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NEW YORK. Il 10 settembre 2001 il padre francescano Mychal Judge, 
  cappellano dei pompieri di New York, è nel Bronx per ridedicare una vecchia 
  stazione rimessa a nuovo. «Chi fa il pompiere sa - dice il prete con indosso 
  la veste bianca - che in questo lavoro ci sono giorni buoni e giorni cattivi 
  ma mai giorni noiosi. Voi fate ciò che Dio vi ha chiesto di fare. Andate, 
  mettete un piede di fronte all'altro e svolgete una mansione che è mistero e 
  sorpresa. Quando vi chiamano in azione non avete idea del perché ma è Dio che 
  vi chiama. Amatevi, lavorate assieme». Il giorno seguente, 11 settembre, alle 
  8.50 del mattino il primo aereo dirottato da Al Qaeda si schianta sul World 
  Trade Center, padre Judge si lancia a bordo dell'autobotte n. 1 sulla 31° 
  strada, arriva su un selciato coperto di macerie, vede il sindaco Rudolph 
  Giuliani ma non si ferma perché deve andare a dare l'estrema unzione ad un 
  pompiere gravemente ferito. Ed è lì che lui stesso trova la morte diventando 
  per gli annali di Storia la vittima n. 00001 del più grave attacco mai 
  avvenuto contro il territorio continentale degli Stati Uniti. A raccontare la 
  parabola di Mychal Judge è «Saint 9/11» (Santo 11 settembre), il documentario 
  di 85 minuti diretto da Glenn Holsten che debutta al Tribeca Film Festival di 
  New York inaugurando, assieme a «United 93», una stagione cinematografica nel 
  segno del ricordo dell'11 settembre che culminerà a fine agosto con l'arrivo 
  nelle sale di «World Trade Center» di Oliver Stone. 
  
  Holsten affida il ritratto di padre Mychal all'immagine del suo corpo oramai 
  esanime, portato a braccio da altri pompieri fra le macerie, ma si tratta solo 
  del momento di inizio del racconto a ritroso della vita di un uomo 
  controcorrente che ha iniziato emancipandosi dalla dipendenza dall'alcol, ha 
  vissuto alla luce del sole la propria omosessualità, ha scelto di stare in 
  prima fila nel soccorso ai malati gravi di Aids come ai parenti delle vittime 
  dei disastri aerei e quindi è diventato un'icona della sofferenza inferta agli 
  uomini dal kamikaze, volto della violenza del XXI secolo. 
  
  Nato con il nome di Emmet Judge a Brooklyn nel 1933 «Saint 9-11» ha per 
  genitori due immigrati dalla contea irlandese di Leitrim. La famiglia vive 
  grazie a uno spaccio tenuto dal padre che però muore al termine di una lunga 
  malattia quando Judge non ha che sei anni. Per aiutare la madre e le due 
  sorelle a sbarcare il lunario il piccolo irlandese pulisce le scarpe alla 
  Pennsylvania Station e accetta i lavori più umili. La sorella gemella Dympna 
  assicura che ha sempre voluto fare il sacerdote: quanto andava alle elementari 
  si offriva per servire la messa d a 15 anni entrò nell'ordine dei Francescani, 
  facendo voto di castità ed obbedienza. A 27 anni prende gli ordini e le prime 
  parrocchie sono fra le più povere del New Jersey, a East Rutherford e West 
  Milford, dove si trova a occuparsi di comunità afflitte dai suicidi di giovani 
  e dalla dipendenza dall'alcolismo. Lui stesso attraversa il tunnel della 
  dipendenza dal bere, realizzando che «quando le tragedie ci colpiscono in 
  tenera età forse la religione assume un'importanza maggiore perché veniamo 
  sottoposti a test da cui viene la fede». 
  
  Gli anni passati in New Jersey sono quelli in cui padre Judge scopre la 
  passione per i pompieri e la loro missione di correre all'improvviso per 
  salvare vite umane da terribili pericoli. Michael Duffy, il sacerdote che ha 
  accompagnato Judge durante gran parte della sua vita, racconta sullo schermo 
  di Holsten come iniziò il legame con i pompieri grazie a «una possibile 
  tragedia che si trasformò in salvezza di fronte ai suoi occhi». Assegnato nel 
  1986 alla chiesa di San Francesco d'Assisi sulla 31° Strada di Manhattan, 
  padre Judge convive di fatto con i pompieri e nel 1992 ne diventa il 
  cappellano, confessando: «Ho sempre voluto essere un prete o un pompiere, ora 
  sono entrambi». Quattro anni dopo il volo TWA 800 decollato dall'aeroporto 
  Kennedy con destinazione Parigi esplode a partenza appena avvenuta uccidendo 
  sul colpo tutte le 230 persone a bordo. Lo schianto avviene a Long Island e 
  l'hotel Ramada Inn vicino al'aeroporto diventa il luogo di incontro per i 
  famigliari. E' qui che padre Judge celebra la messa ogni giorno, facendo 
  continuamente la spola con Manhattan. Sua è anche l'idea di celebrare un 
  servizio funerario per le vittime sulla spiaggia di Long Island, di fronte 
  all'Oceano Atlantico, riuscendo a far «diventare sacra l'acqua» per i 
  famigliari delle vittime. Quella foto lo trasforma in un personaggio noto, ma 
  al di là del pettinarsi in continuazione i capelli grigi Judge non ha altri 
  vezzi nè ambizioni. Dorme in una piccola stanza disardona dentro la sede 
  francescana, riceve dalle 30 alle 60 telefonate quotidiane da parte di fedeli 
  e quando Maria Teresa di Calcutta gli dà come consiglio «pregare due ore al 
  giorno» lui risponde: «Lo farò ma devo anche lavorare...». 
  
  Le chiamate più numerose arrivavano dai malati di Aids, di fronte ai quali non 
  si tira mai indietro nè nasconde l'appartenenza alla comunità gay. Dopo l'11 
  settembre c'è chi obietta l'incompatibilità fra la castità francescana e 
  l'essere omosessuale ma un attivista gay che lo conosceva, Brendan Fay, 
  risponde: «Una delle cose che si ignorano di lui è che aveva dentro un misto 
  di tristezza e vulnerabilità, tanto nel caso dell'alcolismo che 
  dell'omosessualità riconosceva le tensioni esistenti fra i mondi in cui viveva 
  ed era questo che gli causava tristezza». Non tutti sapevano 
  dell'omosessualità ma Thomas Von Essen, capo dei pompieri di New York, ne era 
  da sempre a conoscenza e aveva scelto di mantenere il segreto «anche se 
  insieme ne ridevamo molto». Nel caso dell'alcolismo invece Judge era assai più 
  loquace. Durante una cerimonia alla Casa Bianca dove era stato invitato 
  proprio per l'impegno contro questo tipo di dipendenza, disse senza troppi 
  complimenti all'allora presidente Clinton che i fondatori dell'associazione 
  nazionale anti-alcolismo avevano fatto per l'umanità «più di Madre Teresa». Il 
  funerale celebrato il 15 settembre 2001 coincise con il 23° anniversario della 
  rinuncia al bere, chiudendo la parabola di un newyorkese in cui i 
  concittadini, di qualsiasi fede, riconoscono il loro primo santo del nuovo 
  secolo.