Claudio Risé, da “Il Mattino di Napoli” del lunedì, 10 aprile 2006

Che tipo di passione è mai l’odio? Viene naturale porsi questa domanda, alla vigilia della settimana di Passione di Cristo. Alla quale arriviamo, quest’anno, dopo una campagna elettorale quasi feroce, durante la quale si è fatto gran uso di odio, e di disprezzo. Siamo reduci da una “full immersion” nella violenza contingente, del tempo, e stiamo entrando in quella rappresentazione di violenza archetipica, senza tempo, illustrata nei giorni della Passione, e della finale Resurrezione. Una buona occasione, dunque, per cercare di capire meglio l’odio, che in entrambe ha una parte da protagonista.
Si tratta di un sentimento da sempre potente nell’uomo. Tanto da provocare, nella narrazione evangelica, l’incarnazione del Figlio di Dio, che viene appunto per sconfiggere l’odio con l’amore. Quando l’odio si manifesta, dunque, non siamo di fronte ad un incidente di percorso, o solo a cattiva educazione. L’uomo odia, intensamente, a partire già da Caino (figlio di Adamo, il primo uomo), che uccide il fratello. Una storia seria dunque, quella dell’odio, tanto da provocare, appunto, la venuta di Dio tra gli uomini, per modificare la situazione.
Questo sentimento fosco, che tende alla distruzione dell’altro, non viene dall’esterno, dalle contingenze, ma ha le sue radici (spiega con precisione Paolo di Tarso) “nel cuore dell’uomo”. Come dire proprio nel centro dei suoi sentimenti. E’ dunque una passione profondamente umana, e molto potente, da sempre. Ma cosa la suscita? Al di fuori delle spiegazioni metafisiche (come quelle che l’attribuiscono ai demoni), sulle quali la psicologia non ha competenza, l’osservazione della psiche può però notare alcune correlazioni. Di solito, ad esempio, l’odio non viene da solo, ma appare come il potenziamento di altri sentimenti negativi, di altre emozioni aggressive. Una di queste è, appunto, l’invidia.
Fin dall’episodio biblico, caposaldo dell’odio, vediamo che Caino finisce con l’odiare Abele perché i suoi sacrifici (cruenti), sono preferiti da Dio a quelli (fatti con i frutti della terra), offerti dallo stesso Caino. Lo stesso capita con Gesù: egli dispone di poteri, come quelli di guarigione, che i grandi sacerdoti non hanno. Essi invidiano Gesù per la sua evidente intimità con una dimensione superiore cui loro non hanno accesso, e finiscono con l’odiarlo. In entrambi i casi, è una superiorità in parte misteriosa a scatenare una forte invidia, che sfocia poi nell’odio vero e proprio.
L’altro sentimento che apre la strada all’odio, è la paura. Paura, essenzialmente, di un cambiamento che ci superi, ci marginalizzi. L’abbiamo visto a Natale, con Erode che uccide i bambini nel timore che tra loro vi sia il “nuovo re” che accantoni il suo regno. In fondo, è la paura dello scorrere del tempo, che vada oltre a noi stessi, ci “faccia morire”. Per questo si cerca di uccidere il portatore del nuovo. Che nella simbologia del Natale è appena nato, qui invece è una giovane vita che, nella primavera dei suoi anni, ha già avuto modo di esprimersi, e viene uccisa proprio per arrestare il rinnovamento.
In quanto paura del cambiamento continuo, l’odio è la traduzione emotiva della pulsione più ciecamente conservatrice: il rifiuto di cambiare, di abbandonare il nostro vecchiume, anziché sognare di uccidere l’altro. Un rifiuto generatore di odio, ma alla fine comunque perdente. Perché il tempo nuovo, il Gesù che è venuto a portare l’amore, non può che risorgere. La vita deve continuare, e la terra, la realtà, non può che rinnovarsi. Come ci mostrano le nuove erbe della primavera, che crescono attorno a noi.