Www.segnalo.it

bullet1 torna a: La memoria lunga

Il Grillo (3/2/1998)

Tullia Zevi

Perché Auschwitz?

Documenti correlati


3 febbraio 1998

Zevi: Salve, mi chiamo Tullia Zevi, di professione giornalista. Sono nata a Milano. Nel 1939, con l'applicazione delle leggi razziali fasciste, mio padre, provvido, intuì i segnali di pericolo gravissimo che correva la minoranza ebraica in Italia e portò noi, i suoi quattro figli, in salvo in America, dove svolsi una parte dei miei studi. Però, nel 1946, dopo che erano cominciate a filtrare le notizie atroci di quello che era successo in Europa, durante la guerra, tutti gli orrori della guerra, sei milioni di ebrei, sterminati perché erano nati ebrei, allora è scattata una molla: ho deciso di tornare in Italia, perché sapevo che la piccola comunità da cui provenivo era stata praticamente annientata, distrutta, dissolta nelle sue strutture. E ho pensato che fosse quasi mio dovere, io sopravvissuta, tornare e dare una mano. Allora sono tornata, ho continuato la mia professione di giornalista, in quanto tale, ho seguito i processi di Norimberga nel mio primo impegno professionale in Europa, il processo a Eichmann, il processo a Priebke. Di queste cose io vorrei parlare con voi di ciò a cui ho dedicato la mia vita; sono poi entrata nel Consiglio delle Comunità Ebraiche, di cui sono la Presidente da sedici anni. Io di queste cose vorrei parlare con voi. 

Ma, per introdurre i temi di cui parleremo insieme, vediamo una scheda.

 

LEVI: Si è detto che Hitler riversava sugli ebrei il suo odio contro l'intero genere umano, che riconosceva negli ebrei alcuni suoi stessi difetti, e che, odiando gli ebrei, odiava se stesso, che la violenza della sua avversione proveniva dal timore di poter avere sangue ebreo nelle vene. Non mi sembra una spiegazione adeguata. Non mi sembra lecito spiegare un fenomeno storico, riversandone tutta la colpa su un individuo. Gli esecutori di ordini orrendi non sono innocenti. E inoltre è sempre arduo interpretare le motivazioni profonde di un individuo. Devo ammettere che preferisco l'umiltà con cui alcuni storici, fra i più seri, confessano di non comprendere l'antisemitismo furibondo di Hitler e della Germania dietro di lui. Forse quanto avvenuto non si può comprendere, anzi non si deve comprendere, perché comprendere è quasi giustificare. Mi spiego: comprendere un proponimento o un comportamento umano, significa, anche etimologicamente, contenerlo, contenerne l'autore, mettersi al suo posto, identificarsi con lui. Ora, nessun uomo normale potrà mai identificarsi con Hitler, Himmler, Goebbels, Eichmann, infiniti altri, questo ci sgomenta e, insieme, ci porta sollievo, perché forse è desiderabile che le loro parole ed anche, purtroppo, le loro opere, non ci riescano più comprensibili. Sono parole ed opere non umane, anzi contro umane, senza precedenti storici, a stento paragonabili alle vicende più crudeli della lotta biologica per l'esistenza. A questa lotta può essere ricondotta la guerra. Ma Auschwitz non ha nulla a che vedere con la guerra, non ne è un episodio, non ne è una forma estrema. La guerra è un terribile fatto di sempre. E' deprecabile, ma è in noi, ha una sua razionalità, la comprendiamo. Ma nell'odio razzista non c'è razionalità, è un odio che non è in noi, è fuori dell'uomo, è un frutto velenoso nato dal tronco funesto del fascismo, ma è fuori ed oltre il fascismo stesso. Non possiamo capirlo, ma possiamo e dobbiamo capire da dove nasce e stare in guardia. Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare. Le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate, anche le nostre.

 

STUDENTE: Quale crede che siano le radici più profonde della discriminazione degli ebrei nell'Europa cristiana e inoltre, in tale discriminazione, quale ruolo giocano il razzismo culturale e il razzismo biologico.

