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Combattere il terrorismo sul piano delle idee e della cultura
 
L’estremismo islamista del tipo che si è visto all’opera negli attentati a Mumbai il mese scorso non sarà sconfitto a meno che non venga affrontato sul piano ideologico. Lo afferma Tawfik Hamid, esperto in islamismo e anti-terrorismo ed ex membro dell’organizzazione terroristica Jamaa Islamiya.
“Sono convinto che dovremmo apprendere una lezione dagli attacchi a Mumbai – ha spiegato Tawfik Hamid al Jerusalem Post, prima di intervenire a un convegno su terrorismo globale e anti-terrorismo tenuto lunedì scorso a Tel Aviv – e cioè che non si deve avere alcuna indulgenza quando si tratta di terrorismo e dell’ideologia che vi sta dietro. Questa gente non è che il prodotto di una ideologia. In quanto mondo civile, non dobbiamo aspettare che si compia una catastrofe”.
Oltre a un numero relativamente piccolo di terroristi veri e propri, ha detto Hamid nel suo intervento al convegno organizzato dall’Adelson Institute for Strategic Studies, vi è una ben più ampia quantità di persone che simpatizzano o giustificano il terrorismo, come testimonia la mancanza totale, nel mondo islamico, di manifestazioni e di fatwa religiose contro un cervello del terrorismo come Osama Bin Laden.
Nato in Egitto, Hamid è stato tempo fa un seguace di Aiman Al-Zawahiri – oggi considerato il numero due di al-Qaeda – ed è autore del libro “Inside Jihad: Understanding and Confronting Radical Islam” (Dentro la Jihad: capire e affrontare l’islam radicale). Hamid sostiene che è necessario “un piano strategico completo” ovvero un approccio olistico che affronti l’islamismo estremista sul piano ideologico, pedagogico, psicologico, militare, di intelligence e di anti-terrorismo, per imprimere un cambiamento culturale.
I gruppi dell’estremismo islamista come la Jamaa Islamiya, spiega, utilizzano tattiche psicologiche di vero e proprio “lavaggio del cervello” come la soppressione del pensiero critico, terrorizzando i seguaci con la prospettiva delle fiamme dell’inferno e creando forti aspettative in una seconda vita.
Questi gruppi sfruttano anche la condizione di “deprivazione sessuale” di giovani uomini cui è proibito avere rapporti sessuali prima del matrimonio e che spesso sono costretti a rinviare il matrimonio per ragioni economiche, e li incoraggiano a darsi la morte in nome di Allah per incontrare nell’aldilà le loro vergini.
“Dobbiamo parlare di ideologia – ha detto Hamid ai convegnisti – di formazione, di istruzione, di come il Corano possa essere interpretato in modo diverso, di come l’istruzione possa giocare un ruolo fondamentale nell’educazione dei ragazzini. Bisogna insegnare l’amore, bisogna contrastare le tattiche di lavaggio del cervello che vengono usate”.
Secondo Hamid, può essere utile anche utilizzare contro-tattiche psicologiche come schernire e ridicolizzare l’immagine degli jihadisti, a cominciare da bin Laden, e contribuire a creare associazioni positive con gli Stati Uniti e Israele collegando questi paesi con concetti e valori positivi.
Al convegno è intervenuto anche lo storico Bernard Lewis, della Princeton University. Secondo Bernard Lewis, se è vero che l’islam non può essere definito una religione di pace, è altrettanto fuorviante dire che l’islam sia una religione di guerra. A differenza del cristianesimo, spiega Lewis, “l’islam riconosce la guerra come un fatto della vita e la disciplina”. Nell’islam il suicidio è un grave peccato che incorre nel castigo divino, e i non combattenti non devono essere attaccati: tutti principi trasgrediti dai terroristi. “Certamente alle organizzazioni terroristiche piacerebbe che fosse così – dice Lewis – e vorrebbero convincere gli altri ad accettare l’islam come una religione di guerra: una guerra fra credenti autentici e infedeli, vera continuazione di una guerra in corso da più di un millennio. Ma noi dobbiamo fare ogni sforzo per respingere, e non per rinforzare, questa interpretazione, e dobbiamo prendere contatto con quella crescente maggioranza di musulmani che non condividono affatto questo punto di vista”.
Bernard Lewis ha aggiunto che le tre grandi religioni tendono a credere di trovarsi nella fase finale di una grande battaglia cosmica fra le forze del bene e le forze del male: una battaglia che alla fine potrebbe portare alla reciproca distruzione, facendole finire i loro giorni in paradiso o all’inferno. Ma, a differenza della Guerra Fredda dove la distruzione nucleare costituiva un deterrente per entrambe le parti, questo sistema non funziona nel caso degli estremisti islamisti. “Se sono convinti, allora la reciproca distruzione non funziona da deterrente ma anzi fa da sprone, e questo è ciò che rende la situazione attuale estremamente pericolosa”.

(Da: Jerusalem Post, 9.12.08)