Il cinema racconta ... TEMPO Giorgione (1447 - ca. 1510) Tre età dell'uomo |
* L' ALBERO DI ANTONIA
di GORRIS MARLENE, OLA 1995, 012'
Affresco di una piccola comunità rurale sull'arco di quattro generazioni, dal 1945 alla fine del secolo.
Protagonista invisibile: il tempo che passa, linea narrativa: femminile, anzi matriarcale. Antonia che generò
Danielle che generò Thérèse da cui nacque Sarah. In questo Heimat fiammingo gli uomini sono in seconda fila:
abietti o fragili o coglioni, talora gentili. La voce narrante è di Sarah, pronipotina di Antonia, forte, volitiva e di
radiosa bellezza che rimane al centro dell'azione corale. Sagace, e qua e là furbesca, mistura di patetico e
grottesco, pubblico e privato, violenza e tenerezza con una marcata componente anticlericale e un pragmatico
amore per la vita, contrapposto al cupo pessimismo di un vecchio che cita Nietzsche e Schopenhauer.
* LE ALI DELLA LIBERTA'
di DARABONT FRANK, USA 1995,
Dal racconto Rita Hayworth and the Shawshank Redemption di Stephen King (nel volume Stagioni diverse). Alla
fine degli anni '40 bancario, condannato per l'uccisione della moglie e del suo amante, è inviato al carcere di
Shawshank. L'amicizia con un ergastolano nero e la competenza fiscale l'aiutano a sopravvivere fino alla rivalsa
finale. Dramma carcerario in linea con la migliore tradizione hollywoodiana (claustrofobico, violento, garantista,
liberale) con 2 novità: il tema della durata (il tempo che passa) e i connotati sociali del protagonista, direttore di
banca, vittima di un errore giudiziario.
* AMARCORD
di FELLINI FEDERICO, ITA 1974, 127'
Rivisitazione – tutta ricostruita e mai così vera – della Rimini dei primi anni '30 col fascismo trionfante,
l'apparizione notturna del transatlantico Rex, il passaggio delle Mille Miglia, la visita allo zio matto e la bella
Gradisca. Vent'anni dopo I vitelloni F. Fellini torna in Romagna con un film della memoria e, soltanto parzialmente,
della nostalgia. La parte fuori dal tempo è più felice di quella storica. Umorismo, buffoneria, divertimento, finezze,
melanconia. Oscar per il miglior film straniero.
* ATTIMO FUGGENTE
di WEIR PETER, 1989,
John Keating, giovane insegnante di materie umanistiche, arriva alla Welton Academy, di cui era stato allievo,
dove regnano Onore, Disciplina, Tradizione e ne sconvolge l'ordine imbalsamato insegnando ai ragazzi,
attraverso la poesia, la forza anarchica e creativa della libertà. Coraggioso nella scelta tematica, discutibile nella
sua poco critica esaltazione dell'individualismo e con qualche forzatura retorica, è una macchina narrativa
perfettamente oliata che non perde un colpo sino al finale che scalda il cuore, inumidisce gli occhi e strappa
l'applauso
* BAGDAD CAFE'
di ADLON PERCY, 1987,
In una zona desertica tra Disneyland e Las Vegas c'è una stazione di rifornimento con bar e motel. Arriva a
piedi, trascinandosi una valigia, una imponente turista quarantenne di Monaco di Baviera e vi si installa. Come la
Sägebrecht, rotonda eroina di Sugar Baby (1985), porti luce, ordine, pulizia e allegria nel sordido Bagdad Café è
l'itinerario di un film accattivante, caloroso e astuto che, dopo Herzog e Wenders, propone un altro sguardo
tedesco sull'America.
* IL BAGNO TURCO
di OZPETECK F., ITA , 95'
Logorato dal lavoro e da un matrimonio stanco senza figli con Marta, compagna e socia nella professione,
Francesco, giovane architetto romano, va a Istanbul dove ha ereditato una vecchia casa da un'eccentrica zia
materna. Il soggiorno gli cambia la vita, facendogli scoprire nuovi valori tra cui quelli dell'Eros
* BALENE D'AGOSTO
di ANDERSON LINDSAY, USA 1987, 90 '
Da una commedia di David Berry: da mezzo secolo due anziane sorelle vedove passano l'estate in un cottage
sulla costa del Maine. Ricevono periodiche visite di un'amica estroversa e malignazza, di un vecchio gentiluomo
russo e di un energico idraulico. Con un quartetto d'attori che compendia la storia e la memoria del cinema (il più
giovane è Price, 1911) un film dove la vita scorre piana come in una fotografia sbiadita: non una stecca, non un
eccesso, non un attimo di noia anche se, come si dice, non succede niente.