E' una storia di venti secoli: il problema della nascita del Cristianesimo.
Il Cristianesimo è nato in un contesto ebraico, è un' emanazione dell'Ebraismo, figlio dell'Ebraismo. Noi sappiamo che Cristo era ebreo, tutti i suoi apostoli, tranne uno o due, erano ebrei. E' una germinazione dell'Ebraismo. Il Cristianesimo inizia il suo cammino, diciamo, trionfale, si diffonde. E  cosa succede? Che, a un certo punto, diventa concorrenziale col padre, con l'Ebraismo,e  si deve distinguere. 
Nel clima della Palestina di allora  pullulavano molti  movimenti di ricerca dell'essenziale,  di esigenza di purezza, di onestà. Erano tempi  maturi per queste cose, erano delle idee che si diffondevano. Tutto il movimento degli Esseni, per esempio, aveva delle grosse analogie con quella che era la predicazione di Gesù, tanto che si diceva che Gesù stesso avrebbe potuto essere un Esseno . Ora il Cristianesimo, soprattutto quando diventa nel IV secolo, con Costantino, la religione dell'Impero, che tende ad egemonizzare il messaggio cristiano, allora diventa conflittuale il rapporto con l'Ebraismo. Come nelle famiglie c'è questo conflitto fra i figli e il padre, anche nella nascita del Cristianesimo c'è questo rapporto conflittuale fra Cristianesimo ed Ebraismo. Bisogna mantenere in vita l'Ebraismo perché è segno dell'autenticità del messaggio. Ma, nella misura in cui l'Ebraismo  non riconosce una natura divina a Gesù, ma vede invece un uomo giusto che predicava dei valori che erano presenti nell'Ebraismo: "Ama il prossimo tuo come te stesso"', non è nato col Cristianesimo, ricorre continuamente nella Bibbia, nella Toràh,  il concetto di amare il prossimo come se stessi. Nasce quindi una differenziazione che tende a svilire l'essenza dell'Ebraismo: Ebraismo, ebrei, colpevoli, popolo deicida, perennemente colpevole. Sono gli uccisori di Gesù. Fato quest'ultimo che storicamente è stato dimostrato non essere vero, perché fu un processo romano. La crocifissione era una condanna romana. I Romani vedevano la predicazione di Gesù, e questi movimenti, diciamo misterici e di protesta etica, come un problema e andavano quindi perseguitati. 
Lungo questi duemila anni di predicazione cristiana si va consolidando la predicazione del disprezzo del popolo deicida che andava emarginato ne i ghetti e odiato. Ora la Chiesa stessa, soprattutto dopo la Shoah, con Giovanni XXIII, si è resa conto che il razzismo biologico e  il razzismo nazionalista possono aver avuto - la Chiesa stessa l'ha riconosciuto - dei precedenti e una giustificazione nella predicazione  cristiana. La Chiesa stessa ha riconosciuto questo. Nel Concilio VAticano II, nel documento Nostra aetate, in cui si nega la colpevolezza degli ebrei come deicidi, si dice: "Solo alcuni ebrei del tempo hanno partecipato al processo a Gesù". Quindi  il problema è proprio questo, di ristabilire la realtà storica, un lavoro che noi stiamo facendo insieme alla Chiesa Cattolica, insieme alla cristianità. E' molto importante, perché è difficile non vedere un nesso, fra duemila anni di predicazione all'odio e le estreme conseguenze a cui si è arrivati. 

STUDENTE: Secondo Lei, c'è stata da parte della Comunità ebraica tedesca una incapacità di valutare il pericolo antisemita  che esisteva già in Germania all'inizio degli anni Venti? 

Gli ebrei tedeschi erano molto assimilati nella cultura tedesca, quindi alcuni non si sono resi conto del pericolo incombente. Chi ha potuto si è messo in salvo, ma  quando il fascismo e il nazismo è dilagato in Europa, ad un certo punto era troppo tardi per accorgersene. Quindi ci sono stati dei segni, sono stati captati dei segnali di pericolo, sono stati anche denunciati. Ma la tragedia della guerra e la Shoah hanno travolto la minoranza ebraica. A un certo punto era impossibile mettersi in salvo.

STUDENTE: Vorrei sapere come la comunità ebraica si pone di fronte alle correnti neo naziste degli ultimi anni.

Il pericolo, secondo le comunità ebraiche, ma non solo secondo le comunità ebraiche, è la perdita di memoria. La nostra amica è la storia, la storia però raccontata come deve essere raccontata. Il problema è della memoria, trasmettere la memoria. Perché è vero che l'olocausto, o come noi diciamo la Shoah che è una parola ebraica che significa  distruzione totale, è vero che la Shoah nelle sue dimensioni ha un'unicità atroce, perché insomma è come se fossero stati sterminati venti milioni di italiani. Sei milioni di ebrei nell'Europa del periodo degli anni Quaranta è come dire venti milioni di Italiani. Quindi datevi un'idea delle proporzioni. Bisogna opporsi alla negazione di questi eventi, perché in queste proporzioni io spero e penso che non si possa più ripetere. Però il meccanismo della distruzione di una minoranza da parte di una maggioranza è ancora possibile. Se noi analizziamo la pulizia etnica della vicina Iugoslavia e la soluzione finale del problema ebraico, c'è un'atroce analogia. Il ventre che ha partorito la  Shoah è ancora fecondo. Questa volontà di rafforzare un'identità nazionale, distruggendo le minoranze, è ancora possibile. Quindi, secondo me, è soprattutto verso i giovani, verso le nuove generazioni che noi abbiamo la responsabilità di trasmettere la memoria di queste cose. Queste immagini atroci che voi avete visto vanno ricordate. Non è per masochismo, non è per vivere con la testa voltata indietro. E' che noi sentiamo il dovere di trasmettere la memoria, perché ai nostri figli, ai nostri nipoti possa forse essere risparmiata la tragedia che la mia generazione ha conosciuto.

