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01 agosto 2005


 
Terrorismo
Islam d'Italia, legalità anno zero
Le nuove misure anti-terrorismo lasciano ben sperare, avendo fatto emergere un’ampia maggioranza politica trasversale in Parlamento. L’arresto a Roma di un terrorista britannico in fuga dopo gli attentati del 21 luglio a Londra conferma l’efficienza del coordinamento transnazionale nella lotta al terrorismo globalizzato. A questo punto, perché non consolidare il fronte interno gettando le basi sane e solide dell’islam d’Italia? Giovedì il ministro dell’Interno Pisanu ha auspicato «la formazione di un islam italiano rispettoso della nostra identità nazionale e delle nostre leggi». Ma il problema è come conseguire questo traguardo.
Certamente non possiamo prescindere dalla realtà sul terreno. Che offre il quadro allarmante di una maggioranza di moschee gestite da movimenti integralisti ed estremisti islamici che legittimano il terrorismo suicida in Israele e in Iraq, che inneggiano alla jihad intesa come guerra santa, che patrocinano un ideologismo antioccidentale e antiebraico.
Finora l’Italia con questa realtà ha perseguito la via del dialogo, inevitabilmente fine a se stesso, e dell’intesa perlopiù sulle questioni della sicurezza per prevenire il peggio. Ci si è, in sostanza, rassegnati a uno status quo percepito come inviolabile. Lo Stato si è mosso con lo stesso approccio descrittomi nel 1998 da Abdelhamid Shaari, presidente della pluri-inquisita moschea di viale Jenner a Milano, personaggio enigmatico che si professa laicomaè partner dell’imam jihadista Abu Imad, il più temuto in Italia: «Devo lavorare con la gente che c’è e il minestrone lo faccio con le verdure che ho a disposizione».
In quest’ottica abbiamo finito per considerare moderato chi non mette le bombe in Italia, anche se non gli dispiace affatto che le bombe esplodano altrove. Chi condanna gli attentati terroristici suicidi a Londra e Sharm el Sheikh, ma plaude a quelli a Gerusalemme e Bagdad. Chi dice che è impegnato nel dialogo interreligioso, ma considera haram, peccato, stringere la mano a un ebreo.
L’ennesimo esempio ci è offerto dalla fatwa, un responso legale islamico, che l’Ucoii (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia) intende rendere pubblica oggi a Bologna. Vi si afferma, secondo il testo diffuso dall’Apcom, la legittimità del «jihad fi sabiliLhah, sforzo sulla via di Dio, inteso anche come fisico, vuoi militare ». Quindi «è importantissimo stabilire quale sia il jihad lecito od obbligatorio per il musulmano che vive in Paesi nei quali non è direttamente aggredito». Si tiene conto che «nella totalità dei Paesi occidentali... gli ordinamenti e le leggi rendono possibile la vita dei musulmani e le restrizioni che sono state recentemente introdotte in alcuni Paesi, per quanto inopportune e ingiuste, non inficiano il quadro generale di tolleranza ed eguaglianza di fronte alla legge». «In queste condizioni— sentenza l’Ucoii —, il musulmano e lamusulmana... sono tenuti al rispetto della legge generale, alla lealtà e alla collaborazione nei confronti delle istituzioni».
Di fatto, l’Ucoii annuncerà la legittimità della guerra santa e specificherà se e quando potrebbe essere scatenata. Tutto ciò significa legittimazione dell’uso della violenza contro lo Stato qualora i musulmani si sentissero discriminati, tradimento della comune identità nazionale italiana, ponendo la «comunità musulmana» come una controparte delle istituzioni, violazione implicita dell’unicità della legge italiana avallando la legge islamica.
Fino a quando l’Italia continuerà a tollerare la presenza di chi si percepisce un corpo distinto e potenzialmente antagonista allo Stato? Non è forse arrivato il momento di sradicare questa mala pianta della schizofrenia identitaria e della cultura della violenza? Possibile che qualche centinaio di predicatori dell’odio possano condizionare il futuro della nostra nazione? A questo punto l’Italia deve scegliere e decidere: o continuare a mandar giù minestroni indigesti fino a creparne o bonificare un terreno minato che ci vede oggi testimoni e domani potenziali vittime. Che cosa aspettiamo a mettere fuorilegge tutte le sigle dietro cui si celano trame eversive di movimenti islamici internazionali e interessi occulti di Stati stranieri? Se la Francia, lo Stato laicista per antonomasia, è pesantemente intervenuto per disciplinare l’islam inscenando elezioni-farsa e assumendo il controllo dei finanziamenti alle moschee, perché l’Italia continua a restare inerte di fronte alla crescita dell’ideologia che alimenta il terrorismo islamico? Piaccia o meno, ma storicamente e universalmente è lo Stato che ha gestito l’islam, perché si tratta di una religione che fisiologicamente non può autogovernarsi, data la soggettività del rapporto tra il fedele e Dio, la pluralità e la conflittualità comunitaria, l’assenza di un’unica autorità spirituale.
Quindi mettiamocelo in testa: o lo Stato, direttamente o indirettamente, governa l’islam italiano, o lo continueranno a fare i Fratelli Musulmani, i wahhabiti, i jihadisti. Che sono fuorilegge nella gran parte dei Paesi musulmani, mentre da noi prosperano e comandano. Facciamo quel salto di qualità sul piano della maturità culturale e sul piano dell’assunzione della responsabilità politica. Riscattiamo le nostre moschee alla piena legalità, affidiamole ai fedeli che vogliono pregare e basta, sradichiamo la fabbrica dell’odio che minaccia la vita e la libertà di tutti. Autoctoni e musulmani. Azzeriamo un passato all’insegna del buonismo, della viltà e dell’ideologismo. Ricominciamo dall’anno zero dell’islam d’Italia.
 
Magdi Allam