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martedì 8 marzo 2005
MANIFESTO.
Le nostre scuse alle due Simone


 

Non c’è bisogno di essere pacifista e tantomeno antiamericano per chiedere spiegazioni chiare e altrettanto chiare assunzioni di responsabilità, come ha fatto del resto lo stesso Berlusconi, di fronte alla morte di Nicola Calipari e al ferimento di Giuliana Sgrena. Né c’è bisogno di essere appassionati di dietrologia per attribuire l’incidente - ripetiamo: l’incidente - innanzitutto a un problema politico.

Come ampiamente noto, americani e britannici non trattano con i sequestratori. Ritengono infatti che così li si rafforzi politicamente, ma soprattutto temono - a ragione - che con i soldi del riscatto vengano acquistati i mitra e i fuoristrada con cui verranno rapite le Giuliana Sgrena di domani o i mortai con cui verranno uccisi altri soldati americani. E’ una posizione che si può condividere o meno, ma che certo non può destare scandalo in chi difese a spada tratta - e secondo noi giustamente - la linea della fermezza dinanzi ai terroristi delle Brigate rosse e persino dinanzi al sequestro dell’allora presidente della Dc. Ci sarebbe anche da discutere se non sia venuto il momento, ora che nessun ostaggio italiano è nelle mani dei banditi, di decidere il ritorno alla linea della fermezza per il futuro.
Il tragico incidente in cui ha perso la vita Nicola Calipari è molto probabilmente il frutto delle incomprensioni, degli equivoci e delle scarse o tardive informazioni scambiate tra alleati diffidenti a causa di questo dissenso politico a monte. Questa ci sembra una realistica e razionale fotografia dell’accaduto, rispetto a cui stridono invece parole sconcertanti come quelle che abbiamo letto in questi giorni sul manifesto.
Rossana Rossanda parla di «omicidio preventivo», di un «assassinio che finirà per passare come preterintenzionale», ma soprattutto afferma che «Giuliana non è stata così vicina alla morte durante il sequestro quanto sotto la sparatoria americana».

Poi la stessa Giuliana Sgrena ha scritto di non considerare nemici i rapitori, mentre ne racconta con toni inquietanti la premura nell’invitarla a fare attenzione ai cattivi americani. Un rovesciamento dei ruoli tanto più singolare nel momento in cui si unisce al cordoglio per la morte di un agente del Sismi, perché accetta il rapimento di innocenti come strumento legittimo in guerra. Senza arrivare alla tesi del complotto, risibile se non nascesse dalle viscere del pregiudizio antiamericano, tutte le parole sull’agguato premeditato dei soldati Usa e sull’animo nobile dei sequestratori ci inducono a fare autocritica per aver avuto da ridire, in passato, sulle parole e i gesti di Simona Pari e Simona Torretta appena liberate, delle quali solo ora cogliamo appieno l’intelligente senso della misura e il severo contegno. Vogliano accettare le nostre più sentite scuse.