STUDENTE: Si parla di revisionismo storico. Quali pensa possano essere le cause profonde di questo interesse?

Ci possono essere sostanzialmente due motivi. Uno, diciamo perverso , è quello di dire: "Eliminiamo il ricordo di queste cose, in modo che possa ancora essere possibile la ricerca di soluzioni autoritarie, per esempio. Si esagera, i campi erano, le camere a gas servivano per spidocchiare, non esageriamo, queste cose non sono mai successe, l'identità nazionale va difesa, al di sopra delle differenze che sono necessarie in una struttura democratica".

  Quindi questo può essere il motivo perverso e, diciamo, anche eversivo, della cancellazione della memoria. E poi c'è un meccanismo, più semplice e più diffuso, che è dire: "Le cose che sono troppo difficili da sostenere, che sono troppo terribili da ricordare, cerchiamo di attenuarle". Io penso che noi dobbiamo difenderci da tutte e due queste cose, sia dall'oblio.  Terza colpa che non bisogna commettere è l'indifferenza, perché se il nazismo ha potuto prendere il potere, è stato a causa dell'indifferenza. Certo c'era una minoranza che voleva un sistema come il nazismo - la frustrazione di Versailles, le spaventose difficoltà economiche, l'inflazione che distruggeva la ricchezza del paese; la nascita del nazismo ha tante radici -, ma uno degli elementi che ha permesso l'avvento del nazismo, è stata l'indifferenza. Una vasta parte della popolazione è stata indifferente, ha guardato dall'altra parte, quando succedevano delle cose, anche se le trovava moralmente discutibili. E questo è, se posso dare, diciamo, un messaggio, con i miei capelli bianchi, è: non dimenticare, ma anche,  non essere indifferente, avere il coraggio di reagire, di pensare, di rifiutare.

STUDENTE: Mi scusi, secondo Lei, questo senso di colpa sentito dagli ebrei ha all'origine una colpa individuale oppure una colpa che è originale, diciamo, di tutta la collettività ebraica?

Scusa, senso di colpa per che cosa?

STUDENTE: Di questo senso che provano gli ebrei, come estraniati dal mondo, 

Ma questo lo dici tu. Noi non ci sentiamo estraniati dal mondo. Se esaminare se stessi, porsi delle domande, tu lo chiami senso di colpa, allora sì, ci chiamano il popolo del libro, cioè abbiamo questo bisogno incessante di interrogarci, di indagarci, ma questa è la condizione umana. Mi ricordo Arthur Koestler, lo scrittore ungherese, che ha scritto Buio a mezzogiorno, un autore, vissuto in Inghilterra. Diceva che l'ebreo è come una versione condensata dell'umanità. Siccome abbiamo una storia di minoranza, le minoranze hanno una naturale insicurezza, come è proprio del la loro condizione, che li  porta a interrogare e a interrogarsi. Se tu intendi per senso di colpa questo. Altri devono sentire questo senso di colpa, ma non noi. Noi abbiamo il dovere della memoria e della testimonianza, proprio perché la colpa non è stata nostra. Non esiste un senso di colpa collettiva. Vedi, questa è una domanda che potrebbe trovare le sue radici proprio in quello che dicevamo prima nella predicazione cristiana, del popolo deicida. Cioè è una colpevolezza indotta, non è la nostra. Noi non abbiamo ammazzato Dio. Quindi se tu mi parli di questo senso di colpa è una cosa che viene vista dagli altri. Noi non abbiamo un senso di colpa collettivo, perché non sappiamo per che cosa dovremmo averlo. Non so se ho risposto alla domanda.

STUDENTE: Il ricordo voluto di certi episodi non comporta un sentimento di vendetta e non si rischia, un domani, di invertire le parti che si sono stabilite cinquant'anni fa?

