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IL PRESIDENZIALISMO ALL’ITALIANA
di GIOVANNI SARTORI

 

dal Corriere - 14 dicembre 2002


Al di là delle riforme devolutive o federaliste Berlusconi rilancia il presidenzialismo. Le due cose sono complementari? Berlusconi lascia capire che lo sono. Il suo argomento è che tanto più diventiamo un Paese «decentrato», tanto più occorre un contrappeso, e cioè un centro forte. E’ proprio così? Sì e no. Il centro forte è utile quando il federalismo si basa su poteri concorrenti, su poteri condivisi (come nella riforma del governo Amato), ma non serve quando si basa sulla cessione (devoluzione) dei poteri. Se un potere diventa esclusivamente regionale, il centro non c’entra più. Ciò precisato, se ci guardiamo attorno, scopriamo per esempio che Germania e India sono federali ma non presidenziali; e che, viceversa, Francia e Cile sono variamente presidenziali ma non sono Stati federali. E dunque la connessione tra federalismo e presidenzialismo non è necessaria. Se Berlusconi vuole ora con nuova insistenza il presidenzialismo, è perché lo vuole per sé (né lo nasconde). E il paradosso è che lo chiede mentre appoggia una devoluzione che lo depotenzia. E’ vero, peraltro, che la richiesta è antica. Il presidenzialismo era già iscritto nel programma elettorale del Polo del 1994. E in tutti questi otto anni, ogni tanto ne abbiamo sentito riparlare. Ma senza insistere e, soprattutto, senza mai precisare quale presidenzialismo . Perché i presidenzialismi sono di due tipi, americano e francese. Il primo viene detto «puro», mentre il secondo viene detto «semipresidenzialismo». Entrambi si fondano sulla elezione popolare del capo dello Stato; ma questo è il loro solo punto in comune. In tutto il resto sono diversissimi. In questi giorni Berlusconi ha finalmente svelato che lui punta sul semipresidenzialismo di tipo francese. Bene. Perché il presidenzialismo puro di tipo americano funziona male in quasi tutta l’America Latina, e funzionerebbe ancora peggio in Italia. Per contro, non ci sono controindicazioni per il modello francese (che tra l’altro è stato innestato su una IV Repubblica che era molto simile, nella sua configurazione politica, a quella del nostro Paese).
I problemi nascono quando il genio italico vuole innovare. In dottrina è pacifico che il sistema semipresidenziale è ottimizzato dal sostegno di un sistema elettorale maggioritario a doppio turno. Invece no. Nella sua intervista al Corriere (10 dicembre) il ministro Urbani (che è poi il solo esperto in materia costituzionale del governo) si pronunzia per un presidenzialismo «più sistema elettorale proporzionale». Evidentemente obbedisce a ordini superiori, visto che in passato ha sostenuto anche lui il doppio turno. Ma convengo con lui che «non è certo impossibile» affiancare il presidenzialismo al proporzionalismo. Dopodiché trasecolo, inorridito, quando leggo che «il proporzionalismo può prevedere premi di maggioranza e sbarramenti per i partiti più piccoli». Trasecolo perché se questa è la proposta, allora è insensata.
Lo scopo dello sbarramento è di impedire la frammentazione del sistema partitico. Ma questo ostacolo elettorale funziona solo se i partiti non si possono alleare per scavalcarlo. In Germania lo sbarramento è del 5 per cento. Ma verrebbe vanificato se, mettiamo, sei partitini ciascuno con l’1 per cento del voto si «apparentassero» arrivando così, assieme, al 6 per cento. D’altra parte il premio di maggioranza presuppone alleanze, visto che premia, appunto, i partiti che «insieme» vincono una maggioranza dei voti. Pertanto mettere assieme sbarramento e premio di maggioranza equivale a cancellare con la mano destra quel che fa la mano sinistra.
Dicevo che il federalismo non obbliga il presidenzialismo, ma che nemmeno lo vieta. Inoltre ho concesso (pur preferendo il doppio turno) che un presidenzialismo può anche essere costruito su un sistema elettorale proporzionale. Ma chi propone «proporzionale » sbarramento » premio di maggioranza» è soltanto uno sprovveduto.
di GIOVANNI SARTORI