesso; in tal senso si caratterizza per la definizione di un insieme di "percorsi progettuali" per le persone fragili a cui la l. 328/2000 riserva la priorità assistenziale, fermo restando l’obiettivo di apertura della rete dei servizi a tutti i cittadini.

 

 

Con riferimento ai contenuti, la carta dovrà prevedere:

le condizioni per l’esercizio della cittadinanza attiva a livello locale (promozione dell’associazionismo sociale, dei servizi di prossimità, di mutuo-auto-aiuto);

i percorsi assistenziali e le opportunità sociali disponibili;

la "mappa" delle risorse istituzionali e sociali;

le prestazioni assistenziali essenziali (articolo 22 l. 328/2000, articolo 24 della l.r.. 30/1998 e articolo 1 del d.lgs 502/1992 come modificato dal d.lgs 229/99);

gli standard di qualità da rispettare, le modalità di verifica, le sanzioni nel caso di non applicazione degli standard, i programmi di miglioramento;

le modalità di partecipazione dei cittadini;

le modalità di verifica;

le forme di tutela dei diritti, in particolare dei soggetti fragili.

 

Ogni Comune, in quanto responsabile dell’offerta dei servizi sociali, dovrebbe adottare una propria "carta"; per l’assetto configurato all’organizzazione sociale in Liguria è opportuno adottare una carta intercomunale per le associazioni di distretto e comunque senz’altro - almeno per gli aspetti generali relativi ai percorsi assistenziali, alla mappa di servizi e alle prestazioni essenziali, nonché per il concorso alla spesa - è auspicabile una carta dei servizi sociali di zona.

Va aggiunto che il processo di costruzione delle carte dei servizi è di particolare rilevanza, in quanto costituisce una preziosa occasione di coinvolgimento degli operatori dei servizi, della società civile e degli organismi rappresentativi della stessa, con i quali potranno essere confrontati i principi cui si ispirano le strategie di offerta e negoziati gli standard di qualità e gli strumenti in caso di mancato rispetto. In questo modo si potrà costituire una "sorta di patto" tra comuni e cittadini che promuova la crescita dei servizi sociali in termini di semplificazione organizzativa e di maggior aderenza alla domanda.

 

Inoltre la l. 328/2000 stabilisce che l’adozione della carta dei servizi sociali da parte degli erogatori è condizione per il loro accreditamento; è ovvio che tale condizione deve essere condivisa anche dalle amministrazioni comunali con le quali la Regione intraprenderà un percorso per stabilire i criteri di accreditamento delle strutture sociali.

 

 

8.3 Il sistema informativo sociale

 

Obiettivo

Il Piano Triennale dei Servizi Sociali 1999/2001 confermava la necessità di costruire uno strumento informativo che garantisse la funzione di gestione, controllo e programmazione da parte dei diversi livelli istituzionali, innalzando la capacità analitica a diversi livelli decisionali, al fine di conferire alla Regione un ruolo programmatorio con capacità di monitorare e valutare i servizi e le politiche sociali.

 

Il sistema, dovendo garantire una funzione di governo, non può esere basato su attività sporadica ma deve prevedere flussi continui tra Distretti e Regione con una accessibilità ed utilizzabilità delle informazioni ai diversi livelli di governo e di responsabilità gestionali e organizzative, funzionali anche ad operazioni sistematiche di benchmarking per confrontarsi e collocarsi nei confronti di esperienze analoghe, comprendere punti di forza da valorizzare e quelli di debolezza su cui lavorare.

 

L’implementazione di detto sistema è una operazione molto complessa che richiede un linguaggio comune, omogeneità nella rilevazione, verifica di attendibilità e completezza dei dati. Questi sono elementi essenziali per avere indicatori significativi che devono consentire di descrivere interventi e servizi del sistema sociale, valutarne la qualità, il grado di adeguatezza alla domanda sociale, i gradi di efficacia ed efficienza.

 

La prima fase di avvio

 

Nella prima fase di avvio del sistema informativo sociale si è proceduto innanzitutto all’esame delle rilevazioni esistenti nei singoli distretti e della documentazione a livello nazionale e regionale, alla quale hanno fatto seguito gli incontri con le segreterie tecniche di zona per definire una processualità condivisa e concordata.

 

Argomenti trattati

 

Inizialmente sono stati presi in considerazione i seguenti argomenti:

la condizione sociale, culturale, economica, sanitaria e psicologica dei soggetti che richiedono un intervento sociale con maggiore dettaglio sulle condizioni dell’infanzia e dell’adolescenza;

le risorse finanziarie nel settore e la loro destinazione per aree di intervento;

la mappa dei servizi territoriali pubblici e privati.

