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L'apologia di terrorismo
Gli italiani non si sono ancora accorti che anche da noi, come ha detto Tony Blair all'indomani degli attentati del 7 luglio, «le regole del gioco sono cambiate». La più grossa novità è il reato di «apologia di terrorismo» contenuto nel «pacchetto Pisanu».
Un reato che sottintende la consapevolezza che di fronte alla minaccia del terrorismo islamico globalizzato che ha fatto del kamikaze la sua arma vincente, diventa essenziale combattere i predicatori d'odio. Ebbene forse pochi sanno che è stato Francesco Rutelli, non Umberto Bossi, a proporre l'emendamento che oggi mette l'Italia nella condizione di sanzionare legalmente i cattivi maestri che mettono in moto la catena di montaggio della fabbrica dei kamikaze made in Europe. In teoria dallo scorso primo agosto chi esalta la guerra santa islamica o chi inneggia ai terroristi suicidi dovrebbe essere condannato alla reclusione da uno a sette anni e mezzo (articolo 414 - 1bis). Ma di fatto, ahimé, nel nostro Paese, un po' distratto, parecchio buonista e molto ideologizzato, si continua a legittimare impunemente il massacro di ebrei e occidentali, a elogiare pubblicamente bin Laden e i terroristi di Al Qaeda.
L'ha fatto mercoledì sera, nel corso della trasmissione Matrix condotta da Enrico Mentana, il direttore della Moschea An-Nur di Bologna, l'egiziano Nabil Bayoumi. «In Israele non esistono civili e nemmeno i bambini sono innocenti — ha affermato con sconcertante livore — i kamikaze non sono tutti da scomunicare, specialmente quelli palestinesi» e, poi, «bin Laden dice cose condivisibili quando afferma che gli americani e i loro leccapiedi dei governi occidentali devono andarsene dai Paesi arabi». Ci rendiamo conto che questo apologeta della strage di innocenti, dall'Italia, dove è ospite, istiga i terroristi islamici a massacrare anche noi italiani presenti ad esempio in Iraq anche se legittimati dalla risoluzione 1546 dell'Onu? Eppure c'è un silenzio assordante in seno a una classe politica che continua a filosofeggiare e a strumentalizzare in chiave elettorale la disputa sulla guerra giusta o ingiusta. Così come c'è un increscioso vuoto di iniziativa legale da parte di una magistratura che si è dimostrata spesso sorda ai sermoni dell'odio scanditi in talune moschee anche all'indomani della strage degli italiani a Nassiriya.
Infine c'è un gap culturale che gli apparati di sicurezza dovrebbero colmare, laddove non si è ancora compresa la centralità della predicazione violenta nel processo di formazione e attuazione del terrorismo. Si continua quindi a considerare «moderato» semplicemente chi a parole dice di essere contro il terrorismo e di non voler mettere le bombe in Italia. Ed è così che Bayoumi e la moschea An-Nur di Bologna, che appartiene all' Ucoii (Unione delle comunità e delle organizzazioni islamiche in Italia), passano per «moderati». Nel difendere l'imam marocchino Bouriqui Bouchta, subito dopo la sua cacciata dall'Italia, il segretario nazionale dell'Ucoii Hamza Piccardo ha sentenziato sulla Stampa: «Qui si criminalizza un pensiero. Se una democrazia non è in grado di accettare un pensiero diverso non è più democrazia». Ebbene come possono essere considerati moderati coloro che si schierano dalla parte dei terroristi in Israele e Iraq, che disconoscono la legittimità delle leggi e delle istituzioni italiane? Per fortuna i musulmani moderati ci sono e sono la maggioranza: «Il 95 per cento dei marocchini sono contenti per la cacciata di Bouchta», assicura Souad Sbai, presidente della Confederazione delle comunità marocchine in Italia che, da sola, conta molti più adepti dell'insieme del «popolo delle moschee», «noi chiediamo a Pisanu di continuare a cacciare dall'Italia i predicatori d'odio. Siamo con lo Stato al 100 per cento».
 
Magdi Allam
09 settembre 2005