Il ricordo non è voluto, è necessario e inevitabile, secondo me. Quello che cercavo di dire prima: bisogna ricordare. Quelle fotografie che avete visto sono vere. E non sono finiti solo gli ebrei così, sei milioni di ebrei, ma ricordiamoci le centinaia di migliaia di zingari, e ricordiamoci anche le centinaia di migliaia di oppositori politici e religiosi del nazismo. Quindi è una tragedia collettiva. Noi abbiamo una certa unicità nelle dimensioni di questa cosa  nella mancanza di una reale motivazione. 
Bisogna  avere il senso della dimensione, del significato profondo, umano della tragedia. Noi rendiamo testimonianza non per noi stessi solo, non per masochismo e non per spirito di vendetta. Questo bisognerebbe veramente che fosse chiaro in voi. Noi non cerchiamo vendetta. Anche nel caso del processo Priebke, magari ne parliamo dopo, nessuno vuole vendicarsi, però bisogna testimoniare. Noi abbiamo questo dovere della testimonianza. Lungo i secoli ci vuole qualcuno che testimoni del bene e del male. A noi c'è questo, ci tocca questo compito, che qualche volta è molto difficile, molto faticoso, perché certe volte sarebbe molto più facile dimenticare. Non ci sembra giusto e ci sembra invece doveroso cercare di risparmiare a voi quello che è toccato a noi. Io non mi stanco mai di ripetere questo. Parlo spesso nelle scuole, perché per me è molto importante avere, mantenere questo rapporto, capire. E bisogna trovare il messaggio. Se voi fate tutte queste domande, vuol dire che noi non siamo stati abbastanza efficaci nel trasmettere questo messaggio. Dovete aiutarci perché noi pensiamo che sia necessario che voi sappiate veramente tutto quello che è potuto succedere perché può succedere ancora. Non saranno magari gli ebrei, saranno altri, ma il pericolo e la minaccia di questa, di una maggioranza che cerca la propria identificazione, attraverso la distruzione di un diversità, di una minoranza. Mutatis mutantis. Beh, il pericolo oggi del razzismo, per esempio. Ancora adesso quando si vede un diverso lo si vive come una minaccia. La presenza di una diversità e di una minoranza viene vissuta, spesso con un meccanismo abbastanza complesso, ma esistente, come una minaccia alla propria identità. Invece io penso che noi si debba capire che è nel rapporto fra l’io e il tu, fra il me e il diverso che si identifica la personalità di ognuno.

STUDENTE: Il concetto di colpa, legato a quello di vergogna, è rimasto non solo negli oppressori, ma anche negli oppressi. Cosa ne pensa?

Io non provo nessuna vergogna. Questo è un concetto che vedo che continua a tornare, di questo senso di colpa degli ebrei. E' un cosa che io voglio cercare di capire. Ma perché dobbiamo sentirci colpevoli per essere stati massacrati, per un tentativo di distruzione nei nostri confronti? Non esiste questo, non esiste. Noi abbiamo subito una cosa atroce, che deve servire come testimonianza e come, come ricordo, proprio per cercare di rompere questa ... E' che purtroppo questa catena di violenza da parte di una maggioranza verso le minoranze continua. E bisogna essere sull'avviso. E' successo e può ancora succedere. Io non mi stanco di ripetere queste cose, proprio perché vedo che è necessario. Queste continue domande, la maggioranza di queste domande, oggi, è sul nostro senso di colpa. Ma vogliamo scherzare? Non è, non esiste questo senso di colpa per quello che abbiamo subito. E' come se noi riconoscessimo la legittimità di quello che ci è stato inferto. Non è vero.

STUDENTE: Io facevo riferimento ad alcuni ebrei suicidi per il senso di colpa di essere sopravvissuti, per non essere riusciti ad aiutare chi è morto.