 

Le schede

 

I dati sopra indicati sono stati organizzati attraverso sei schede:

Accessi/Contatti

Scheda individuale

Dati per i minori

Mappa servizi territoriali per minori

Entrate

Spese correnti

 

Le prime tre schede riguardano le informazioni sulla persona richiedente una prestazione sociale (anche solo un’informazione).

L’accesso si riferisce al primo contatto della persona con i servizi sociali che può anche essere telefonico cui può seguire, un iter procedurale di accoglienza o presa in carico.

In quest’ultimo caso si rilevano le informazioni della scheda individuale dove sono raccolti i dati che riguardano negli aspetti generali le diverse "categorie" dell’utenza. Per i minori, maggiori informazioni sono esplicitate nella terza scheda. Per le restanti categorie, (anziani, handicap, tossicodipendenza, etc.), sono previsti analoghi sviluppi.

 

Le altre tre schede trattano una prima informazione sulla rete dei servizi e delle risorse finanziarie impegnate e sono previste sia a livello di Comune, sia a livello di Distretto.

 

La mappa dei servizi va compilata a livello di Comune o di Distretto a seconda si tratti di servizi di tipo comunale o distrettuale. Nel caso di servizi sovradistrettuali, gestiti da un Distretto riguardanti l’utenza di più Distretti, il servizio deve essere indicato dal Distretto che provvede alla sua gestione.

Il Distretto compila le schede economiche delle entrate e delle spese di propria competenza (Attività svolte dal distretto, Progetti Obiettivo e Trasferimento da altri Comuni per attività delegate al Distretto). Il Comune compila le restanti voci delle schede economiche.

 

Gestione del sistema informativo

 

Per la gestione del sistema informativo sopra illustrato è stata predisposta una semplice procedura per l’informatizzazione dei dati.

Si è costantemente tenuta presente l’esigenza di fornire un programma facile da gestire anche da persone con bassa formazione informatica e di semplice manutenzione.

Il dato può essere raccolto dai Distretti su supporto cartaceo, oppure inserito direttamente su Personal Computer. Le segreterie tecniche di zona svolgono un ruolo di coordinamento per quanto riguarda la raccolta e l’invio dei dati dai Distretti alla Regione.

Le schede sono di facile e veloce compilazione, avendo scelto le informazioni da inserire cercando il giusto equilibrio tra la completezza dei dati e la velocità di compilazione, individuando un sistema essenziale e mirato che eviti l'inflazione dei dati e che fornisca effettivamente informazioni utili.

Sono stati effettuati corsi e seminari per gli operatori addetti alla raccolta dei dati al fine di costruire "una conoscenza" del dato, sia come elemento di valutazione della realtà sociale, che come lettura dei processi di domanda/offerta, nonché come verifica degli outcome delle prestazioni erogate.

 

La seconda fase

La fase successiva di messa a punto del sistema informativo, dovrà prendere in considerazione il completamento delle schede con maggiore dettaglio per altre categorie di utenti (anziani, disabili, tossicodipendenti, immigrati), il perfezionamento della mappa dei servizi che dovrà raccordarsi con quella in campo socio-sanitario, il miglioramento, l’affidabilità, la completezza ed in particolare la omogeneità dei dati raccolti, il miglioramento nella rendicontazione economica da parte degli Enti locali e in particolare la raccolta delle informazioni sulla spesa e le attività sociali, sia a livello di Comune che di Distretto e di Zona.

Il sistema informativo dovrà, infine, adeguarsi ed integrarsi con il sistema informativo nazionale previsto dalla Legge di Riforma dell’Assistenza.

 

L’osservatorio sociale regionale

L’osservatorio sociale regionale, previsto dall’articolo 7 della l. r. 30/1998 quale strumento di analisi e di previsione dei fenomeni sociali, di diffusione delle conoscenze e delle elaborazioni in materia sociale, è funzionalmente collegato al sistema informativo sociale sopra descritto.

Particolare attenzione sarà posta al coordinamento e all’integrazione del sistema informativo con le altre iniziative finalizzate alla produzione e alla diffusione di informazioni in campo socio-economico, nonché con gli osservatori nell’ambito dei diversi settori della programmazione regionale quali quelle del mercato del lavoro, del volontariato, della sanità.

