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IL TEMPO CHE RESTA. RICORDI

2002


Cara P.

con Luciana abbiamo appena letto il tuo articolo-recensione
Mai avremmo immaginato di poter avere un "lettore" così attento, partecipe ed empaticamente coinvolto
Ci hai fatto un regalo grandissimo. E conoscendo la fatica della scrittura ti siamo ancora più grati
Hai perfettamente ragione nel dire che manca un capitolo conclusivo a tre mani. Era nelle intenzioni, ma i tempi non ne hanno consentito la concretizzazione.
Hai anche offerto chiavi di lettura ulteriori rispetto a quelle da noi pensate. Questo dimostra ancora una volta la bellissima sorte di un libro: prima nasce da rapporto fra autore e testo e poi rinasce a nuova vita nel rapporto con il lettore
Luciana ti prega solo di correggere "psicologa e coordinatrice" con "psicologa consulente": è effettivamente il suo ruolo
A Marisa Bianchi inviamo subito il tuo testo e siamo sicuri che ne sarà felice
Questa è anche l'occasione (in grande ritardo) di farti gli auguri di buon anno. Ma come sai le vacanze per noi sono tempo di "letargo": lasciamo passare il tempo con la tranquillità che merita. In quei giorni il tempo
riesce ad acquistare spessore.
Ti abbiamo molto pensato nella nostra tavernetta guardando il tuo bel
manufatto personalizzato che ha allietato la nostra tavola. La gatta, il
fuoco acceso, la finestra che sembra un quadro, il tuo dono ... felicità è
anche questo
Ti raccomandiamo di trovare il tempo per venire a Nesso la prossima
primavera: le azalee sbocciano a maggio. Naturalmente, tempo e temperatura
permettendo, si può anticipare
Qui sotto trovi anche il nostro esercizio filosofico per il 2003
ancora auguri di buon anno a te e famiglie
un abbraccio affettuoso
Paolo e Luciana

"Osservare la polvere in un raggio di sole ci aiuta a vedere l'invisibile"

Un esercizio per il 2003


Durata: dai quindici ai trenta minuti
Materiale: una camera, un raggio di luce
Effetto: rassicurante

Una  stanza alquanto buia. Imposte socchiuse. Attraverso esse un raggio di
luce. Sole vivo, cocente, raggi obliqui dell'alba o del tramonto. Nella luce
che attraversa l'ombra si stagliano innumerevoli scintillii. È certamente
uno degli spettacoli più emozionanti e più magici che gli uomini possano
contemplare.
Migliaia di piccolissime schegge che trattengono e riflettono la luminosità
piroettano, girano, passano e ripassano. Puntini, bastoncini, microscopiche
piume, infimi fiocchi, minuscole cose aeree, leggere, danzanti attraversano
la luce in modo sublime, serio e gioioso, terribilmente indaffarati,
agitati da vortici e itinerari impossibili da seguire. Frammenti di
traiettorie, puri lampi di vita.
Ciò che colpisce di più in questo miracolo dello scintillio è la densità.
Tralasciate i ricordi dell'infanzia, i giochi di un tempo, le case di
campagna, l'odore degli armadi se è il caso. Non vi aggrappate a questi
strabilianti granelli. Il confine tra la luce e le tenebre è
improvvisamente così rigido, netto e diretto che ci sembra quasi possibile
toccarlo con mano. Il brulichio delle particelle appare e scompare
dall'altra parte della barriera. Ed è qui che è possibile sognare.
Sono poche le esperienze semplici che danno così intensamente la sensazione
di un mondo invisibile improvvisamente svelato. Nel raggio di luce appare
come un pezzo di spazio diverso, inserito nel nostro, un universo
dell'altra faccia, del rovescio del globo, dell'altrove, reso di colpo
visibile come per effrazione.
Come sarebbe il mondo se vedessimo scintillare continuamente, ovunque e
sempre la polvere? Non c'è continuamente, ovunque e sempre uno strato
invisibile e al tempo stesso presente? Uno strato che è possibile
raggiungere, uno spazio incastrato in quello che conosciamo?
E se si trattasse solo di saper socchiudere bene le imposte?

Da: Roger - Pol Droit, Piccola filosofia portatile, Rizzoli, 2001, pagg.
87-88

 

Recensione di Patrizia Taccani

Paolo Ferrario, Marisa Bianchi, Luciana Quaia, La qualità nei servizi socio-sanitari. Processi di costruzione della Carta dei servizi in una RSA, Carocci editore, Roma 2002

 

Il testo è diviso in tre parti strettamente collegate come possono esserlo tre tappe di un unico itinerario pensato e progettato insieme dai tre Autori, e successivamente ripercorso insieme.

