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INVESTITURA DI UN LEADER
MASSIMO GIANNINI
 

  da Repubblica - 17 ottobre 2005


Se davvero queste elezioni primarie erano «un voto per la democrazia», come aveva sostenuto Romano Prodi nel suo appello della vigilia, oggi si può dire che la democrazia ha vinto. Tre milioni di italiani hanno votato, protagonisti di un evento che, si può dire senza retorica, non ha precedenti nella storia repubblicana. Artefici di un rito popolare che, oggettivamente, questo Paese non aveva mai conosciuto.
Per la prima volta il leader di una coalizione viene investito dalla sovranità degli elettori, e non più soltanto cooptato dalla volontà degli eletti. Questo straordinario esperimento democratico tentato dal centrosinistra si produce nelle stesse ore in cui il Paese vive l´ennesimo choc autocratico operato dal centrodestra.

L´investitura di un leader

A nessuno può sfuggire la non casuale coincidenza tra le primarie dell´Unione (simbolo compiuto di una democrazia bipolare e maggioritaria) e la riforma elettorale del Polo (indice inequivoco di una regressione proporzionalista). È assai probabile che questo grave strappo dei disperati oligarchi del centrodestra abbia avuto un formidabile effetto mobilitante presso gli indignati elettori del centrosinistra. In ogni caso, è sicuro che i due eventi, in sequenza, ci restituiscono l´immagine di una frattura culturale profonda. Di qua un´identità collettiva che risponde alla chiamata del suo leader, e dimostra di esistere, di voler partecipare e contare nelle scelte condivise di una vasta alleanza. Di là una coalizione personale che obbedisce agli ordini del suo capo, e impone al Parlamento regole del gioco riscritte a proprio comodo nell´ombra di Palazzo Grazioli o nella penombra di una baita alpina.
Questa vittoria della democrazia è anche e soprattutto la vittoria di Prodi. Oggi si conosceranno meglio le percentuali di voto ottenute da tutti i candidati. Ma è quasi certo che per il Professore si tratterà di un trionfo. E dunque anche di un «premio» al suo grande coraggio politico, di cui a questo punto gli si deve rendere tutto il merito. Ha voluto ad ogni costo queste primarie. A molti sembravano una cerimonia futile.
L´incoronazione di un leader che, per convinzione razionale o per assuefazione inerziale, era comunque già riconosciuto come tale da un´intera coalizione. Ad alcuni sembravano un azzardo inutile.
Nella migliore delle ipotesi, una improvvida possibilità offerta a Bertinotti per spostare a sinistra il pendolo dell´alleanza. Nella peggiore, una temibile opportunità regalata a Berlusconi per dimostrare che il Professore è ormai un´anatra zoppa. Hanno avuto torto gli uni e gli altri. E alla fine ha avuto ragione lui. I risultati di queste primarie lo rigenerano, e lo curano in via definitiva da quella comprensibile «sindrome di legittimazione» che lo aveva colto dopo l´amara delusione per l´accantonamento della sua lista unitaria, colpita al cuore proprio da una «costola» di quel partito-laboratorio di centro che il Professore aveva inventato dal nulla dopo l´addio a Palazzo Chigi.
Insieme a Prodi hanno vinto anche le forze politiche che più l´hanno sostenuto e assistito, nel cammino non sempre facile e non sempre lineare di questi mesi. La Quercia di Fassino e D´Alema, soprattutto. E poi, con determinazione intermittente, anche la stessa Margherita di Rutelli. Ma insieme a Prodi ha vinto anche una certa idea della politica che a volte, in questo lungo quinquennio di traversata nel deserto berlusconiano, ha finito per valicarne i confini, e lambire persino i territori incerti dell´anti-politica. I girotondi, le piazze, la famosa «società civile». Il successo di ieri esalta e soddisfa, ma non risolve i problemi che cominciano da oggi. I numeri della notte dicono che Prodi, a dispetto dei critici o degli scettici, ha accumulato e conservato tra gli elettori un suo enorme «capitale». Alimentato dai partiti, ma fatto anche di quel diffuso «ulivismo» che, con alterne fortune, resiste ed esiste, dal ‘96 ad oggi, al di sopra o al di là dei partiti. È ora che il Professore investa questo capitale sul mercato politico. Il «contenuto» verrà, verranno i programmi e le idee per un´Italia da ricostruire. Ma adesso non si può più prescindere da una riflessione sui «contenitori» dell´alleanza. Lo impone la logica sciagurata dello stesso «golpe elettorale» azzardato dal Cavaliere, che paradossalmente sancisce il suo fallimento: il ritorno all´indistinto del proporzionale si deve proprio l´uomo che in questi anni, per ideologismo e per radicalismo, ha favorito lo sviluppo di un´Italia sempre più bipolare. Lo esige l´efficacia straordinaria di queste stesse primarie, che potenzialmente prefigurano la futura premiership del Professore: l´involuzione di un sistema elettorale, per quanto iniquo e pasticciato, non pregiudica comunque l´affermazione del centrosinistra alle elezioni del 2006.
Dunque, se c´è una scelta coerente per il buon investimento del capitale politico di Prodi, a questo punto non può che essere la lista unitaria Ds-Margherita-Sdi. Il nucleo duro dell´Ulivo. Era stata una felice intuizione, con la quale Prodi ancora a Bruxelles aveva preparato il suo grande rientro nel campo della politica italiana. Era un´idea alta, con la quale si prefigurava uno sbocco credibile alla fragile transizione italiana e un consolidamento del nostro bipolarismo imperfetto: una grande formazione dei riformisti nel centrosinistra, che attraverso un´inevitabile spirale competitiva avrebbe potuto innescare un analogo processo di aggregazione dei moderati nel centrodestra. Congelata questa proposta, per la strenua e autoconservativa resistenza di Rutelli, il Professore era stato costretto a cercare altrove il sigillo alla sua leadership. Non più in un disegno politico al servizio di una ricomposizione dei partiti «storici», ma in un plebiscito popolare che a quel punto, e in qualche modo, li trascendesse.
Adesso che il plebiscito è arrivato, Prodi deve andare fino in fondo. Senza se e senza ma. Quegli oltre tre milioni di italiani che hanno votato ieri gli danno la forza per farlo.