* BLADE RUNNER
di SCOTT R., USA 1982,
Nella Los Angeles del 2019 ex poliziotto torna in servizio per ritirare dalla circolazione due uomini e due donne
“replicanti”, androidi prodotti di un'ingegneria genetica, così perfetti da risultare indistinguibili dai normali esseri
umani. Ispirato al romanzo Ma gli androidi sognano pecore elettriche? (1968) di Philip K. Dick, è il miglior film di SF
degli anni '80; dopo Metropolis (1926) di F. Lang nessun film, forse, aveva proposto un'immagine così suggestiva
e terribile del futuro come la metropoli multirazziale, modernissima e decadente.
Analisi del film: R. Menarini, Ridley Scott. Blade Runner, Lindau, Torino
* LA CENA
di SCOLA ETTORE, ITA 1998, 120'
Al ristorante romano “Arturo al Portico”, nell'arco di una serata, si inanellano sotto l'occhio attento di Flora (F.
Ardant), moglie del titolare, 14 situazioni ai tavoli e in cucina con una quarantina di personaggi di età diversa della
media borghesia italiana. Rimangono in disparte una famigliola di turisti giapponesi e, in anticamera, un gruppo di
allegri adolescenti che festeggiano il compleanno della nipote di Flora. Scritto dal regista (1931) con la figlia
Silvia, Furio Scarpelli e il figlio Giacomo, il film si attiene a una totale unità di tempo, luogo e azione con
un'impennata magica nel finale. La tematica è quella consueta di E. Scola, con un retrogusto più amaro e
desolato che esprime il disagio, lo sconcerto, forse l'impotenza del regista e dei suoi sceneggiatori “a disegnare
le coordinate di un paesaggio sociale e politico divenuto estraneo e irriconoscibile” (Roberto Chiesi)
* C'ERA UNA VOLTA IN AMERICA
di LEONE SERGIO, USA 1984, 220 '
All'origine dell'ultimo film di Leone (1929-89) c'è il tempo con la sua vertigine. Come struttura narrativa, è un
labirinto alla Borges, un giardino dai sentieri incrociati, una nuova confutazione del tempo. La sua vicenda
abbraccia un arco di quasi mezzo secolo, diviso in 3 momenti: 1922-23, quando i protagonisti sono ragazzini,
angeli dalla faccia sporca alla dura scuola della strada nel Lower East Side di New York; 1932-33, quando sono
diventati una banda di giovani gangster; 1968, quando Noodles (R. De Niro), come emergendo dalla nebbia del
passato, ritorna a New York alla ricerca del tempo perduto. È un film di morte, iniquità, violenza, piombo, sangue,
paura, amicizia virile, tradimenti. E di sesso. In questa fiaba di maschi violenti le donne sono maltrattate; la
pulsione sessuale è legata all'analità, alla golosità, alla morte, soprattutto alla violenza. È l'America vista come un
mondo di bambini.
* LE CHAT - L'IMPLACABILE UOMO DI SAINT-GERMAIN
di GRANIER DEFERRE, FRA 1972, 86'
Una coppia di coniugi anziani vive in un quartiere di Saint-Germain. Un tempo si erano molto amati, oggi si odiano
e non si parlano mai. Lui raccoglie un gatto abbandonato, lei lo elimina. Ma le loro due vite sono indissolubilmente
unite. In un faccia a faccia patetico ad armi uguali, J. Gabin e S. Signoret danno il meglio di sé stessi. È un film da
vedere: una riflessione sul mondo di Georges Simenon e sul realismo poetico degli anni '30.
* DADDY NOSTALGIE
di TAVERNIER BERTRAND, 1990, 105'
Da Parigi una giovane donna va a stare qualche giorno a casa dei suoi, in una cittadina della Costa Azzurra, per
essere vicina al padre, reduce da un intervento chirurgico. Scritto dalla ex moglie del regista Colo O'Hagan,
questo piccolo film intimista, quasi per sfida girato sul largo formato del Cinemascope, è costruito come un
quadro impressionista attraverso una serie di macchie di colore e di particolari infallibili, fatto di parole che si
dovevano dire e non furono dette, silenzi ora complici ora ottusi, slanci frenati, pudori, gesti maldestri, sguardi
perduti, e di momenti in cui la vita assomiglia alla vita. Impossibile stabilire, nella grazia malinconica di questa
cronaca struggente sul tempo che passa, se sia un film d'attori (ammirevoli) o di regia, se appartenga a chi l'ha
scritto più che a chi l'ha diretto. Si possono raccontare al cinema giorni di felicità? Sì, se significa pace con un
po' di amore.