Nella prima parte siamo condotti lungo un iter storico-istituzionale che ci consente di capire l’intreccio sistemico tra le istanze e le pressioni in tema di qualità dei servizi da parte della società civile diversamente rappresentata e le iniziative legislative e amministrative in parte orientate a rispondere, in parte “costrette” a entrare in conflitto con la domanda stessa di qualità, nel momento in cui presentino come obiettivo centrale il contenimento della spesa economica. Già la proposta di leggere gli aspetti di possibile ambivalenza del dato giuridico-amministrativo rende il lettore avvertito degli aspetti di complessità del problema e lo preserva dall’assumere una visione troppo “romantica” dei percorsi per la qualità.

Di particolare interesse l’approfondimento della valenza comunicativa della Carta dei servizi e, ancor più, il senso di una costruzione della Carta fatta dall’interno del contesto di servizio. Sono particolarmente illuminanti i due verbi usati “rispecchiarsi” e “affacciarsi alla finestra” (p.37) per definire gli obiettivi di tale strumento: la Carta come strumento per osservarsi, che significa anche la sua costruzione attraverso una forte partecipazione delle componenti professionali del servizio, e la Carta come strumento per farsi conoscere, per entrare in contatto con i soggetti esterni: utenti reali o potenziali, forze sociali, altri enti, associazioni.

Accompagnati da questa immagine/metafora ci si può avviare lungo l’itinerario che conduce appunto dal quadro delle politiche sociali in tema di qualità e della legislazione sulle Carte dei servizi (Paolo Ferrario), per raggiungere e conoscere un luogo (RSA Bellaria di Appiano Gentile in provincia di Como) in cui si è attuata una sperimentazione di redazione della Carta unitamente a un progetto qualità, attraverso le parole di chi occupa un punto di osservazione di particolare rilievo, quello di direzione della residenza (Marisa Bianchi), sino alla rilettura del processo di miglioramento della qualità che mette il luce tutto il lavoro di cura necessario per poter passare dal “dover essere” in tema di qualità al “che cosa è possibile fare e si è fatto” per la qualità stessa (Luciana Quaia).

Nella seconda parte dunque, il lettore conosce da vicino il contesto di una residenza sanitaria-assistenziale in cui si è realizzata la costruzione della Carta dei Servizi come punto di arrivo di un processo in parte quasi “inconsapevole”, a sua volta punto di partenza per una revisione dei processi di lavoro in aree specifiche : qui, oltre a vedere il luogo fisico, a incontrare i soggetti, a percepire i passaggi di clima e di stile di lavoro dal lontano 1864 anno in cui la casa fu fondata per accogliere otto ammalati di pellagra, sino all’oggi in cui la RSA Bellaria è dimora di centoventisette persone anziane quasi tutte gravemente disabili, si è chiamati a interrogarsi, insieme a chi scrive, sulle possibili contraddizioni tra l’aspirazione a migliorare la qualità del servizio e l’applicazione di metodologie di lavoro ad essa finalizzate che tuttavia richiedono tempi per l’elaborazione e la socializzazione più ampia, tempi per l’applicazione, tempi per la valutazione e si basano fondamentalmente sul coinvolgimento diretto degli operatori nei gruppi di lavoro: “il lavoro dal basso presenta vantaggi e svantaggi”. (p.119)

Nella terza e ultima parte Luciana Quaia, psicologa consulente nella RSA, fornisce da subito al lettore le chiavi interpretative da tenere presenti nella rivisitazione del processo di miglioramento della qualità che andrà a descrivere e a valutare, sintetizzabili nei concetti di “pluralità e intreccio dei protagonisti della qualità” (anziani, familiari, operatori, ambiente) e di empowerment riferito a ciascuno di loro. Il processo viene ricostruito con precisione non disgiunta da partecipazione emotiva: come del resto sottolinea l’autrice, il processo di lavoro di gruppo ha visto intrecciarsi momenti di ricerca di strumenti e di metodologie finalizzati ad una traduzione squisitamente tecnica a momenti di creatività capaci di motivare, sostenere e “accendere” anche le fasi più faticose che dovevano portare a identificare i fattori di qualità, a trovarne gli indicatori, ad approcciarsi al concetto di standard. (p.160). E’ probabile che un metodo di lavoro di ricerca con queste caratteristiche abbia di gran lunga facilitato l’acquisizione della consapevolezza raggiunta dal gruppo al termine di una prima fase, che “molti degli obiettivi di miglioramento via via delineati dal gruppo erano inerenti alla sfera relazionale e implicavano un impegno personale che non poteva semplicemente essere esposto in “tabella”, quasi fosse un elemento quantizzabile o acquistabile…” (p.169).