Democrazia diretta
michele serra

Quei cittadini in coda, spuntati da quel territorio sconosciuto che è la normalità, non se li aspettava nessuno. La metafora calcistica è fin troppo ovvia: clamoroso contropiede del centrosinistra, e proprio su un terreno, quello elettorale, reso arroventato e ostile dal ribaltone proporzionalista del governo. Ora l´Unione avrà gioco facile nell´opporre una mobilitazione democratica di dimensioni del tutto inattese, non piazzaiola, meditata e composta, al furbo ribaltone proporzionalista deciso nel chiuso delle stanze del potere berlusconiano: piaccia o non piaccia le famose "due Italie", per mentalità e per metodo, in questo scorcio convulso della lotta politica hanno dimostrato (entrambe) di esistere davvero.

Le code ai seggi ispirano una retorica democratica fin troppo facile. Meno facile era crederle possibili e infine organizzarle in salita e quasi obtorto collo, con la zavorra di un clima interno avvelenato dai soliti sospetti e dalle solite piccinerie di fazione (vedi le improvvide dichiarazioni di Mastella, anche lui travolto dall´esito delle primarie).
Quello che viene da chiedersi, ora, è perché non sia accaduto prima. Perché, per lunghi anni, un progetto di democrazia diretta come le primarie abbia tardato tanto a prendere corpo. Erano una delle poche idee solide, comprensibili e credibili scaturite dalla mobilitazione della società civile, suffragata autorevolmente da molta politologia sapiens, e avvertita comunque come un cambiamento concreto, un segno di mutamento anche formale che desse sostanza alla fantomatica "seconda Repubblica". Un´idea popolare: più potere alla gente, meno alle alchimie partitiche. Questo, all´osso, è stato lo spirito buono degli anni Novanta, quello che animò il primo Ulivo, i movimenti di opinione, i circoli e le associazioni di cittadini che si proponevano, con qualche goffaggine ma parecchie buone ragioni, di affiancare il ceto politico, e magari controllarne la rotta. Indicare direttamente il proprio candidato premier: che cosa, di così paventabile e dunque rimandabile, conteneva questo proposito, se è stato necessario aspettare una diecina d´anni per metterlo in atto?
In una bella domenica di ottobre, almeno un pezzo (importante) di quello spirito di partecipazione ha trovato il suo sbocco, come se fosse pronto già da tempo a un appuntamento rimandato così lungamente. Del clima litigioso e nervoso della nomenklatura dell´opposizione, nessun segno tangibile nei folti gruppi di elettori segnalati ovunque di ottimo umore, sorpresi di essere così in tanti, felici di dovere attendere anche parecchio tempo per poter scegliere il candidato premier. Premier di una coalizione, scelto tra sei diversi nomi ma destinato a essere votato da tutti, secondo uno spirito maggioritario e bipolare che, specie tra i cittadini di centrosinistra, è avvertito come la prima delle urgenze, tanto devastante è il continuo riprodursi delle divisioni interne proprio quando l´avversario è alle corde.
Erano probabilmente due i sentimenti più diffusi tra gli elettori unionisti in coda, e si tratta degli stessi due sentimenti che hanno reso possibile una partecipazione così superiore alle attese più rosee: la voglia di reagire subito, anche contandosi, a una nuova legge elettorale subita come un trucchetto ignobile, e la possibilità di sorreggere, per quanto possibile, quello spirito di coalizione che è intrinseco in una consultazione che sceglie non il capo di una fazione, ma il leader di tutta l´opposizione.
Se è facile ironizzare sulla sinistra di piazza (anche per esorcizzarla), meno facile sarà snobbare una sinistra di seggio come quella scesa in campo ieri, in quantità almeno doppia a quella soglia di visibilità (un milione di voti) indicata alla vigilia un po´ da tutti. E chissà se qualcuno, nel centrodestra, sarà in grado di preoccuparsi della lampante sintesi politica che esce da questi ultimi fatidici giorni, con il governo che torna precipitosamente al vecchio proporzionale per tentare di rabberciare i sondaggi maledicenti, e l´opposizione che dà corso, con le primarie, almeno a un pezzo della vox populi levatasi dopo la caduta della partitocrazia: più potere ai cittadini. Lo scontro, dopo la nuova legge elettorale e dopo le primarie, è prima Repubblica contro seconda Repubblica. Una carta in più, e che carta, da giocare per l´Unione.