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Le vittime del Grande Terrore di Stalin in una ricerca ed un sito realizzati dalla Fondazione Feltrinelli e dal Centro studi Memorial di Mosca
Mille italiani nell’Arcipelago Gulag
Riemerge la storia di una deportazione dimenticata tra il 1919 e il 1951

 

 


Un Gulag in Siberia negli anni del Grande Terrore nell’Urss staliniana

  

Nella freddezza scientifica di schede, nomi e fotografie, la storia di una deportazione dimenticata. Una deportazione italiana: questo è il sito web Storia del Gulag (www.gulag-italia.it) realizzato dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli e dal Centro Studi Memorial di Mosca, il primo mai realizzato in lingua italiana. È composto da due parti: la prima è dedicata alla storia del gulag in generale e si compone a sua volta di quattro sezioni: Cronologia (schede sui principali avvenimenti storici legati alle repressioni in Urss dal 1917 fino alla caduta del Muro); Approfondimenti (come funzionavano i lager, dove erano, quando sono entrati in attività); Carnefici, con l’elenco dei principali responsabili ed esecutori delle repressioni; Vittime, sezione in cui si trovano alcune biografie esemplari di detenuti. La seconda parte del sito è dedicata più specificamente agli italiani nel gulag. Vi è un’introduzione sulla storia dell’emigrazione italiana in Urss, una bibliografia scelta, un elenco degli archivi consultati, ma, soprattutto, una vera e propria banca dati sulle v ittime Italiane: 960 schede bibliografiche accompagnate da fotografie. 960 storie, coi percorsi professionali e politici, le circostanze dell’arresto, il destino dopo la condanna. Scientificamente, è la storia di una deportazione dimenticata.

Il Terrore Rosso non è un’etichetta data per comodità ad un periodo della Storia dell’Urss. Fu, banalmente, una legge dello Stato, datata 2 settembre 1918, tre giorni dopo l’attentato a Lenin. Da quel giorno in quel Terrore, durato decenni e drammaticamente simbolizzato dalla parola "gulag", ci finirono per legge centinaia di migliaia di persone. E ci morirono. Ora si sa con assoluta certezza che in quell’arcipelago Gulag, di cui Alexander Solzhenitsyn fu poi il primo a raccontare gli orrori in «Arcipelago Gulag» , si parlava anche italiano. Di tutti di quei deportati, di tutti quegli arrestati (molti dei quali erano fuggiti dall’Italia fascista perché convinti di trovare nella lontana Russia la città del sole) parecchi furono italiani. Novecentosessanta, per la precisione, ma si pensa che tracce di almeno altre 200 persone giacciano ancora sepolte negli archivi dell’ex Urss. I nomi, le biografie, addirittura le fotografie di questi italiani (portano cognomi come Leonetti, Cerquetti, Maestrelli, Bruzzone, Lotti, Ferroni) sono da oggi raccolte in un sito internet ("www.gulag-italia.it" ) di straordinaria levatura sia per la serietà della documentazione scientifica su cui si basa, sia per l’immenso lavoro portato (quasi) a termine per la Fondazione Feltrinelli da tre ricercatrici: Francesca Gori, Emanuela Guercetti, Elena Dundovich. Nella sede della Fondazione a Milano, davanti a decine di parenti di quegli italiani di cui il sito riporta la tragica storia, le tre studiose hanno presentato il loro lavoro. Ed è stato silenzio. E applausi, commossi, da parte dei presenti. Applausi per una fatica che anche se non è finita, anche se ha risvegliato dolori lontani, per quanto tragica è stata accolta con gratitudine, richiesta con sempre maggiore insistenza. Furono un migliaio gli italiani che tra il 1919 e il 1951 subirono una qualche forma di repressione (ma gli anni più bui furono quelli del Grande Terrore, 1937-1938). Per il solo fatto di essere italiani. «Erano in gran parte marittimi - hanno spiegato le studiose - oppure dirigenti, impiegati, operai che lavoravano in fabbriche che la Fiat aveva voluto in Unione Sovietica. Oppure, paradossi della Storia, fuoriusciti dall’Italia di Mussolini per motivi politici». Tutti vennero arrestati in quanto italiani. L’accusa? «Stalin li riteneva spie». Fu più che sufficiente per fucilarli dopo processi sommari, o per deportarli nei gulag siberiani. Luigi Caligaris, per esempio - ha riferito Emanuela Guercetti, ripercorrendo sul sito la storia di questo italiano lontano - era un vecchio militante del Pci. I dirigenti di Mosca decisero di espellerlo in quanto simpatizzante di Bordiga. Venne processato in quanto colpevole di appartenere «ad un’organizzazione controrivoluzionaria trozkista», tre anni di confino, quindi altri 5 anni da scontare nel gulag di Sevvostok. Ma non li scontò: venne fucilato poco dopo essere arrivato nel campo di lavoro in cui era stato deportato. «Ciò che più ci ha colpito, e che reputiamo maggiormente grave - ha affermato Francesca Gori, della Fondazione Feltrinelli - è che per quanto riguarda il caso italiano la repressione passò attraverso la collaborazione dei dirigenti del Pci. Di fatto erano questi dirigenti che, fornendo le relative "schede" biografiche al Komintern, condannavano alla deportazione o alla fucilazione quei loro connazionali». La persecuzione italiana vide coinvolti anche dei non politici: come il personale italiano che lavorava alla fabbrica di cuscinetti a sfera Riv di Mosca, costruita nel 1931 e interamente sotto il controllo della famiglia Agnelli. Costoro (gli operai Antonio Ongaro, Ludovico Garaccioni, Dante Corneli e una decina di altri) furono ingoiati dal Grande Terrore, quello che Stalin pianificò a partire dal 1937. Uccisi perché considerati per legge «elementi antisovietici». Fino al 17 novembre 1938, quando il Grande Terrore mise fine a se stesso. Si legge nella risoluzione del Poljtburo emanata quel giorno: «Da oggi sono vietate le operazioni di arresto e di confino di massa». Luciano Clerico