Come dire che il lavoro di ricerca si è caratterizzato dall’essere anche formativo e auto-formativo.

Di notevole interesse il capitolo dieci che ci consegna i risultati di una valutazione della qualità da parte di un numero pur parziale di anziani (22% degli ospiti): ciò che è emerso viene definito come “una criticità poco obiettiva rispetto al tema indagato, ma più “rivendicativa” di esigenze personali non sempre compatibili con il luogo di residenza…” (p.177). Questi risultati   di per sé certamente non gratificanti hanno tuttavia spinto gli operatori a superare il senso di impotenza generato dalla consapevolezza di non poter dare tutte le risposte adatte a tutte le persone residenti nella casa, e successivamente si è proceduto a raccogliere, ampliandole con interviste e osservazioni, le esigenze di tipo psico-sociale degli ospiti stessi. Diversamente raccolta (tramite focus group), la valutazione della qualità percepita dai familiari e in via di elaborazione, al momento della chiusura redazionale del testo, la verifica fatta con gli operatori: i risultati, anche provvisori, l’interpretazione che ne viene fatta, e le prime risposte istituzionali (ad esempio incontri di informazione/formazione per i familiari) danno conto del grande movimento in atto nella RSA Bellaria di Appiano Gentile rispetto al miglioramento della qualità di vita di chi vi dimora, di chi mantiene uno stretto legame con i residenti, di chi vi opera professionalmente. Credo sia anche per questo che in premessa gli autori invitano altri gruppi di lavoro a comunicare la propria esperienza in tema di qualità e a partecipare a un confronto non su teorie ma sulle concrete realizzazioni, pur in via di attuazione. (p.12)

 Come lettore dichiaro di avere sentito, al termine dell’itinerario, l’esigenza di un breve capitolo conclusivo “a tre voci” che, almeno in qualche misura, collocasse tutta l’esperienza in una prospettiva a medio termine.

 Da ultimo, guardando al testo nel suo complesso, mi sembra di avere colto una sorta di meta-messaggio lanciato dalle sue pagine: esso riguarda la necessità di una presa in carico culturale del problema della vecchiaia, in particolare dei vecchi ammalati, estremamente fragili e non autosufficienti che approdano alle strutture residenziali nell’ultima parte della loro vita. Ma non solo di essi, anche dei familiari che spesso con grande fatica e pena mantengono legami che lo sguardo sociale corrente decreterebbe interrotti con l’entrata dell’anziano in una struttura. Ciò che chiamo presa in carico culturale riguarda l’affermazione prima teorica, poi declinata nell’organizzazione, dell’importanza di un “prendersi cura” della vita e dei legami di questi cittadini, così come, con tutti i rischi evidenziati, ci si può prendere cura della crescita professionale degli operatori attraverso la loro partecipazione diretta ai processi di cambiamento.

Difficile allora essere d’accordo con valutazioni politico-amministrative che dovessero considerare processi come quello realizzato e descritto come eccessivamente costosi in termini di risorse professionali, di tempo dedicato e, perché no? pericolosi in quanto capaci di risvegliare nuove o nuovissime esigenze nei fruitori del servizio.

Il dissenso nasce pensando ai vecchi di oggi, pensando anche ai vecchi che saremo.

 


9 Dicembre 2002

LETTERA

Caro Paolo,

ti ringrazio molto per avermi mandato il vostro libro e per la bella lettera che mi hai scritto

Ho avuto tutto con grande ritardo perché sono stata via diversi giorni e anche se avrei voluto risponderti subito ho lasciato passare del tempo perché sono sovraccarica e non riesco a tirar su la testa

Il vostro testo è molto efficace e l'ho utilizzato a fatto girare perché è proprio esemplificativo di come sarebbe importante lavorare con i servizi e nei servizi per mettere a punto modi e strumenti di lavoro più pertinenti, più trasparenti, più idonei a esercitare controlli e verifiche.

Complimenti al terzetto !

E ho anche capito di più che cosa fa Luciana  ... e Marisa Bianchi la ricordo bene in alcuni incontri alla ...

Io, nonostante il mio piede fratturato continuo a correre in questo mondo dei servizi che diventa sempre più contraddittorio, agitato, attraversato da iniziative di ogni genere

Dal gennaio 2003 mi sono imposta una drastica riduzione di impegni, ma non è facile "tagliare" e per molti aspetti nello .... ti trovo ad avere un ruolo ascritto.