* I DUELLANTI
di SCOTT RIDLEY, GB 1977, 101'
È la storia di un duello che, continuamente interrotto per ragioni diverse, dura quindici anni. I duellanti sono due
ufficiali francesi degli Ussari dell'epoca napoleonica, ossessionati da una assurda rivalità. Da un racconto
(1908) di J. Conrad, un po' stirato fino a 101', un film di raffinata eleganza figurativa.
* LA FAMIGLIA
di SCOLA ETTORE, 1986,
Vita di Carlo e di una famiglia della media borghesia romana dal 1906 al 1986, da una foto di gruppo con nipotini
all'altra. Molti gli avvenimenti: l'avvicendarsi delle generazioni, battesimi, nozze, lutti, bisticci, conflitti, pranzi,
compromessi. Nell'itinerario di E. Scola, che l'ha scritto con Fulvio Scarpelli e Ruggero Maccari, appare come un
punto d'arrivo, un compendio: è un film sul tempo che passa e cambia le persone, levigando conflitti, sentimenti,
passioni come i sassi di mare. Un film di attori, una bella prova di professionismo e maestria narrativa, di sintesi
all'insegna dell'armonia, fondato su uno sguardo disincantato e saggio di chi, raggiunta la maturità, ha saputo
migliorare e chiarificare il vino della giovinezza.
* IL GATTOPARDO
di VISCONTI LUCHINO, 1963,
* HAROLD E MAUDE
di HASHLEY HAL, USA 1971, 90'
Ricchissimo, afflitto da madre possessiva, incline a mettere in scena finti suicidi, il giovane Chasen fa amicizia
con una contessa ottantenne che gli insegna il gusto della vita e della libertà
Nella sua mescolanza di toni, è un testo tipico da fine anni '60 che rivendica il diritto alla fantasia, alla marginalità,
alla libertà individuale.
* IN THE MOOD FOR LOVE
di WONG KAR-WAY, TAIW 2000, 98'
Hong Kong, 1963. Chow Mo-Wan e Su Li zhen, vicini di casa, scoprono casualmente che i rispettivi coniugi sono
amanti e inscenano come in una prova le rispettive rivelazioni. Si incontrano, si chiedono cosa staranno
facendo gli altri due, si parlano come se parlassero a loro, si guardano allontanarsi e inevitabilmente, senza
dirserlo mai, uniscono per amarsi. "In the Mood for Love" non è solo il film più bello dì Wong Kar-wai, è anche un
capolavoro senza tempo del cinema Costruito sui vuoti, sui neri che scorrono tra una scena e l'altra, sulte
attese, sulle ellissi che riempiono una vita.
* MADADAYO IL COMPLEANNO
di KUROSAWA AKIRA, GIA 1993, 142'
Ispirato alla figura del professore di tedesco e scrittore Hyakken Uchida (1889-1971) e scandita l'azione in
quattro momenti (1943-1945-1948 e il 77o compleanno), ha due temi centrali: la vecchiaia e quel rapporto quasi
mistico tra maestro e discepolo che era fino a poco tempo fa profondamente radicato nella cultura giapponese.
A. Kurosawa li svolge nelle cadenze di una commedia ottimistica e nei toni di un racconto minimalista dove gli
eventi storici sono esclusi e le trasformazioni sociali appena indicate. Il titolo significa “non ancor”, la risposta
che il protagonista dà alla domanda scaramantica degli allievi se sia pronto ad andarsene. Si piange, si beve, si
canta spesso. Stile frontale, cinepresa quasi immobile.
* UN MERCOLEDI' DA LEONI
di MILIUS JOHN, USA 1978, 120'
Tre inseparabili amici furoreggiano col surf sulle spiagge della California negli anni '60. Il tempo passa, la vita li
divide, ma le grandi ondate ritornano. Scandito su 4 tempi che sono 4 stagioni e 4 celebri mareggiate (estate '62,
autunno '65, inverno '68, primavera '74) e che quasi corrispondono alle burrasche politiche (dalla morte di
Kennedy allo scandalo del Watergate), non è soltanto un film sul surf e la sua mistica eroica (come l'ha praticato
lo stesso J. Milius), ma anche una malinconica saga sull'amicizia virile, su una generazione americana segnata
dal malessere esistenziale e dalla guerra del Vietnam. Uno dei più misconosciuti film dei '70. Eppure la sua
importanza – non soltanto sociologica – è pari a quella di Il cacciatore di Michael Cimino, uscito nello stesso anno.
