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Como – Presentato un libro su una pagina buia della Resistenza scritto a due mani da Cavalleri e Giannantoni
La verità sulle morti di "Gianna" e "Neri" 

Nessuna suspence e tanto coraggio degli autori e di Carlo Scardeoni che ha pubblicato con la sua casa editrice Arterigere un libro che farà discutere. La verità è tutta nel sotto titolo. "Gianna" e "Neri" fra speculazioni e silenzi - La verità è nella sentenza degli anni '70: fu il Pci e non la Resistenza a volere la morte dei due partigiani "garibaldini".
Giorgio Cavalleri e Franco Giannantoni, autori del volume sono stati ospiti a Como, insieme con Renato Morandi, per presentare il loro lavoro e spiegare le ragioni di una rilettura dei tragici fatti del '45, quando i due partigaini vennero fatti uccidere per decisione del Partito comunista. "Un capitolo purtroppo oscuro e assieme una ferita lacerante ancora aperta nel corpo di quella stagione esaltante ed eroica che fu la lotta contro il nazifascismo. Almeno in parte, questa storia atroce e dolorosa è già stata da noi affrontata in precedenti volumi e l'eco drammatica e tragica delle umane vicende delle due vittime è rimbalzata a lungo".
L'amministrazione comunale di Como ha finalmente deciso di titolare una strada, o meglio una scalinata ai due eroi della Resistenza. Un luogo periferico, ma che ha il pregio di essere sulla via di una scuola. Le domande, speriamo, dei ragazzi terranno ancora di più in vita il ricordo di quei drammatici ed esaltanti giorni in cui si sconfisse il nazifascismo, ma che costò anche sangue innocente per ragioni piolitiche, che a distanza di sessant'anni appaiono ancor più distanti da quei sentimenti e quelle speranze che avevano animato quella drammatica lotta intestina per estirpare il cancro che da vent'anni corrodeva l'Italia.
Il libro, che verrà presentato anche a Varese contiene molti documenti originali e nella parte finale due memoriali inediti. Il primo con  la testimonianza di Renato Morandi resa a Varese il 29 aprile del 2002. Il secondo ad opera di Pietro Vergani.


Varese – Il libro di Giannantoni e Cavalleri sull'assassinio di due partigiani comunisti: una coraggiosa rievocazione delle ultime ore di Mussolini e della sparizione della tesoro che portava con se in fuga verso la Germania

Quella verità scomoda sull'oro di Dongo


Quando Franco Giannantoni in un libro si accinse a rendere pubblica la requisitoria del PM Agostino Abate per la Tangentopoli varesina, in città scoppiò il finimondo: si parlò di un atto di ingiustizia, di faziosità, di devastante ottica, di una versione di parte e come tale inaccettabile ;i meno accaniti sottolinearono l’inopportunità dell’iniziativa. Franco Giannantoni in realtà aveva un solo scopo: che la gente ne sapesse di più dopo i tombali silenzi dei mass media su un processo-fiume molto scomodo per l’eccellenza degli imputati e per i riverberi sull’immagine di Varese. Certamente in qualche misura si trattò di una provocazione, ma nella sostanza non sconfessata dalla sentenza.

Anche il libro " Gianna e Neri fra speculazioni e silenzi" scritto da Giannantoni e dallo storico comasco Giorgio Cavalleri, ha lo scopo preciso di far sapere a tutti, in primo luogo al popolo della sinistra, come e perché due coraggiosi partigiani comunisti, Neri e Gianna i loro nomi di battaglia, furono assassinati dopo la cattura di Mussolini e il sequestro di denaro e gioielli alla colonna fascista bloccata a Dongo nell’aprile del 1945.

Dopo decenni e un primo libro nel quale venne ben delineato e impostato il problema, cioè l’esigenza di andare a fondo, di dire che l’assassinio di Neri e Gianna fu una tragedia comunista, Franco Giannantoni ha vinto la sua grande battaglia di verità e democrazia e oggi la offre alla nostra attenzione, la consegna alla storia, anche con l’imprimatur dei vertici diessini.

Il 28 febbraio alle 16 presso la Palazzina della cultura in via Sacco ci sarà la presentazione del libro con l’intervento di Mimmo Franzinelli, uno dei più autorevole storici italiani della Resistenza; parteciperà pure il varesino Renato Morandi, comandante partigiano che è stato collaboratore prezioso per Giannantoni nella inoppugnabile ricostruzione di giorni e situazioni drammatici.

I giovani di ieri e di oggi della Varese cattolica e antifascista e anche chi di sinistra non è e guarda senza pregiudizi ideologici alla storia, apprezzeranno questo libro che propone a tutti il coraggio della verità. E capiranno che quel brontolone, polemico, appassionato idealista e umanissimo "partigiano" di Franco Giannantoni nella sua vita di giornalista e storico ha sempre anteposto alla bandiera, anche a quella che egli ama, il bene prezioso della realtà documentata, che è un pilastro della democrazia, oggi evidentemente negata da coloro che volevano il silenzio eterno su Dongo.

Grazie a Giannantoni e Cavalleri non ha più veli la storiaccia tanto invisa all’ANPI comasca, ovvero l’assassinio di due partigiani comunisti che ai loro capi "rossi" chiedevano conto del tesoro sequestrato e poi sparito. Non è cosa da poco in una Italia dagli infiniti misteri.