 

8.4. Interventi formativi e formazione continua

 

Per il conseguimento degli obiettivi individuati nel presente piano e comunque per innovare il sistema dei servizi sociali, è necessario definire un sistema di interventi formativi nei confronti di tutti gli interlocutori considerati nell’assetto organizzativo e politico.

Per rispondere a tali esigenze saranno realizzate quattro differenti tipologie di attività "informative" e "formative":

interventi seminariali rivolti a tutti i soggetti pubblici, privati e del privato sociale che è utile coinvolgere in un percorso complessivo di crescita culturale e di consapevolezza rispetto alla riforma del welfare locale;

interventi formativi brevi, di carattere specialistico, organizzati nella forma di work-shop con seminari e gruppi di lavoro monotematici per l'approfondimento di specifici ambiti tematici, sia rispetto all'inquadramento teorico, che rispetto ai nuovi strumenti di lavoro e alle nuove possibilità di intervento proposte, rivolti ad amministratori e a dirigenti; sono altresì predisposti seminari di aggiornamento sulle iniziative sociali per le organizzazioni sindacali, con particolare riferimento alle organizzazioni dei pensionati e al volontariato per la terza età.

interventi formativi di durata media per la formazione di base rivolta ai funzionari e dipendenti degli enti pubblici (Comuni, Segreterie Tecniche di Zona, Province) impegnati nella gestione delle pianificazioni di zona e nelle nuove funzioni di operatori i di front-office per gli sportelli di cittadinanza;

interventi formativi e di assistenza formativa per la formazione dell’Esperto da assegnare alle Conferenze dei Sindaci per la componente sociale da integrare con la sanità. Potrebbe essere interessante anche ampliare questa attività formativa a personale non già inserito in amministrazioni pubbliche locali, per programmare una dotazione di "operatori sociali" di livello direzionale chiamati a svolgere, in oggi e nel futuro, un ruolo strategico nell'assetto organizzativo del Sistema Integrato degli interventi e delle prestazioni sociali in Liguria.

Saranno invitati a partecipare ai momenti formativi riguardanti il socio-sanitario anche i responsabili di distretto sanitario e altre figure dirigenziali dell’Azienda Sanitaria.

I Seminari

 

Saranno realizzati 6 seminari informativi nell'arco di un anno circa di lavoro, con la cadenza programmata di un seminario ogni due mesi,

I seminari sono rivolti a tutti gli interlocutori diretti e indiretti del Progetto formativo ed in particolare agli amministratori, ai dirigenti e funzionari delle amministrazioni pubbliche, ai funzionari delle segreterie tecniche di zona, agli operatori del Terzo Settore, ai rappresentanti delle famiglie, del volontariato. Complessivamente si stima una partecipazione media per seminario di circa 100 persone.

 

Sono di seguito elencati i principali temi da affrontare nei seminari:

 

obiettivi del Progetto Formativo e linee principali della l. 328/2000;

il Piano Sociale Nazionale, il Piano Sociale Regionale 2001-2003 e le linee guida per la stesura dei Piani di Zona;

gli atti di indirizzo e coordinamento nazionali e gli altri adempimenti governativi per l'avvio dell'attuazione della riforma del welfare locale;

le esperienze innovative e sperimentali rispetto ad alcuni punti qualificanti della realizzazione del sistema integrato di interventi sociali (i buoni-servizio, il SIS, gli Sportelli di cittadinanza, i Piani di Zona, ecc…);

i rapporti tra enti pubblici e Terzo Settore, il ruolo di regolazione del mercato dei servizi privati, le forme di affidamento, la coprogettazione;

conclusione del progetto e illustrazione dei principali risultati conseguiti.

 

I Work-shop

Saranno realizzati 5 workshop (se ne prevede uno per gli amministratori locali,) aperti alla partecipazione di amministratori, dirigenti e funzionari di grandi amministrazioni locali e di uffici di Piano. I workshop sono monotematici, ciascuno della durata di 1,5 gg e con un numero medio di partecipanti di circa 30/40 persone. L'organizzazione delle giornate è caratterizzata dalla integrazione di momenti formativi di tipo tradizionale con momenti di apprendimento attivo attraverso la realizzazione di gruppi di lavoro che "simulino" tra i partecipanti tavoli di valutazione e di analisi dei bisogni sociali nei diversi territori, per la discussione delle priorità di intervento e delle soluzioni organizzative e gestionali più adeguate.