Non parlerei di senso di colpa quanto di  senso del dovere. Dicevo prima nell'introduzione, io ho sentito questo impulso. Potevo vivere in America, continuare a vivere in America, ho studiato lì insomma, sono arrivata giovanissima in America. Ho sentito come se io sono sopravvissuta, passando attraverso la tragedia dei campi. Sono sopravvissuta. Mi sono ritrovata ebrea viva nell'Europa del dopoguerra. Gli ebrei in Italia vivevano da duemila anni. Da un giorno all'altro ci è stato detto: non siete nessuno, non siete più nessuno, voi non avete più diritto. 
Noi, da un giorno all'altro, eravamo zero, ecco. Quindi questa cosa qua mi ha fatto un po' riflettere. Ero molto giovane, quando sono tornata, e mi è sembrato giusto non solo tornare  cercare di aiutare questa comunità a rinascere, che aveva duemila anni di storia, , ma anche di testimoniare come giornalista e come persona. Evidentemente la mia comunità ha sentito la sincerità del mio impulso e difatti , dopo molti anni, che ero stata nel Consiglio sono diventata Presidente, e mi hanno dato questo onore e questa responsabilità di guidare la comunità. Per me guidare questa Comunità oggi vuol dire anche continuare il nostro profondo dialogo con gli altri italiani, perché noi siamo italiani e ebrei, ebrei e italiani. Quindi, in questa civiltà noi ci sentiamo, io mi sento profondamente radicata. E sentendomi radicata, sento un po' il dovere di dare questo contributo di offrire la nostra testimonianza nell'interesse del paese intero, nell'interesse dell'Europa intera. E' indispensabile mantenere questa memoria storica per crescere. Perché, nella speranza, come dice Primo Levi, in questa testimonianza che avete visto nel filmato, forse la guerra è un cosa necessaria, c'è sempre stata nella storia. Se si potesse farne a meno, sarebbe molto meglio. Quindi ciascuno forse deve dare il proprio contributo. Dà quello che può e dà quello che sa. 
Per quello che tu dicevi del suicidio, beh, io conoscevo bene Primo Levi, ho conosciuto e conosco molti sopravvissuti dei campi. C'è questo senso sì. Non so se avete letto I sommersi e i salvati, il libro di Primo Levi. Questa cosa è molto presente. Dice: "Perché io sono sopravvissuto e gli altri no?" Il senso di colpa, non so se sia il termine giusto " senso di colpa". E'  una domanda atrocemente attuale. Tormenta anche noi, forse tormenta anche quelli che sono stati zitti forse, e chi non ha potuto evitare la tragedia. Però questo, non so neanche che parole trovare per questo, ma certo la domanda c'è: "Perché è successo e cosa avrei potuto fare perché non succedesse?" Noi siamo stati travolti, ma più che di colpa  vorrei parlare anche di responsabilità e del problema della coscienza individuale, della coscienza collettiva, se sia lecito ubbidire, se si possa disubbidire, se si debba ubbidire o no. 

STUDENTE: Noi abbiamo condotto un ricerca attraverso Internet sull'argomento e abbiamo trovato alcuni siti abbastanza interessanti, come, ad esempio, questo qui che documenta con alcune immagini i campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau; adesso però, nel '79, dopo l'olocausto, e riguardo questo sito abbiamo trovato alcune immagini, che riguardano alcuni fatti abbastanza interessanti, come ad esempio l'uso delle scarpe di legno all'interno dei campi che provocavano delle infezioni che molte volte potevano portare addirittura alla morte. http://remember.org/camps/

Abbiamo visto una fotografia presa da un bunker, nel campo di Auschwitz, per il quale il fotografo che l'ha fatta che è Alan Jacobs, riporta una frase molto importante di un sopravvissuto, che disse: " Lì fuori una volta non c'era l'erba, se ci fosse stata ce la saremmo mangiata". 

 http://remember.org/jacobs/index.html.

Oltre a questi siti abbiamo trovato un sito molto importante che è una Banca Dati, riguarda l'olocausto. E di questa Banca Dati abbiamo fatto una cernita di alcuni dei siti più importanti a cui era collegata, come ad esempio, il sito di Simon Wiesenthal, uno dei pochi ebrei che riuscirono ad uscire vivi dai campi di concentramento, che, invece di tornare alla professione di architetto, divenne, qui lo chiama così, il più famoso cacciatore di nazisti del mondo. 

http://www.wiesenthal.com/

Inoltre abbiamo trovato un sito sulla casa di Anna Frank, che è stata aperta alla visita, e nella quale è ospitato un piccolo museo sulla ragazza che ha scritto praticamente il Diario più famoso di tutti i tempi sulla tragedia dello sterminio suo e della sua famiglia.

http://www.annefrank.nl/

 

 

 

Poi abbiamo un sito sul Museo degli Stati Uniti, sull'olocausto e penultimo un sito, creato da Spielberg, dopo avere registrato Shindler's List, che praticamente è una Banca Dati non profit, che raccoglie tutta la documentazione visuale sull'olocausto. 

http://mjhnyc.org

http://www.vhf.org

 

Per ultimo abbiamo scelto un argomento, che a Lei è molto caro, che è quello della memoria storica, cioè Per non dimenticare. E' un sito che fa parte di Golem e praticamente questo sito contiene una lettera molto importante di un utente di Internet, che, navigando, si è trovato davanti a un sito, in cui veniva negata la possibilità che concretamente si fosse potuto attuare uno sterminio di proporzioni talmente grandi, dato che in quegli anni era assolutamente inadeguata la tecnica e la struttura. Giustamente lui è molto turbato, anche perché, a sostegno di quella tesi veniva riportata una grande documentazione, ed anche perché quella tesi partiva da persone di sinistra. Che cosa possiamo dire a questo utente?

