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FARE POLITICA A COLPI DI INSULTI
CURZIO MALTESE

 

da Repubblica - 24 dicembre 2002


«NON rispondere a questi coglioni», è il consiglio che il vicepremier Gianfranco Fini ha dato a microfoni aperti al ministro Tremonti, che s´affannava a difendere una finanziaria vergognosa. I «coglioni» sarebbero i deputati dell´opposizione, colpevoli di far il loro mestiere, e in senso lato la metà degli italiani che li ha votati. È facile immaginare quale scandalo sarebbe esploso se a pronunciare la pazzesca offesa fosse stato un vicepremier di centrosinistra nei cinque anni dell´Ulivo o anche un democristiano o un socialista nei quaranta della Prima Repubblica. Senz´altro si sarebbe scusato e dimesso, a furor di popolo e di mass media. Come sarebbe del resto ovvio in qualsiasi democrazia della terra. Fini s´è scusato poco e male e naturalmente non ha nemmeno pensato a dimettersi. I tg di regime, in testa il Tg1 dell´ex portaborse di Martelli ora in quota "azzurra", hanno già minimizzato la "gaffe" e la vibrata reazione in aula a «qualche brusio».

Politica a colpi d'insulti

I gruppi parlamentari della maggioranza risolvono la questione con un comunicato ufficiale che sembra scritto dagli autori del Bagaglino («Ha detto Panattoni e Fioroni, non... »). Qualche servo cialtrone non mancherà di fare l´elogio "malandrino" della schiettezza linguistica del vicepremier, virile prova di un riformismo che dice pane al pane da opporre all´ipocrita galateo istituzionale. Quasi si trattasse di etichetta e non delle regole di rispetto sulle quali è fondata la vita democratica. Altri professorini obietteranno che ieri sera anche Roberto Benigni ha fatto un gioco di parole su quelli con gli "ini" (fra i quali Fini) e quelli "co´ gli oni" (Formigoni, Maroni, Berlusconi... ). Però dovrebbe esserci ancora qualche differenza fra un comico e il vice presidente del Consiglio, o no? Certo non si può pretendere troppo da una cultura di governo, si fa per dire, che si è già segnalata nel definire «un rompicoglioni» una vittima del terrorismo. Ma Scajola, purtroppo per lui, era un precursore. Oggi, dopo una dose supplementare di berlusconismo, il Paese è maturo per quest´altra bella riforma.
Se ne va così, giorno dopo giorno, un pezzo di normalità, di tolleranza civile. Cose che non si mangiano, d´accordo. Ma, fra l´altro, in cambio di che cosa? I miracoli economici non si sono visti. L´Italia è in crisi, peggio: in declino. Avrebbe bisogno di unità, serietà e lucidità per reagire. Al contrario non è mai parsa così divisa, annebbiata da un grumo di rancori nel quale il populismo ha buon gioco. Bisogna essere storditi dall´odio per non rendersi conto che non usciremo dalla crisi lanciando ogni giorno una trovata da bar sport. L´esportazione crolla? Niente paura: si trasformino le ambasciate italiane in uffici commerciali (e perché non ipermercati?). La Fiat è in crisi? Semplice, s´applica il cavallino Ferrari sulla Stilo ed è fatta. Il crimine si globalizza e mette in crisi l´ordine pubblico nelle città? Ecco lo sceriffo di quartiere che vigila sul vecchio caro bordello gestito da Sora Nina, mentre alle sue spalle bande d´albanesi comunicano via Internet e telefono satellitare con la mafia cecena.
Un modo di pensare volgare produce un linguaggio corrivo e viceversa, in un circolo vizioso che soltanto un odio cieco può mantenere al potere. Guai a discutere i temi concreti. Chi la pensa in maniera diversa merita soltanto il disprezzo riservato ai fessi, ai perdenti, ai coglioni: tutti sinonimi di "minoranza". La teoria per cui la democrazia non è tanto il potere della maggioranza ma il rispetto delle minoranze è roba da "consociativismo". La lobby che comanda invece di governare considera ogni controllo, sia la Costituzione o l´Europa, la magistratura o l´opposizione, come un intollerabile intralcio al libero dispiegarsi degli affari (loro), che poi consistono in un sistematico legalizzare l´illegalità, si tratti di rogatorie, falsi in bilancio, Cirami, condoni e così via. La minoranze più "cogliona" d´Italia, gli onesti, si rassegni.
La cortina d´odio serve a nascondere una banale verità. La destra populista sta fallendo perché è la meno adatta a governare i temi complessi dell´economia globale. Per questo è già fallita ovunque in Europa, nell´Austria di Haider come nell´Olanda di Fortuyn. Con la differenza che Berlusconi, grazie al potere immenso, durerà più a lungo e farà molti più danni. Però ci ha salvato dal comunismo. Non nel ´48, nel Duemila. Che impresa eroica.
Il ministro Tremonti invece ci sta salvando dal consumismo. Avanti così e ci rimarrà ben poco da spendere. Ormai quando annuncia una crescita del 3 per cento per i prossimi 5 anni, anche il fiducioso popolo della Padania corre agli amuleti. Nelle interviste dice d´aver riscoperto la religione, beato lui. Molti italiani purtroppo no e laicamente cominciano a farsi due conti in tasca.
Ora, come osserva Schopenauer, quando non si hanno argomenti validi per difendersi resta soltanto l´arte dell´insulto. Fini ha afferrato il concetto ma non le sfumature. In questo clima di guerra civile simulata anche il vice premier, con tutti i suoi sforzi passati per cucirsi il doppiopetto sulla camicia nera, s´è abbandonato al linguaggio violento degli ultras, s´è "schifanizzato".
Quando il bar sport non basta più, si passa alla curva, al "devi morire" all´avversario e alle minacce all´arbitro. Poi, in genere, si retrocede lo stesso.