* NOSTOS IL RITORNO
di PIAVOLI F., ITA 1989,
Poema audiovisivo sul ritorno a casa per mare di un ulisside con una vicenda ridotta ai minimi termini e pochi
dialoghi. Enigmatico, impervio, affascinante, con una straordinaria colonna sonora. Dopo Il pianeta azzurro
(1982), poema sulla terra, questo outsider lombardo (1933) del cinema italiano ha fatto un poema sul mare.
Troppo astratto, estatico, atteggiato per lo spettatore comune, ma non per chi è abbastanza aperto e sensibile
per riceverlo in sé, per riuscire a immergersi nel suo flusso di immagini e suoni
* NOTTI SELVAGGE
di COLLARD CYRIL, FRA 1992, 126'
A Parigi, alla metà degli anni '80, il cineoperatore bisessuale Jean (C. Collard) amoreggia con la diciottenne Laura
(R. Bohringer), senza dirle subito di essere sieropositivo, e con il rugbista Samy (C. Lopez). Tratto da un
romanzo dello stesso Collard, qui esordiente nel lungometraggio dopo aver diretto alcuni corti e un telefilm, è
all'insegna di una patologica bulimia, un altro nome per chiamare la ridondanza, il culto dell'eccesso anche nella
recitazione, il narcisismo esibizionista, il gusto dell'ibridazione, evidente anche nel commento musicale dove il
rock s'alterna con canti gitani e arabi. È un film in cui in Francia (più di 1 milione di spettatori) una generazione ha
creduto di riconoscersi. Collard (1957-93) morì di Aids 4 giorni prima che il film vincesse 4 premi César: miglior
film, miglior opera prima, migliore promessa (Bohringer) e montaggio. I censori italiani che l'hanno tagliato e
proibito ai minori di 18 anni non hanno capito il suo forsennato romanticismo che verso l'epilogo diventa persino
edificante nella sua urlata voglia di vita.
* IL PIANETA AZZURRO
di PIAVOLI FRANCO, ITA 1982, 90'
Girato in Valbruna tra Brescia e Mantova, descrive, sotto il segno dell'acqua, il giro dei giorni e delle stagioni, la
vita della natura, la presenza dell'uomo. Poema (più Lucrezio che Disney) che apre una finestra magica sul
mondo della natura. Un piccolo capolavoro anomalo del cinema italiano degli anni '80.
* PICNIC AD HANGING ROCK
di WEIR PETER, 1975,
* IL POSTO DELLE FRAGOLE
di BERGMAN INGMAR, 1957,
Un vecchio medico parte in auto con la nuora, carica una coppia di autostoppisti, va a trovare la vecchissima
madre, arriva all'università di Lund dove si festeggia il suo giubileo, il 50o anniversario della sua attività
professionale. Alle vicende del viaggio si alternano sogni, incubi, ricordi che si fanno parabola sulla morte
nascosta dietro le apparenze della vita. “... non avevo capito che V. Sjöström si era preso il mio testo, l'aveva
fatto suo e vi aveva immesso le sue esperienze... Si era impadronito della mia anima nella figura di mio padre e
se ne era appropriato...” (I. Bergman). È, forse, il più alto risultato di Bergman negli anni '50.
* PRIMA DEL BUIO
di REEVE CHRISTOPHER, USA 1997, 59'XX
Dopo anni di lontananzaun malato di aids torna a casa per passare con la famiglia l'ultimo tempo che gli resta
Genitori e sorella dapprima sono in difficoltà, poi imparano ad aiutarlo ed assisterlo
* QUEL CHE RESTA DEL GIORNO
di IVORY JAMES, GB - USA 1993, 134'
Nel 1958, dopo che la tenuta di Darlington Hill, dove ha servito per trent'anni e più, è stata acquistata da un ricco
americano (C. Reeve), un maggiordomo (A. Hopkins) si rende conto che la sua ammirata fedeltà per il padrone
era mal riposta e che nella totale identificazione nel proprio ruolo ha fallito la sua vita. Tratto dal romanzo
omonimo (1990) di Kazuo Ishiguro, giapponese cresciuto in Inghilterra, e adattato da Ruth Prawer Jabhala che
per 30 anni gli ha scritto 2 film su 3, è il più malinconico e amaro dei film di J. Ivory. E il più politico. Ha la struttura
di una cipolla, cioè a strati, da levare, gustandoli, a uno a uno fino a scoprire il cuore che qui è un nocciolo duro:
una lucida requisitoria verso una classe, un mondo, un modo di vivere. In letteratura come al cinema c'è
differenza tra formalismo e scrivere bene. Ivory scrive bene. E non esiste un modo di scrivere “troppo bene”.
