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Drammi e retroscena in casa del Migliore

In un libro di Nunzia Manicardi la terribile storia del figlio di Togliatti, Aldo, nato nel 1925, e dal 1981 "sepolto" in una casa di cura privata per malattie mentali a Modena.

 

di Fernando Mezzetti

 

I figli di Togliatti si intitola questo libro di Nunzia Manicardi, modenese, che suscita un immediato interrogativo: ma ce ne sono, in giro, di figli del Migliore?  Al congresso Ds di Torino, Veltroni proclamò di essersi iscritto giovanissimo al Pci "perché ero antisovietico"; più o meno lo stesso ha dichiarato in un'intervista, alla vigilia del congresso di Pescara, Piero Fassino. D'Alema, riconosciuto come miglior erede della scuola togliattiana, non ha mai detto controsensi di questo genere, e infatti si sa che da leader del partito si teneva una foto di Togliatti nel suo ufficio.

Ma i figli di Togliatti, in questo libro, non sono quelli in senso politico o metaforico. C'è invece, in carne e ossa, il figlio di Togliatti, Aldo, nato nel 1925, da tempo "sepolto" in una casa di cura privata per malattie mentali a Modena, Villa Igea. Vi è stato ricoverato nel 1981, nel pieno trionfo di psichiatria democratica, quando i manicomi venivano svuotati, la malattia mentale abolita per legge. E lui, sventurato figlio dello storico leader del Pci, vi veniva invece fatto entrare, con circospette attenzioni del partito comunista di Modena.

Storia non nuova, rivelata nel 1993 dalla Nuova Gazzetta di Modena, rilanciata a approfondita dal settimanale Epoca nel gennaio 1994, sul quale Andrea Marcenaro arriva a scrivere, rivolto ai dirigenti del PDS di Modena, di avere "contribuito all'internamento e alla cancellazione pratica del corpo e della persona di Aldo Togliatti". Vicenda poi giunta alla conclusione inevitabile. Qualche tempo dopo la "scoperta" del malato dal nome troppo ingombrante rinchiuso in casa di cura per malattie mentali, nel 1995 Aldo Togliatti ha perso tutti i diritti civili e politici: nell'ottobre 1995 la magistratura modenese ha infatti pronunciato nei suoi confronti una sentenza di interdizione. Ma come persona era già stato "cancellato" dalla stessa direzione di Villa Igea, per motivi che non è difficile intuire: nell'elenco dei ricoverati, mentre gli altri figuravano con nome e cognome, lui era soltanto "Aldo".

Quest'uomo finito nel nulla, oggi di 76 anni, è il risvolto crudele del privato di Palmiro Togliatti, di una vita per il comunismo: che ha bruciato, anche, la vita non vissuta di un giovane cresciuto da solo nell'infelicità e nel chiuso dei suoi dolori, per finire chiuso da adulto in una clinica per malattie mentali, estraniato e rassegnato nella sua solitudine, scheletro nell'armadio privato del "Migliore" e dell'apparato modenese del partito, suo custode e guardiano.

Massimo Caprara, che di Togliatti fu segretario per vent'anni fino alla sua morte nel '64, è uno dei pochi ad aver conosciuto bene Aldo prima che venisse rinchiuso in clinica. Uscito dal Pci nel '68, Caprara, negli anni più recenti ha scritto vari libri (i più recenti L'inchiostro verde di Togliatti, Paesaggi con figure, Gramsci e i suoi carcerieri), sulla sua esperienza, come per cercare di capire egli stesso per primo l'automutilazione intellettuale e lo spirito totalizzante dell'essere comunista: una ricerca del tempo perduto senza duchesse, salotti e carinerie sullo sfondo parigino, ma densa delle asprezze e ambiguità della politica, della spietatezza ideologica, di personalità dal "tutto politico", di menti prigioniere sullo sfondo dell'universo comunista.

Parlando di Aldo Togliatti, quasi suo coetaneo e che il padre ogni tanto affidava alle sue attenzioni, Caprara lo ricorda come un giovane timido e appartato, ma non malato, tanto che rientrato in Italia dopo essere cresciuto in Unione Sovietica, si era iscritto a Ingegneria all'Università di Roma. "C'era un muro di silenzio tra lui e suo padre - dice Caprara - e c'era in lui un'inquietudine repressa. Era desideroso di affetto, e incapace di procurarselo. A Mosca aveva passato lunghi anni nelle scuole per figli di dirigenti, da solo, mentre la madre Maria Montagnana e il padre erano impegnati nell'attività politica. Un giorno, mentre eravamo insieme a Praga, mi disse sconsolato: 'Non sono mai stato bambino'.  Ho l'impressione che non fosse comunista. Non ha mai mostrato di esserlo". E nei suoi problemi psicologici fu circondato da quelle che Caprara definisce "barriere imponenti": partito totalizzante, autocrazia dei genitori, "incapacità di noi stessi comunisti a gettare una cima liberatoria".

 La vicenda di quest'uomo, e il muro di silenzio che lo ha circondato, è ripercorsa dalla Manicardi con accortezza e con pietas, ricostruendo il ruolo dell'apparato comunista modenese: gli altri "figli di Togliatti", appunto. Come alcuni, irrimediabilmente e pateticamente orfani, che lei intervista per rievocare gli anni del dopoguerra, le lotte operaie a Modena e gli scontri con la polizia, con feriti e morti: di uno dei quali Togliatti e la Iotti adottarono una figlia, Maria Malagoli, mentre Aldo entrava nel buio ritirandosi a Torino con sua madre, la Montagnana, della cui famiglia viene dato un efficace ritratto.

Per la prima volta, si parla di questa famiglia di ebrei piemontesi di modeste condizioni, convinto antifascismo e comunismo militante, che avrebbe meritato ben di più dal partito, se non fosse stata quella della moglie abbandonata e cancellata dalla storia del partito stesso. Mentre un giovane incolpevole, che non mostrava di essere comunista e forse non lo era, veniva accantonato per finire poi privato di identità. Un'esistenza, a dirla con Caprara,  che è quasi una metafora dell'identità comunista.


Nunzia Manicardi: "I figli di Togliatti" - Koiné, Nuove Edizioni- pagg. 224- € 13,40