PENSIERI E PAROLACCE
Quando il politico dimentica il freno
Gian Antonio Stella

dal Corriere - 24 dicembre 2002

Romano Prodi che aveva bofonchiato qualcosa tipo «ma vaffan..» fu rosolato sulla graticola da un Emilio Fede che mandò e rimandò la moviola della scenetta al Tg4 per consentire ai telespettatori di leggere bene le labbra dell'allora capo del governo, per passar poi la palla a Enrico La Loggia che fece un'interrogazione al presidente del Consiglio: «Risponde a verità che Ella mi abbia mandato affan...?». Né andò meglio a Lamberto Dini, «beccato» lui pure alla Camera mentre sibilava «e bbasta! Caz...!».
Dini fu sottoposto da Striscia la notizia a un tormentone al rallentatore: l'ha detto o non l'ha detto? Con la maschia schiettezza degli arditi d'un tempo, Gianfranco Fini non ha dunque voluto lasciar margini di dubbio. E ha tuonato stentoreo nel microfono, rivolgendosi a un Giulio Tremonti asfissiato dalle sinistre: «Non rispondere a questi coglio...».
E’ solo un equivoco fonetico, «determinato dall'assonanza con i cognomi di alcuni deputati», sono saltati subito su i deputati leghisti Ugo Parolo, Guido Rossi e Dario Galli: «Abbiamo udito più o meno distintamente, visto che l'acustica dell’Aula non è delle migliori, nominare dal banco dal governo i colleghi Panattoni e Fioroni. Va da sé che se per assonanza fonetica alcuni giornalisti hanno ritenuto di associare ai sovracitati colleghi altri vocaboli, tale fatto non può ovviamente essere attribuito a responsabilità di singoli membri del governo». Una spiegazione in linea con un antico striscione steso al Palatrussardi al congresso leghista del '95 in cui Bobo Maroni era, diciamo così, un po’ in disgrazia: «La Lega ce l'ha duro e i maroni ce li ha sotto».
Macché: neanche il tempo che Pierluigi Castagnetti chiedesse con fremente solennità che il vicepresidente del Consiglio smentisse o si scusasse, e il leader di An decideva di rinunciare sia alla testimonianza generosamente bugiardona degli amici del Carroccio sia alla via d'uscita della «smentita-non-smentita» usata da secoli dai politici nostrani ed esaltata fino all'apoteosi da una vecchia precisazione in spagnolo dell'allora braccio destro di Craxi, Gennaro Acquaviva. Il quale, non potendo negare un’intervista registrata in cui aveva detto al Pais che Bettino voleva far fuori i comunisti, se la cavò dettando due righe di sublime ambiguità: « Me veo forzado a desmentir porque, de lo contrario, me linchan ». No, no: troppo rischioso, ha pensato Fini, forzar la mano su una gaffe ripresa dalle tivù in una giornata già incandescente per la Finanziaria. Meglio un piccolo gesto di pace. Annunciato da Pier Ferdinando Casini: il vicecapo del governo si scusava e sarebbe venuto a ripetere le scuse in Aula. Non capita a tutti di lasciarsi scappare una parola di troppo? Di «incidenti» simili, del resto, a parte i casi ricordati di Dini e di Prodi, la storia recente della politica italiana è stracolma. Basta supporre che i microfoni siano spenti e oplà, la frittata è fatta.
Successe al futuro ministro degli esteri Franco Frattini che, senza immaginare di essere intercettato da Striscia la notizia , sbuffò col candidato del Polo alle comunali di Roma del 1997 Pierluigi Borghini: «Hai sentito ieri quelli del Ccd? Ma quelli sono dei cialtroni. Quelli sono pronti a tradire da domani». All’ex ministro della Giustizia Alfredo Biondi che si lasciò scappare un catastrofico: «Non è poi che Silvio sia una cima: ripete sempre le stesse cose!». Allo stesso Berlusconi che, preso d'assalto dai giornalisti televisivi, reagì a un microfono un po' troppo invadente urlando: «Cribbio! Cribbio! Me lo ha sbattuto sui denti!». A Piero Fassino, che un giorno disse durante una direzione del partito, senza sapere che il microfono era collegato con la sala stampa, che il leader albanese Sali Berisha «se ne doveva andare» e fece scoppiare intorno al governo Prodi una tempesta di polemiche interne e internazionali. Insomma: può capitare a tutti.
