Home page

Formazione Biblioteca e Cineteca Politiche e Leggi  Tracce e Sentieri

torna a Anni abbastanza crudeli

Romeo e Giulietta tornano a morire

Due fidanzati uccisi in Pakistan per aver violato le tradizioni

Pierangelo Spegno, inviato a PESHAWAR. In La Stampa 11 gennaio 2002

Ci sono posti al mondo dove innamo­rarsi vuoi dire morire. In Pakistan e Afganistan, storie come questa di Peshawar ne succedono tante: due ragazzini uccisi dai familiari solo perché si amavano, e non dovevano. I giornali quasi non ne parlano. Solo «The News», di Islamabad, ha riportato una breve cronaca, come facciamo noi con certi delitti che non fanno più scalpore. Neanche un nome e cognome. Nean­che un commento. Nemmeno una di­chiarazione. A Kabul, avevamo già conosciuto una storia simile: quella di Friba e del suo ragazzo, che per sfuggi­re alla pena di morte decisa dalle famiglie avevano preferito farsi rin­chiudere nelle terribili galere dell'Afganistan, con i ferri attaccati ai muri

delle celle. Sono ancora dentro. Vivono prigionieri, ormai condannati a vita.

In Pakistan, nei dintorni di Hangu, nell'area tribale di Orakzai, dove vivo­no popolazioni di antiche comunità pasthun ai confini con l'Afganistan, i due ragazzi non hanno avuto scampo. Erano scappati. I genitori li hanno richiamati con l'inganno: «Vi lasciamo sposare, tornate a casa». E quando hanno obbedito, sono stati tranquilla­mente trucidati. Poi sepolti. E qualcu­no piangeva. La condanna è una religio­ne. Non è una giustizia. Si piange solo per il sacrificio regalato al dio delle tradizioni. Per i responsabili nessuna conseguenza, nessuna indagine, nes­sun processo, nessuna colpa. Hanno semplicemente obbedito alle leggi. Le aree tribali sono libere di applicare il loro atavico codice d'onore in tutte le ouestioni interne, anche nel caso in cui

le tradizioni locali fossero in flagrante contrasto con le leggi nazionali. Ma questi sono soltanto veli d'ipocrisìa. Fuori da questi confini, non è che le cose siano tante diverse. In Pakistan e in Afganistan, centinaia di mogli vengo­no uccise e bruciate perché condanna­te dai mariti: nessuno le cercherà più. E allora perché scandalizzarsi per la storia dei due ragazzini di Hangu, provincia di Orakzai. Lei aveva 15 anni. Lui, 18. La loro colpa: si erano innamorati, senza permesso. Apparte­nevano a due famiglie che vivevano vicino e si frequentavano da tempo. Lo scandalo esplose quando lei si trasferì in casa da lui. Voleva solo stargli accanto. Ma aveva violato le regole non scrìtte della comunità. Una decisio­ne intollerabile, che le famiglie erano riuscite a sanare di comune accordo:

avevano semplicemente convinto lei a

rinunciare e a tornare indietro. Lui l'avevano spedito a lavorare in Medio Oriente.

Solo che, come raccontano gli scrit­tori, all'amore non si comanda. I due ragazzi non riuscivano a vivere lonta­no. Fu lei a cedere per prima. Lo cercò, e lo trovò una sera al telefono. Lui tomo apposta per rapirla e portarla con sé. Ma da quelle parti il rapimento d'amore non cancella le colpe. La situazione precipitò. Le famiglie trova­rono i due fidanzati. Li minacciarono:

«Quando verremo a prendervi non potrete scamparla». Loro scapparono di nuovo. Allora la famiglia di lei ricorse a un tranello: «Lasceremo che vi sposiate secondo la vostra volontà». Lei ci credette. Può un padre, può una madre ucciderti per amore? Ma il giorno che tomo a casa, il fratello la ammazzò davanti a tutti i parenti riuniti per assistere alla condanna. Due giorni fa il padre l'ha fatta seppelli­re ordinando di scavare due tombe. Lasciarono un messaggio ali' altra fami­glia: «la seconda tomba è per il vostro ragazzo. Se non farete cosi, sarà la guerra fra di noi». Dodici ore dopo il cadavere del ragazzo fu buttato nella tomba libera.

L'amore era stato punito.