Pierfausto Vedani

 


Socialisti Punto Net

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«Con l'oro di Dongo comprarono anche Botteghe Oscure»

Da: da Varese News
Data: 3/3/2003
Ora: 10:00:58 AM
Nome remoto: 213.254.3.151
 

Commenti

Varese – I partigiani Gianna e Neri furono assassinati per ordine del partito comunista e non della Resistenza. I due volevano che l'oro requisito al Duce, in fuga verso la Svizzera, venisse restituito all'erario

«Con l'oro di Dongo comprarono anche Botteghe Oscure»

 

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Quando Benito Mussolini nell'aprile del '45 fu fermato dai partigiani a Dongo, piccolo paesino sulla riva occidentale del Lago di Como, aveva con sé una vera fortuna: danaro contante (circa 230 miliardi di allora) e oltre 42 chili in lingotti d'oro, ovvero tutto quel che restava del patrimonio della Rsi. Passato alla storia come il famigerato "oro di Dongo", quel "bottino" ha segnato il destino di molte persone, tra cui anche quelli dei partigiani Neri e Gianna. I due, infatti, volevano che la fortuna requisita al duce in fuga verso la Svizzera fosse restituita all'erario italiano e per questo furono fatti eliminare dal Pci. Renato Morandi, classe 1923, all'epoca dei fatti era un giovane comandante partigiano della Brigata Garibaldi, che operava proprio nel comasco. (foto: la tessera di Renato Morandi del C.d.L.N)

Morandi, lei conosceva personalmente Gianna e Neri?

«Certo, io operavo in quella zona con loro, ma all'epoca dei fatti non c'ero perché a causa di una grave malattia avevo dovuto allontanarmi dalle operazioni. Ricordo però molto bene la figura di Neri come una persona intelligente e aperta, un vero comandante, con un'esperienza militare grandissima. Si era formato in Abissinia e sul fronte russo, dove aveva imparato le tecniche della guerriglia. Era un camminatore formidabile, su e giù per le valli, non era mai stanco».

 

Perché ad un certo punto lei diventa un testimone fondamentale di questa vicenda?

«La vicenda della morte di Gianna e Neri è sempre stata presente nella vita di molti partigiani di quella zona. Nel 1999 io ero stato attaccato da un giornalista per un'altra vicenda, sempre legata alla lotta partigiana nel comasco. Per fare luce su quegli episodi e per ricostruire vicende di cui ricordavo poco andai all'istituto storico della Resistenza di Como e lì iniziai a prendere atto direttamente, de visu, della brutta fine che fecero alcune persone oneste, in relazione alla sparizione dell'oro di Dongo, tra questi c'erano anche i partigiani Gianna e Neri. E così iniziai a chiedere conto sia all'Anpi sia al partito. Ci furono comunque altre persone coinvolte e ridotte al silenzio».

Chi e in che modo?

«Beh Moretti e Terzi dovettero espatriare all'estero, in Jugoslavia. Erano testimoni scomodi e vennero allontanati subito dopo i fatti e tramite la sezione del Pci di Udine portati in Jugoslavia, dove hanno lavorato per molti anni. Ho incontrato Terzi a Varese nel 1991 a casa di Franco Giannantoni. E anche in quella occasione si parlò di Gianna e Neri».

Che cosa accadde dopo il sequestro dei beni della Rsi?

«Neri il 4 maggio del 1945 va a trovare il segretario del partito comunista di Como, chiedendo ragione della fine dell'oro di Dongo. Dei valori sequestrati erano stati stilati da lui stesso tre elenchi, ma nulla di quell'enormità era finito all'erario, cioè allo Stato. Neri venne ucciso dopo quella visita».

E Gianna?

«Erano molto legati tra loro, si amavano. Dopo due mesi dalla scomparsa di Neri, Gianna andò a chiedere sue notizie per cercare di capire che cosa fosse successo. Venne prelevata il pomeriggio del 23 giugno, mentre in bicicletta tornava da Dongo. L'hanno seguita, caricata in macchina e fatta sparire. Sono morti entrambi per la loro onestà e la loro coscienza di cittadini italiani»

Dove finirono i soldi?

«A Milano e a Roma, comprarono proprietà e tra queste probabilmente anche Botteghe Oscure».

Il libro di Franco Giannatoni e Giorgio Cavalleri ha dato un contributo decisivo alla scoperta della verità?

«Sì, perché è un libro ben documentato, dove si fa finalmente luce su questa drammatica vicenda partendo dai fatti e dai documenti. È un riconoscimento di onestà che meritano. Rimangono ancora poche ombre su cui ci sono delle supposizioni realistiche»

Tra le ombre di cui lei parla c'è anche il destino della borsa contenente il compromettente carteggio con il premier inglese Winston Churchill?

«Si conoscono mandanti ed esecutori materiali, purtroppo non si sa dove furono fatti sparire i corpi di Gianna e Neri. Poi c'è anche il mistero riguardante quella borsa. Il contenuto fu diviso in due: una parte andò ai partigiani di fede monarchica, che avevano un rappresentante in brigata, l'altra sparì. Da qualche parte le risposte ci saranno e penso che all'Istituto Gramsci di Roma ci sia ancora un pezzo di verità da scoprire».

Franco Giannantoni e Giorgio Cavelleri "Gianna" e "Neri" fra speculazioni e silenzi Edizoni Arterigere

Michele Mancino michele@varesenews.it

[http://www.socialisti.net/_private/disc1_aftr.htm]