In ogni caso mi è necessario, per ragioni di salute fisica e psichica, poter restare più tempo sul lago a rimettere insieme i pezzi e a ritrovare dei ritmi, a ritessere i fili interiori

Mi è dispiaciuto non essere riuscita a venire a trovarvi a Nesso: ti abbiamo ricordato spesso riascoltando la "cassetta di pezzi" che ci hai regalato. Vedrai che un giorno o l'altro arriviamo.

Tanti auguri natalizi e per l'anno che comincia. Con molto affetto  F.

 


5 dicembre 2002

 

Caro L. S.

Ho visto con curiosità la presentazione del libro "Io uccido" di Faletti.

Così in libreria ho provato a sfogliarlo, con l'intenzione di diventarne uno dei tanti lettori.

Ma sono rimasto stupefatto dal linguaggio. Una specie di impasto, appena più adulto, delle parole che gli adolescenti mettono insieme quando tentano di scrivere.

Proprio non capisco come si possa parlare di lui come del più grande scrittore del momento. E' incredibile

Così ho deciso di non contribuire ai suoi diritti d'autore e di comperare invece  l'ultimo romanzo di Massimo Carlotto: Il maestro dei nodi, Edizioni E/O.

Un autore di nicchia, ma bravissimo. Non a caso fu scoperto e valorizzato dalla compianta Grazia Cherchi.

Siamo sempre sul thriller all'italiana. Ma che stile !

Perchè non invitate una sera Massimo Carlotto?

Ha una storia molto avventurosa da raccontare: la prigione, la grazia, la fuga nei paesi dell'America latina, il suo diventare scrittore.

Che triste paese: Faletti al primo posto delle classifiche e Carlotto autore di una casa editrice molto intelligente, ma quasi mai fra i primi dieci

Grazie per l'attenzione e cordiali saluti



2 dicembre 2002

Lettera a Cr..

Cara Cr.

ho davvero provato molto piacere ricevere la sua lettera.

Fra le potenzialità, davvero straordinarie di internet, c'è quella di creare delle piccole comunità di persone che condividono i medesimi orizzonti di senso.

E' l'esatto contrario della televisione, che offre prodotti uguali per persone diverse.

E così, anche grazie alla comune amica P., ci siamo ri-incontrati ! Sia pure sui fili leggeri della comunicazione elettronica.

 

Non posso che essere felice di considerarmi uno dei suoi allievi. Quindi la prego di fare il mio nome sul sito www.casadellascrittura.it 

 

Io continuo il mio lavoro di formatore nel settore dei servizi sociali. E' abbastanza faticoso (soprattutto per gli spostamenti). Ma la pensione (quanta invidia per P.!) è davvero molto lontana, anzi quasi impossibile. E tuttavia è un lavoro che mi "obbliga" ad uno studio continuo. E questo è molto bello

Lavoro molto al mio sito. E' un cantiere aperto, sempre in manutenzione.

Il mondo di internet assomiglia alla biblioteca infinita di Borges.

Mi sono accorto, con piacere, che uso questo strumento di comunicazione con l'intenzione di mettere a disposizione le mie conoscenze per le persone interessate. E' come se rendessi disponibile ad altri la mia biblioteca ed il mio modo di lavorare.

Condividere uno spazio in tutta libertà è emozionante.

E poi gli studenti e gli operatori dei servizi possono trovare qui alcune basi documentali per il loro lavoro e per la loro formazione. O almeno prendere qualcosa e poi andare per la loro strada.

Spero che ci saranno altre occasioni di incontro fra noi. Guarderò www.casadellascrittura.it per tenere d'occhio il suo lavoro

Io e  Luciana la salutiamo e ricordiamo con molto affetto

arrivederci

 

 


17 novembre 2002

Questa mattina a Milano alle 8 e 40 ho visto MC, avvolto in un loden verde, andare verso il treno per Meda.

Strano effetto incrociare nella quotinianità dell'avvio di una giornata di lavoro questo uomo pubblico. Cioè vederlo fare i faticosi gesti della mattina: recarsi al posto di lavoro, dopo essersi alzati dal sonno, avere preso un treno ...

Cero, niente di particolarmente stupefacente

Però fa riflettere sulla irriducibilità dell'essere vivente: ci sono gesti che accomunano al di là della intelligenza, della cultura, dei ruoli

C'è una normalità dell'esistere che consola le nostre piccole miserie.

 


Como 14 ottobre 2002

Per il segretario della Sezione DS Como centro

Per il segretario della Federazione DS di Como, Parini

Per il segretario nazionale di DS, Piero Fassino

  Cari segretari,

questa è la lettera che mai avrei voluto scrivere.

Informo che non intendo rinnovare la mia iscrizione al partito dei Democratici di sinistra.