In generale vorrei dire, dopo aver visto questo montaggio molto interessante, che ci  parla dei tempi di allora e del dopo non ci sono più scuse per non sapere, non ci sono più scuse, perché con Internet veramente se uno vuole sa e ricorda. Secondo me è talmente documentata l'esistenza dei campi con queste cifre, che io penso che i revisionisti di questo tipo si trovino in difficoltà. Quindi una volta stabilito il principio che oggi non si può non sapere, si deve sapere, quindi che la responsabilità di chi pone dei siti è quella di cercare di documentare al meglio, perché certamente ci saranno le controversie in Internet, tutto ci sarà, quindi si deve stimolare il proprio spirito di giudizio, il proprio senso della coscienza storica. Comunque questo è un fatto importantissimo, che io  invidio molto. Ecco di poter oggi studiare, vedere il mondo attraverso Internet richiederà delle capacità selettive molto raffinate, però ci arriverete e beati voi, ecco. 

Io vorrei però tornare al discorso di prima. Si è parlato molto di colpa, sia senso di colpa dei sopravvissuti ebrei sia della colpa dei nazisti. Io vorrei, se permettete, spostare un po' il discorso. E allora questa volta la domanda la vorrei fare io a voi: è giusto ubbidire? Fino a che punto, se esistono degli ordini che ripugnano alla propria coscienza morale, è lecito ubbidire ed è lecito disubbidire? Insomma io vorrei chiedervi il vostro giudizio sull'ubbidienza e sulla disubbidienza, sull'ubbidienza collettiva e colpa collettiva e il diritto alla disubbidienza individuale. Se voi foste stati... Ecco, vediamo, c'è una cosa da vedere sul processo Priebke. Questa è una cosa che si è svolta in Italia. Ora vediamo questo breve filmato. Poi parliamo del problema della colpa, della responsabilità e dell'ubbidienza.

-Si visiona un'ulteriore scheda:

PRESENTATORE: Lei Priebke, che si presenta sorpreso in aula e prende la parola. La versione di sempre: ha solo obbedito agli ordini, che gli venivano dati da Kappler, e conferma: ho ucciso due volte.

PRIEBKE: Ho dovuto sparare la prima volta, all'inizio, e la seconda volta quando Kappler è entrato con il capitano nella cava.

PRESENTATORE: Parla per tre quarti d'ora. Dice di avere vissuto tranquillamente in Argentina. Tutti sapevano chi era. Non si era mai nascosto. Si presentava con il suo nome. E' venuto due volte in Italia con regolare passaporto. Nega di essere stato un torturatore, un assassino. Lo smentiscono documenti conservati negli archivi americani, lo smentiscono molte testimonianze.

-Fine della scheda, ricomincia la discussione.

Zevi: Ecco, con Priebke, giochiamo in casa. Il processo - io ero lì, perché una delle comunità si è costituita parte civile -, il processo si è svolto a Roma. Dunque lui dice: "Io ubbidivo agli ordini. Quindi sono innocente. Io ho ammazzato, proprio perché m'hanno detto che dovevo ammazzare". Siete d'accordo con questa risposta voi? Questa è una domanda che per me è molto importante. Chi mi risponde? Una ragazza. Hanno parlato solo gli uomini fino ad ora. Coraggio! No, allora passiamo agli uomini.

STUDENTE: Obiettivamente penso di sì, perché se Priebke non avesse compiuto, diciamo, questo omicidio, quest'ordine, se non l'avesse portato a termine, l'avrebbe dovuto portare a termine qualcun'altro e lui sarebbe stato ucciso. Sotto l'esempio della sua, mettiamo fucilazione, qualcun altro avrebbe avuto paura, avrebbe commesso lo stesso...

E allora avrebbero avuto dei problemi. l'esercito tedesco avrebbe avuto dei problemi, sì. Le SS avrebbero detto: "Qui c'è gente che non vuole ammazzare. Oh!". Dico questo: viva questi problemi.

STUDENTE: Avrebbero ucciso Priebke, però dopo la paura, avrebbe...

Un momento, questo fatto anche dell'ubbidienza, assoluta e necessaria, è opinabile. Esiste un Codice Militare Tedesco, che era in vigore durante la guerra, in piena guerra nazista. Un articolo di questo Codice dice che il soldato ha non solo il diritto, ma anche il dovere di disubbidire a uno degli ordini che sono giudicati iniqui dalla sua coscienza. Esiste questo articolo del Codice Militare vigente tedesco. Naturalmente gli ufficiali avevano ordine di obliterare questa cosa. Gli ufficiali dicevano ai soldati, dicevano alle SS, agli esecutori diciamo: "Sì, guarda che se tu non lo fai ti ammazzo", ma non era vero. A un certo punto, è meglio ammazzare o rifiutarsi di ammazzare? Oh, queste son domande gravi che ognuno di noi si deve porre! Cosa avresti fatto tu, nei panni di..., avresti ubbidito di sicuro?