Alcuni dei temi da affrontare nei work-shop sono di seguito elencati:

il decentramento di competenze, dal d.lgs. 112/1998 fino alla l. 328/2000 e i nuovi ruoli e competenze degli enti territoriali;

i Piani di Zona e l'integrazione socio-sanitaria

le azioni di sistema per l'attuazione dei Piani di Zona: la formazione, l'analisi conoscitiva, la comunicazione, l'organizzazione, la valutazione;

le forme di gestione dei servizi, i rapporti con il Terzo Settore, le modalità di esternalizzazione dei servizi;

l'accreditamento e la qualità delle prestazioni.

 

Il percorso formativo sulla pianificazione di zona secondo la l.328/2000 e gli indirizzi di pianificazione regionale

Il percorso formativo che si propone è rivolto ai dipendenti di enti locali, province e comuni, che saranno impegnati direttamente nel lavoro di definizione dei Piani di Zona, siano essi assistenti sociali oppure figure amministrative.

Il percorso complessivo ha una durata di 10 gg. e sarà realizzato in due edizioni, ipotizzando una partecipazione di circa 40 persone per edizione, per un numero complessivo di beneficiari pari a 80 partecipanti, tra cui almeno 8-10 unità per l'Amministrazione regionale, almeno 2 unità per ciascuna segreteria tecnica di zona, almeno 6 unità per il Comune di Genova, almeno 2-3 unità per ciascuna amministrazione provinciale.

I temi che saranno affrontati nell'ambito del percorso formativo afferiscono alle seguenti aree tematiche:

le linee di riforma del welfare locale, gli indirizzi alle zone per la formulazione dei piani;

metodi, strumenti e dati per la predisposizione dei Piani di Zona;

il percorso di progettazione e di valutazione degli interventi sociali;

i livelli essenziali di assistenza e i possibili assetti organizzativi nella Zona;

gli strumenti innovativi per una migliore recettività della domanda e per rendere sinergica l'offerta: l'integrazione tra prestazioni economiche e prestazioni di servizi (titoli di acquisto dei servizi);

i rapporti con i soggetti terzi attuatori degli interventi: dalle forme di affidamento (appalti, gare, trattativa privata, etc), alla definizione dei rapporti, al monitoraggio delle attività;

il bilancio di zona;

l’integrazione socio-sanitaria: i servizi sociali a rilievo sanitario, i servizi sanitari a rilievo sociale, i collegamenti del piano di Zona con il piano delle attività territoriali del distretto sanitario (PAT);

la comunicazione sociale e l'utilizzo delle nuove tecnologie.

 

 

Il percorso formativo per gli operatori di front-office degli Sportelli di Cittadinanza

Si propone la realizzazione di tre edizioni di un corso di formazione della durata di 8 gg per ciascuna edizione. Il corso è rivolto alla formazione di metodologie e tecniche di comunicazione pubblica, alla analisi delle funzioni del welfare dell'accesso (il segretariato sociale in termini di ascolto e orientamento degli individui e promozione di tutte le risorse sociali lungo un percorso di attivazione e di selezione delle prestazioni e delle opportunità sociali più adeguate).

Si prevede di formare circa 84 unità, 28 per ciascuna edizione. L'intervento formativo della durata di 8 giornate, sarà articolato in 4 moduli di 2 giornate, da realizzare a settimane alternate.

 

 

La formazione per l’esperto sociale

Allo stato attuale della progettazione, all’interno della conferenza dei Sindaci è previsto un esperto delle funzioni sociali per raccordarsi con l’Azienda sanitaria (comma 4, articolo 6 come modificato dall’articolo 36 della l. r. 30/1998). Questa figura necessita di una ulteriore attività formativa (che inquadri anche l’organizzazione dei servizi sanitari) per poter sostenere tecnicamente i processi dell’integrazione e comunque tutte le funzioni delle conferenze dei Sindaci in materia di assistenza sanitaria e socio-sanitaria.

Il corso di formazione avrà una durata complessiva (compreso il seminario sui piani di zona) di 30 gg., ripartiti in 25 giornate di formazione con fasi di project work in cui i partecipanti lavoreranno individualmente e in gruppo in un contesto operativo, presso amministrazioni pubbliche (Comuni e Zone), a contatto con le realtà del Terzo Settore e con le Aziende Sanitarie.

Alle attività formative indicate provvederà il Formez, (incaricato dal Ministero della Funzione Pubblica di seguire la formazione degli operatori sociali a seguito della l.328/2000), d’intesa con l’Università di Genova (Corso di Laurea in Scienze del Servizio Sociale).