Almeno fino a quando rimarrà questa distruttiva divisione fra le due anime del partito.

Mi ero iscritto al PCI nel 1973, sull’onda di tre articoli di Enrico Berlinguer sul colpo di stato in Cile e da allora ho sempre sostenuto, anche quando ho avuto ruoli dirigenti nella federazione comasca, la linea dei segretari. Questo perché, a mio avviso, sono le posizioni centrali quelle che garantiscono i percorsi delle forme collettive della politica. I segretari si danno il grande compito di fare sintesi e per farlo faticano più degli altri. Ed è per questo che la loro fatica va valorizzata.

Tuttavia ora, nonostante la mia grandissima stima per Fassino, vedo un partito che è perennemente ostaggio del cosiddetto “correntone”.

L’episodio del voto in Parlamento sull’invio delle forze militari in Afganistan è stato per me incomprensibile ed inaccettabile. Il nostro gruppo si è spezzato in tre tronconi. La spedizione delle nostre forze armate aveva l’obiettivo di contribuire a tenere sotto controllo un territorio strategico per la sicurezza mondiale. E l’invio sarebbe stato in assoluta coerenza con i nostri orientamenti di voto dell’anno scorso, dopo la strage delle torri gemelle di New York.

Mi fa paura la memoria breve.

Ma c’è altro nella mia, vi prego di credermi,  sofferta decisione.

La politica di questi anni ha cambiato l'Italia. Questa politica l'ha portata avanti Prodi (che è stato abbattuto da Rifondazione comunista) e da D'Alema (che è stato messo in croce più da noi stessi che dagli avversari).

Come posso restare in un partito in cui c'è chi ancora pensa (e sono tanti, tanti da determinare quel voto pazzesco) che si possa risollevarsi dalla sconfitta appiattendosi su Rifondazione ?

Come possiamo ripresentarci alle elezioni del 2006 in un’alleanza subalterna con chi ha determinato la vittoria di questa destra infinitamente peggiore di qualsiasi destra europea?

Nei DS manca la capacità di tenere la barra su un forte profilo riformista. O meglio: questo profilo c’è ed è incarnato in figure forti come D’Alema, Fassino, Bersani, Violante e moltissimi altri. Ma questa azione è bloccata dalle divisioni interne a e soprattutto dai vari ricatti che la cosiddetta “minoranza” sa quotidianamente mettere in atto.

Viviamo in una congiuntura storica molto preoccupante, perché fondata sulla insicurezza del presente e del futuro. In Italia c’è questa destra non europea. Nel mondo c’è il pericolo dell’integralismo religioso ed armato di matrice islamica.

In una simile congiuntura vorrei politici all’altezza dei compiti. Come Blair, che motiva con dati certi le ragioni dell’uso della forza. O come Rutelli, che ha saputo assumersi le sue responsabilità anche per me, elettore dell’Ulivo iscritto ai DS.

Sono arrivato alla conclusione che è impossibile tenere assieme nello stesso partito due anime divergenti: quella di una sinistra che vuole governare con altre culture politiche e quella di una sinistra che si ostina a volere testimoniare un’identità minoritaria e prepotente.

Quando il problema diventa quello di testimoniare un’identità psicologica non è possibile far valere il principio della responsabilità. A differenza delle persone, che devono basarsi sulla propria identità, i partiti devono darsi obiettivi collettivi realistici basati su programmi che interpretino la realtà economica e sociale contemporanea.

Probabilmente solo una chiara separazione politica (sì: ancora una scissione) potrebbe dare una speranza di riorganizzare le forze da qui al 2006 e costruire una coerente coalizione di centro sinistra che si allea programmaticamente a partiti che soggettivamente si dichiarano di “sola sinistra”.

Se si arriverà a questa soluzione sarò di nuovo non solo un elettore, ma ancora  un iscritto ad un partito ben saldo sui suoi principi riformisti.

Vi ringrazio per l’attenzione che forse dedicherete alle mie parole.

 

 


Venezia 22 marzo 2002

Oggi ho provato che, anche senza avere uno spirito religioso, ci si può commuovere quando un simbolo è molto forte.

Sono entrato, del tutto per caso, nella Chiesa di San Polo, che contiene quadri di Jacopo Tintoretto (XVI secolo), Tiepolo (XVII secolo), Paolo Veronese (XVI secolo.

La loro visione non mi ha particolarmente emozionato. Fondi oscuri, personaggi tutti significativi solo per la cultura dell’epoca, personaggi carichi del significato religioso che gli viene attribuito. Ma non in grado di colpire profondamente i miei sentimenti.