STUDENTE: Se non avessi ubbidito io, l'avrebbe fatto qualcun altro dopo, dopo la mia morte.

Beh, ma pensa alla tua coscienza. Non ti preoccupare della coscienza degli altri.  E' a quella lì che dobbiamo rispondere, noi.

STUDENTE: La guerra è tale perché è selvaggia, perché non ci sono regole.

Sì, ma qualcuno deve dire di no, qualcuno deve avere il coraggio di dire di "no" e di non essere indifferente.
Lo sai quanti soldati tedeschi sono stati ammazzati perché hanno detto di no? Prova a dire. Dodicimila soldati tedeschi sono stati impiccati, verso la fine della guerra, per le strade delle città tedesche, con un bel cartello, appiccicati agli alberi dei viali, con un cartello: "Io sono un vigliacco". I coraggiosi erano loro, non i soldati che ubbidivano.
E allora bisogna rendere omaggio a questi. Chi ha salvato l'onore della Germania? Chi ha ubbidito come Priebke o questi eroi ignorati, che si sono fatti ammazzare per dire di "no". Io rendo omaggio a questi soldati.

STUDENTESSA:  Io volevo contraddire il mio compagno perché naturalmente non sono d'accordo. Penso che ognuno abbia una responsabilità individuale. Non posso obbedire a qualcosa che per me non è giusto.
Inoltre, io non posso togliere la libertà a un'altra persona, cosa che così faccio. E poi, se ognuno dicesse: "Se non l'avessi fatto io, l'avrebbe fatto qualcun altro!". Beh, ma se tu per primo dici "no", sicuramente la cosa si potrebbe espandere, a macchia d'olio.

Ma certo, certo.

STUDENTESSA: Non è detto che il tuo pensiero poi non continui a andare avanti. Così allora ci chiudiamo in degli stereotipi o comunque in dei pensieri belli e formati. Diciamo: "Tanto se non lo facevo io l'avrebbe fatto qualcun altro". Comunque sarebbe dovuta morire quella persona, no? Così è volersi adagiare su un pensiero già formato.

Anche tutto il discorso dell'antifascismo: "C'è il fascismo, governa, ha la maggioranza, è il padrone!". Allora io non divento antifascista?  A me questo regime non mi piace, divento antifascista. Dico: la gente che è morta, i partigiani, che cosa hanno fatto, hanno disubbidito? Evviva la disubbidienza.Io saluto la disubbidienza in certe situazioni, la disubbidienza morale, non che viene dalla pigrizia mentale, ma che viene dalla protesta morale, questa ci vuole. Noi dobbiamo avere il coraggio di dire di "no" alle cose inique, se no le cose inique ci travolgono. Questo secondo me è il messaggio che deve venire dalla memoria. Noi dobbiamo ricordare per avere la forza di dire di "no", quando identifichiamo oggi i segnali di pericolo. Ecco, questo è un messaggio che io non mi stanco di trasmettere, perché mi pare di avere ragione insomma e sento il dovere di dirle queste cose. Sono molto contenta della tua dichiarazione, perché dimostra che c'è un ragionamento che ti porta a una conclusione, perché dare una risposta come la tua, su cui varrebbe la pena elaborare ancora, ma la televisione ha i suoi tempi, ecco proprio il ragionamento è questo: non ci si possono scrollare le spalle e dire: "Tanto se non lo faccio io, lo fa un altro!". Eh, no! Io non lo voglio fare. A me non va bene fare questa cosa. La rappresaglia è una cosa infame e in più ne hanno ammazzati pure cinque in più, gratuitamente. Poi, comunque, la rappresaglia è una cosa infame. Ammazzare degli innocenti perché è stato commesso un atto di guerra dei partigiani. Se non fossero successe queste cose, forse ci saremmo tenuti  il nazismo sul collo per quanti altri anni, se non fossero intervenuti gli Alleati a distruggere questo sistema, dove saremmo noi? Cosa sarebbe l'Europa oggi, dominata dal nazismo? Noi saremmo schiavi, non solo gli ebrei, gli italiani. Eravamo destinati ad essere la zona di vacanze dei nazisti. L'Italia quello doveva essere. E allora vogliamo dire di "no" e cercare di avere il mondo che vogliamo avere? 

STUDENTESSA: Se esiste un collegamento tra responsabilità, individuali e responsabilità collettive, qual'è il confine tra di esse?

La tua coscienza.

STUDENTE: Inoltre io volevo accusare Priebke, anche perché, in generale, lui faceva parte delle SS per sua scelta. L'esercito sa di combattere contro un altro esercito armato. La Gestapo e le SS combattevano contro delle persone senza armi, quindi vi era  una scelta a priori, non fu  una scelta eccessiva di uccidere alle Fosse Ardeatine duecento o trecento persone, era nell'impostazione di questi gruppi. 