* STAND BY ME
di REINER BOB, USA 1986, 96'
Estate del 1959, nell'Oregon. Quattro ragazzini partono per un'escursione di cinquanta chilometri lungo la
ferrovia, affrontando varie avventure e scoprendo il cadavere di un ragazzo scomparso giorni prima. Da un
racconto (The Body, 1982) di Stephen King, uno dei film più belli sull'adolescenza degli anni '80, nel miracoloso
equilibrio della memoria tra sentimento e avventura. Sarebbe piaciuto a Truffaut. Bravissimi i quattro ragazzini.
Fotografia stupenda.
* UNA STORIA VERA
di LYNCH DAVID, USA 1999, 105'
Per visitare il fratello infartuato Lyle con cui non parla da dieci anni per una lite, nell'autunno 1994 il 73enne Alvin
Straight – che cammina con due bastoni e non ha patente – parte su un piccolo trattore con rimorchio da
Laurens (Iowa) per Mount Zion (Wisconsin), distante 317 miglia (circa 500 km) e li percorre in sei settimane. È
un road-movie che ha tutto per essere fuori moda: lentezza (10-15 km all'ora), malinconia della vecchiaia,
scrittura di classica semplicità, personaggi positivi, ritmo disteso senza eventi drammatici. Pur ribaltando la
propria prospettiva, Lynch non altera il suo inconfondibile stile: lascia allo spettatore il tempo di pensare,
commuoversi, immergersi nei colori del paesaggio, guardare un temporale e il cielo stellato.
* IL TEMPO RITROVATO
di RUIZ RAOUL, FRA 1999, 158'
Parigi, 1922. Nel letto di casa, Marcel Proust, ormai malato in modo irreversibile, prende un gruppo di fotografie,
comincia a guardarle e ricorda i momenti a cui ciascuna di esse è legata. Ma ben presto le persone della vita di
tutti i giorni si mescolano con i personaggi della finzione. E la finzione a poco a poco prende il sopravvento sulla
realtà. La vita di Marcel vive solo nella realtà dei protagonisti della sua opera letteraria, che lui incontra e con lui
si aprono, rivelano se stessi, cercano di chiarire il proprio ruolo. Sfilano Gilberte con il marito Robert; la splendida
Odette; Morel, disertore e ricercato; Charlus schivo nella sua omosessualità; le cene a casa dei Verdurin;
Albertine, la fedele domestica. Intanto arriva la guerra. Alcuni, come Robert, partono con sincero entusiasmo ma
non faranno ritorno. Inoltre, alternandosi con gli altri, appare anche Marcel da piccolo, tutto preso dalle seduzioni
dell'infanzia. Quando la follia bellica finisce, tutto prova a tornare come prima. Ad una nuova, grande festa i
presenti si avvicinano a turno a Marcel. Lui esce sulla terrazza dell'albergo, e scende sulla spiaggia. Un bambino
lo precede nell'acqua, mentre una signora legge una pagina de "Il trionfo della morte" di Gabriele D'Annunzio.
* VOCI NEL TEMPO
di PIAVOLI FRANCO, ITA 1996, 87'
Ideale continuazione di Il pianeta azzurro (1982) che ha per tema l'uomo invece della natura, un altro saggio di
cinema polifonico senza un intreccio né una battuta di dialogo, quasi senza musica se si toglie quella interna
all'azione. Lo scorrere delle stagioni nella cittadina mantovana di Castellaro, dalla primavera all'inverno, va in
parallelo con il filo biologico della vita umana, dall'infanzia alla vecchiaia. Senza personaggi, girato con gli abitanti
di Castellaro, è intessuto di microstorie e ricco di emozioni, spesso risolte in un primo piano, in un gesto, in un
piano di ascolto. I suoi temi sono il fluire delle cose e il corso del tempo, entrambi senza fine. Quando arriva
l'inverno, nuovi bambini sono pronti a giocare su un laghetto gelato: accanto a loro i vecchi osservano e li
tengono per mano. Un film fuori dal mucchio. Si rivolge a spettatori che abbiano la pazienza del cuore,
l'attenzione dell'orecchio, l'acutezza dell'occhio.
* WITNESS - IL TESTIMONE
di WEIR PETER, 1985,
Ferito e braccato da colleghi corrotti, un poliziotto si rifugia in un villaggio degli Amish, comunità cristiana di
origine tedesca che vive di agricoltura rifiutando il progresso tecnologico. I corrotti vogliono eliminare lui e un
bambino, testimone di un omicidio. Buon film d'azione, un thriller diverso che supera i limiti del genere grazie
all'ambientazione e alla vertigine del tempo: è un viaggio nel passato, un confronto tra due modi di vivere.