Ma poi sono entrato in una provvisoria stanza con una via crucis di Giandomenico Tiepolo (figlio del più famoso Gianbattista).

E qui vedendo la fatica di Gesù sotto la croce, gli aiuti lungo la strada, le cadute (davvero da pianto), l’inchiodamento, con i volti feroci dei romani, ho provato ammirazione per questa religione fondata sul sacrificio di un dio fatto uomo e morto per gli uomini.

Il volto di Gesù, in questi quadri è veramente capace di trasferire la sofferenza.

Ho anche pensato a questo figlio di un padre famoso che, da artigiano dei colori, tenta di fare un’opera all’altezza della fama della propria famiglia

 

 

 


Giovedì 21 marzo 2002

 

Il treno si ferma, prima di una stazione, nella pianura verso Mantova.

Sotto c’è un torrente, scorrevole ma con l’acqua limacciosa e sporca.

Laggiù passa sotto un tunnel, fra le case. E qui sotto un ponte.

Gìà, perché comunque aspira ad andare verso il mare.

E’ una immagine già vista, forse. Non meritevole di memoria.

Ma c’è anche un albero, quasi sulla riva, che lascia cadere i suoi petali bianchi sull’acqua che lentamente se li porta via.

Piccole macchie bianche luminose.

Anche la vita è così.

Corre sotto i ponti, ha una direzione, talvolta è torbida.

Ma qualche volta si illumina.. Anche quando meno ce lo si può aspettare.

Bisogna fermare il tempo, anche solo per un attimo.

Bisogna trovare l’energia e la voglia di stupirsi, quando la bellezza compare così, quasi per caso.

Bisogna accorgersi della bellezza.

Petali bianchi che hanno atteso una stagione per sbocciare per poi cadere da un albero e correre sull’acqua verso il mare ….

 

 

 


2 Marzo 2002

 

Caro D'alema

la solitudine dell'"elettore militante" è anche quella di non sapere se un messaggio sulla rete web può arrivare a un dirigente del partito. Insomma: spero che o tu o un tuo collaboratore mi legga e ti trasmetta almeno il senso di questa comunicazione

Volevo solo farti arrivare la mia solidarietà e senso di amicizia per l'amarezza che provi in questi giorni.

Sono mortificato per la ferocia con cui ti sta trattando parte del nostro popolo. Pronto ad applaudire quando sei saldo e altrettanto pronto a denigrare quando sei più debole.

I fischi e i cartelli morettiani di Firenze sono un pessimo segnale di una sinistra infantile che per darsi una identità deve trovare un nemico. Senza sapere che sta reiterando il mito del capro espiatorio.

Mi chiedo se il Pci/Pds/Ds non abbia qualche responsabilità nell'avere costruito nel corso degli anni questo modo selvaggio di elaborare i rapporti umani.

Mi chiedo quale sia il destino di una associazione/partito che sacrifica così le sue migliori risorse ed intelligenze.

Leggo che andrai per qualche mese negli Stati Uniti.
Sul piano personale ti capisco. E trovo molto significativo che in questa scelta ti abbia orientato anche una conversazione con Sofri. Forse una persona che sta in carcere può capire meglio cosa può voler dire l'atto di "prendere le distanze".

Se ti capisco sul piano personale, temo che questa scelta sarà ancora una volta usata e manipolata dalla comunicazione giornalistico/politica.

Ma le cose vanno così.

Quindi: BUON VIAGGIO MA SOPRATTUTTO BUON RITORNO

 

risposta del 4 Marzo 2002

caro paolo, grazie davvero per le parole affettuose di sostegno e di fiducia. negli usa rimarrò due settimane... il mio posto è qui. il lavoro per ricostruire e rilanciare la sinistra e l'ulivo è duro e difficile ma non siamo pochi nè demotivati! con amicizia, massimo d'alema

 


data imprecisata del 2002

Un pensiero volante:

L’assoluta irripetibilità dell’altro: “Come te non c’è nessuno …

 


Venezia, in una data imprecisata del 2002, Campo San Giacomo all'Orio

Al locale di Hugo Pratt scoperto per caso leggendo leggendo il Gazzettino.

Tendo a fantasticare su "altri luoghi", proprio perchè forse non riesco a staccarmi dal profilo del mio lago/triangolo di montagne che si tuffano e formano tanti triangoli con sfumature di grigio appena differenti lungo la prospettiva che sfuma lontano

In questo angolo di Venezia penso a Hugo Pratt. Al suo andare fuori (l'esotismo di Corto Maltese) rimanendo però sempre nelle sue radici.

Certo Venezia sa dare tanta energia agli spiriti creativi.