Né l'uso delle parolacce è poi così anomalo nelle altre arene politiche. Per citare solo la Germania o l'Austria, dove pure gli scambi dialettici ci appaiono noiosissimi, il futuro leader dei Verdi tedeschi e ministro degli Esteri Joschka Fischer, salutato dal grande scrittore Heinrich Böll come «il migliore parlatore della Repubblica», si rivolse un giorno al presidente del Bundestag così: «Con rispetto parlando, signor presidente, lei è un buco di cu...». E l'attuale Cancelliere austriaco, allora ministro degli Esteri, Wolfgang Schüssel, liquidò il presidente della Bundesbank Hans Tietmeyer così: «Quel Tietmeyer è una vera tro...».
Nel confronto con la finezza dei politici italiani, però, non c'è partita. I nostri archivi abbondano di citazioni su citazioni. «Francamente mi sono rotto qualcosa che fa rima con Veltroni», sbuffa un bel dì Francesco Storace. «La civiltà gay ha trasformato la Padania in un ricettacolo di culat...», spiega con la consueta bonomia il vicepresidente del Senato Roberto «Pota» Calderoli. «Qua pare che son tutti gay... se non sei culo non sei politicamente corretto», discetta al congresso di An l'onorevole Roberto Menia. «Sono stanco di farmi sodomizzare da un governo amico», eccepisce contro Palazzo Chigi l’ulivista Massimo Cacciari. «L'ex onorevole Paolo Cirino Pomicino nell'Udr non può far correnti. Al massimo correnti d'aria», ride Francesco Cossiga. «C'e' puzza di mer... in questo posto», sentenzia il leghista Enrico Cavaliere a Montecitorio. «Ripa di Meana dice solo cazz...», precisa Massimo D'Alema sul suo alleato Verde. «E' una vita che la Bindi dice cazz... che vengono prese per cose serie, io una vita che dico cose serie che son prese per cazz...", si lagna Ciriaco De Mita. «D'Alema tiene Berlusconi per i cogl... e cerca di tenere anche me per le palle», spiega Umberto Bossi a una intervistatrice. «Ma c'è una piccola differenza, cara figliola: le mie non gli stanno in mano». «Il mio sogno», spiega Giorgio Rebuffa dopo avere rotto col Polo, «è vedere finalmente sul Corriere un titolo che dica la verità: Il Paese è in mano a delle teste di caz... ».
E meno male che questo linguaggio goliardico diventa di rado oggetto di dibattito parlamentare. L'unica volta in cui fu dedicata una seduta alla parola usata ieri da Fini, nell'ottobre 1997, la cosa andò per le lunghe. Tema: urlare a una pattuglia di agenti «mi avete rotto i cogli..!» come aveva fatto Vittorio Sgarbi, rientra nell'insindacabile esercizio delle funzioni parlamentari? Discussione interminabile, seduta notturna, 56 interventi in Aula, battute da caserma come quella del leghista Cesare Rizzi: «Sono ore che si parla dei cogl... di Sgarbi, sinceramente ne ho pieni i cogl...». Unica chicca, il delizioso intervento di Filippo Mancuso, che invitò lo sboccato collega, in futuro, a chiamare i cosiddetti come Giacomo Leopardi. Che in odio all'autore del celebre dizionario, li aveva ribattezzati i «tommasei».
Prenda nota, onorevole Fini. Almeno per le giornate difficili come quella di ieri.
Gian Antonio Stella