Giusto. Io sono d'accordo perché le SS, appunto, in questo c'è un equivoco spesso. Le SS non erano l'esercito in quanto tale, non erano soldati. Per quanto appunto anche dei soldati si sono resi colpevoli di crimini. Comunque le SS erano un corpo scelto per uccidere, erano un corpo di massacratori che sapevano quello a cui andavano incontro accettando di fare parte delle SS. Questo vale anche per il signor Priebke.

STUDENTESSA: Sergio Romano sostiene che la politica israeliana abbia in un certo senso un rapporto con le tragedie che l'antisemitismo ha provocato e inoltre scrive che "il genocidio non è più un episodio storico da studiare nelle particolari vicende in cui ebbe luogo. E' diventato il peccato del mondo contro gli ebrei, una colpa incancellabile di cui ogni cristiano deve chiedere perdono, il nucleo centrale della storia del XX secolo". Che cosa ne pensa al riguardo?

Dunque io non sono d'accordo con questa definizione della Shoah che dà Sergio Romano. Mi sembra, un'analisi abbastanza superficiale, ma che... Ti dispiace rileggerla un attimo, la seconda parte della frase?

STUDENTESSA: Certo. "Il genocidio non è più un episodio storico da studiare nelle particolari vicende in cui ebbe luogo. E' diventato il peccato del mondo contro gli ebrei".

Questa è una sua valutazione. Io non penso che sia stata una cosa ingigantita. E' un grosso fatto, gravissimo, che è avvenuto nel cuore dell'Europa,  che ha travolto l'Europa. Come dicevo prima, gli ebrei non sono state le uniche vittime. E' stato terribile il sistema che ha reso possibile, che ha provocato questa cosa. Ma di questo bisogna rendere testimonianza, bisogna ricordare. Io non sono d'accordo  con questa generalizzazione che fa Romano, con questa conclusione, perché la trovo una conclusione molto superficiale. Del resto basta leggere la bibliografia, che ha portato Romano a scrivere questo libro, e si vede che è sotto il segno della fretta e della superficialità . "Jumping conclusions"  come dicono gli inglesi, cioè "Salta delle conclusioni" che storicamente sono difficilmente documentabili. Comunque io penso chel'analisi di quello che è successo, in un contesto generale vada fatta e che lo Stato d'Israele - la nascita dello Stato d'Israele - sia frutto di un rimorso collettivo per quello che è potuto succedere. Io non so se non ci fosse stata la Shoah se le Nazioni Unite avrebbero approvato la creazione dello Stato di Israele con tanta prontezza. Penso che si siano liberati. In un certo senso abbiano cercato, - l'Europa, le Nazioni Unite -, abbiano cercato di liberarsi di un senso di colpa costituendo lo Stato di Israele.

STUDENTE:  Per ritornare al caso Priebke e al rapporto tra giustizia e perdono, in alcuni casi si nota che c'è una certa confusione tra il concetto di perdono e quello di giustizia. Non crede invece che investano due sfere nettamente distinte?

Il problema della giustizia è il problema delle regole che gli uomini si danno per dare un ordine alla società. La necessità di fare giustizia, di fare chiarezza e giustizia, è una necessità, perché possa esistere una società, una società civile. Il problema del perdono è una questione più individuale. Io sono del parere di non avere il diritto - si parla molto di perdono di questi tempi -, che non si abbia il diritto di chiedere perdono per conto terzi. Per esempio, non so, siete implacabili perché non perdonate questo povero vecchio. Io non posso perdonare Priebke per quello che lui ha fatto. Gli unici che possono perdonare Priebke sono le vittime delle Fosse Ardeatine, ma non lo possono fare, perché hanno la bocca piena di terra, perché sono lì, ammazzati come cani. Quindi quello che io posso fare è onorare le vittime.
Questo per me è il concetto di perdono.
Io vi ringrazio perché con tutte queste vostre domande siamo riusciti veramente, nei limiti di tempo che ci sono stati dati, di coprire dei grossi temi dell'umanità: la colpa, la responsabilità individuale, il perdono. Penso che in questo senso ci siamo aiutati a vicenda a cercare di chiarire questi problemi che devono continuare a preoccuparci. A queste domande io spero che voi continuiate a farvi queste domande e a cercare delle risposte. Vi ringrazio moltissimo di questa vostra collaborazione e mi sembra che abbiamo fatto qualcosa di utile in questa trasmissione. Grazie. 


  Toràh:  detto  anche Pentateuco, i primi 5 libri della bibbia : Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deteuronomio (back)


Biografia di Tullia Zevi