Ho qui con me una raccolta di musica Cajun. Le paludi e i boschi di New Orleans. Ecco un luogo che mi piacerebbe  abitare anche solo per pochi attimi. Provo a cercare le ragioni di questa attrazione: forse le origini della musica jazz, o ancora per quei film americani o per la paura dei coccodrilli

Un altro mio luogo interno sono le lunghe e dritte strade della California. Mi immagino sui pulmann (Forse per il film "Un uomo da marciapiede ' ?); i localacci in cui dormire, le colazioni alla Hopper.

E ancora Manhattan, certamente per i film di Woody Allen

Poi Venezia, luogo che ho avuto la fortuna di "parzialmente) vivere.

Ma il mio luogo interiore, il vero spazio psichico, resta Anmaltea, con Luciana e le gatte.

Le notti ad Amaltea ... le lucine sulla montagna ... Pigra appesa nel buio ... lo sciabordio delle acque appena percepibile ...

Dimenticavo. Alla libreria Toletta ho trovato una antologia di Meneghello. Era lì abbandonata. L'ho tenuta d'occhio per mesi. Venezia è attraversata da migliaia di visitatori. Ma nessuno per mesi ha preso quel libro.

Era lì per me. Mi aspettava.

 


24 febbraio 2002

Caro M.

ti ringrazio molto della tua antologia

Mi è piaciuta per molti motivi

Innanzitutto mi ha colpito che anche tu abbia sentito il bisogno di "segnare" con un ricordo l'evento dell 11 settembre.

Quel fatto ha molto cambiato l'orizzonte della mia visione politica e la mia idea del ruolo delle religioni (ed in particolare di quella islamica). Ho rivisto molti schemi di analisi e mi sono di nuovo accostato alle radici della nostra cultura europea, ed in particolare all'illuminismo francese del settecento, valorizzandone gli aspetti di libertà soggettiva che altre culture non hanno nel loro impianto storico e filosofico. Dopo la lettura di Oriana Fallaci (una donna dal coraggio eccezionale) sono anche andato a studiare il periodo della Rivoluzione americana (1763-1791). Beh: davvero è da lì che si capisce perchè anche la nostra cultura europea è quotidianamente intrisa di parte di quei principi. E perchè da lì è partita la musica jazz e poi il Soul e poi il Rock. E perchè gli adulti che vivevano sotto il fascismo leggevano (di nascosto, perchè era proibito) Steinbeck; Hemingway; Faulkner ... E perchè laggiù un Berlusconi presidente del consiglio sarebbe semplicemente impossibile ...

Quanto alle musiche (di attento cultore, quale tu sei) mi sembra appropriatissimo "We are the stars" di Jan Garbarek (davvero 5 punti): probabilmente, se me ne fossi ricordato, lo avrei volentieri inserito nella mia raccolta.

Ma la cosa più bella della tua antologia è il viaggio che mi hai fatto fare fra autori che non conoscevo o che , comunque, ho poco frequentato: Robert Wyatt; Jimi Hendix (capisco la tua meraviglia: ma Hendrix per me è un quasi sconosciuto !); John Zorn (perfetto per la sua ricercata caoticità). Ancora: bellissimo l'adagio di Barber. Belle le rielaborazioni country di Frisell. Brava la Ani di Franco (che fortunatamente avevo già conosciuto ed apprezzato)

Infine quello che conta è l'atmosfera d'insieme che fai cogliere: giustamente drammatica, ma carica di quella eccezionale capacità rielaborativa che il popolo americano ha ancora dimostrato in  questa occasione

Insomma: ancora grazie

e cari saluti da me e da Luciana


Paolo Ferrario

 


18 gennaio 2002
Gentile dott. Scalfari
la storia della Repubblica italiana sta attraversando una delle sue fasi più buie. Il mio professore di storia (un intellettuale forse "minore", ma straordinario. Mi fece dono di un suo libro pubblicato dalla Cedam nel 1940 su "Le origini degli Stati Uniti d'America e l'Italia". Si poteva "resistere" anche con gli studi storici) diceva ai suoi studenti che il nostro paese era stato "vaccinato dal fascismo". Sbagliava per ottimismo. 
Certo se si usano strette categorie polititologiche l'attuale situazione non è comparabile a quella del ventennio: è forse più vicina al populismo degli stati del Sud America.
Ma è sul piano culturale che occorre scavare. In questa prospettiva tutta la destra di oggi è terribilmente simile quella fascista di settant'anni fa.
Sono certo che conoscerà la pagina di Carlo Emilio Gadda tratta da Eros e Priapo che riporto qui sotto. La leggo e rileggo: e trovo incredibili le rassomiglianze. L'ho inviata a tutti i miei amici e riportata sul mio sito. Magari le sembrerà interessante proporla anche ai suoi lettori.

"Questo qui, Madonna bona!, non avea manco finito di imparucchiare quattro sue scolaresche certezze, che son qua me son qua me, a fò tutt me a fò tutt me. Venuto dalla più sciapita semplicità, parolaio da raduno communitosi del più misero bagaglio di frasi fatte, tolse ecco a discendere secondo fiume dietro al numero: a sbraitare, a minacciare i fochi ne' pagliai, a concitare ed esagitare le genti: e pervenne infine, dopo le sovvenzioni del capitale e dopo una carriera da spergiuro, a depositare in càtedra il suo deretano di Pirgopolinice smargiasso, addoppiato di pallore giacomo-giacomo, cioè sulla cadrèga di Presidente del Conziglio in bombetta e guanti giallo canarino.
Pervenne, pervenne.
Pervenne a far correre trafelati bidelli a un suo premere di bottone su tastiera, sogno massimo dell'ex agitatore massimalista. Pervenne alle ghette color tortora, che portava con la disinvoltura d'un orango, ai pantaloni a righe, al tight, al tubino già detto, ai guanti bianchi del commendatore e dell'agente di cambio uricemico: dell'odiato ma lividamente invidiato borghese. Con que' du' grappoloni di banane delle du' mani, che gli dependevano a' fianchi, rattenute da du' braccìni corti corti: le quali non ebbono mai conosciuto lavoro e gli stavano attaccate a' bracci come le fussono morte e di pezza, e senza aver che fare davanti ''l fotografo: i ditoni dieci d'un sudanese inguantato. Pervenne. Alla feluca, pervenne. Di tamburo maggiore della banda. Pervenne agli stivali del cavallerizzo, agli speroni del galoppatore. Pervenne, pervenne! Pervenne al pennacchio dell'emiro, del condottiere di quadrate legioni in precipitosa ritirata. (Non per colpa loro, poveri morti; poveri vivi!) Sulle trippe, al cinturone, il coltello: il simbolo e, più, lo strumento osceno della rissa civile: datochè a guerra non serve: il vecchio cortello italiano de' chiassi tenebrosi e odorosi, e degli insidiosi mal cantoni, la meno militare e la più abbietta delle armi universe."

grazie per l'attenzione e distinti saluti

Risposta di Eugenio Scalfari


31 dicembre 2002

“Osservare la polvere in un raggio di sole ci aiuta a vedere l’invisibile”

Un esercizio per il 2003



Durata: dai quindici ai trenta minuti 
Materiale: una camera, un raggio di luce 
Effetto: rassicurante

Una stanza alquanto buia. Imposte socchiuse. Attraverso esse un raggio di luce. Sole vivo, cocente, raggi obliqui dell'alba o del tramonto. Nella luce che attraversa l'ombra si stagliano innumerevoli scintillii. È certamente uno degli spettacoli più emozionanti e più magici che gli uomini possano contemplare. 
Migliaia di piccolissime schegge che trattengono e riflettono la luminosità piroettano, girano, passano e ripassano. Puntini, bastoncini, microscopiche piume, infimi fiocchi, minuscole cose aeree, leggere, danzanti attraversano la luce in modo sublime, serio e gioioso, terribilmente indaffarati, agitati da vortici e itinerari impossibili da seguire. Frammenti di traiettorie, puri lampi di vita.
Ciò che colpisce di più in questo miracolo dello scintillio è la densità. Tralasciate i ricordi dell'infanzia, i giochi di un tempo, le case di campagna, l'odore degli armadi se è il caso. Non vi aggrappate a questi strabilianti granelli. Il confine tra la luce e le tenebre è improvvisamente così rigido, netto e diretto che ci sembra quasi possibile toccarlo con mano. Il brulichio delle particelle appare e scompare dall'altra parte della barriera. Ed è qui che è possibile sognare.
Sono poche le esperienze semplici che danno così intensamente la sensazione di un mondo invisibile improvvisamente svelato. Nel raggio di luce appare come un pezzo di spazio diverso, inserito nel nostro, un universo dell'altra faccia, del rovescio del globo, dell'altrove, reso di colpo visibile come per effrazione. 
Come sarebbe il mondo se vedessimo scintillare continuamente, ovunque e sempre la polvere? Non c'è continuamente, ovunque e sempre uno strato invisibile e al tempo stesso presente? Uno strato che è possibile raggiungere, uno spazio incastrato in quello che conosciamo?
E se si trattasse solo di saper socchiudere bene le imposte?

Roger - Pol Droit, Piccola filosofia portatile

Rizzoli, 2001, p.87-88